sábado, 30 de septiembre de 2017

REGIO DI PARMA. (SEMPRE COSÌ VICINO E CARO).FESTIVAL VERDI. JÉRUSALEM, OVAZIONI PER PERTUSI

Applausi alla «prima» del Jérusalem, ieri sera al Regio, apertura del Festival Verdi 2017. L'opera verdiana, spesso «dimenticata», ha raccolto i consensi del pubblico, che ha apprezzato in particolare l'amato Basso Michele Pertusi e la regia di Hugo De Ana.

Lucia Brighenti

Si potrebbe parlare di un successo annunciato ma, si sa, quello che può succedere alla prima di un’opera lirica, specie se il pubblico è quello del Teatro Regio di Parma, non è mai cosa scontata. E invece Jérusalem ha confermato i pronostici, ieri sera, sancendo il successo per l’apertura del Festival Verdi 2017, in una serata riscaldata da moltissimi applausi a scena aperta per tutti gli interpreti, poi confermati alla prova della ribalta.
Ovazioni per Michele Pertusi, basso parmigiano sempre particolarmente amato nella sua città, oltre che meritatamente riconosciuto in tutto il mondo: il complesso ruolo di Roger, personaggio diviso tra crudeltà e redenzione, era un debutto per lui, uno dei tantissimi che ha fatto nel Teatro Regio.



Applausi alla «prima» del Jérusalem, ieri sera al Regio, apertura del Festival Verdi 2017. L'opera verdiana, spesso «dimenticata», ha raccolto i consensi del pubblico, che ha apprezzato in particolare l'amato Basso Michele Pertusi e la regia di Hugo De Ana.
Si potrebbe parlare di un successo annunciato ma, si sa, quello che può succedere alla prima di un’opera lirica, specie se il pubblico è quello del Teatro Regio di Parma, non è mai cosa scontata. E invece Jérusalem ha confermato i pronostici, ieri sera, sancendo il successo per l’apertura del Festival Verdi 2017, in una serata riscaldata da moltissimi applausi a scena aperta per tutti gli interpreti, poi confermati alla prova della ribalta.
Ovazioni per Michele Pertusi, basso parmigiano sempre particolarmente amato nella sua città, oltre che meritatamente riconosciuto in tutto il mondo: il complesso ruolo di Roger, personaggio diviso tra crudeltà e redenzione, era un debutto per lui, uno dei tantissimi che ha fatto nel Teatro Regio.

Ugualmente salutati da successo Ramon Vargas (Gaston), Annick Massis (Hélène) e, a seguire, Pablo Gálvez (il Conte di Tolosa), Valentina Boi (Isaure), Deyan Vatchkov (Adhémar de Monteil), Paolo Antognetti (Raymond), Massimiliano Catellani (Emiro di Ramla), Matteo Roma (un ufficiale dell’emiro), Francesco Salvadori (un araldo, un soldato).
Applauditissimo il Coro del Teatro Regio di Parma, preparato dal maestro Martino Faggiani, molto apprezzato per esempio nel Choeur des Pélèrins (uno dei brani più riconoscibili della versione originale italiana dell’opera, I lombardi alla prima crociata).

Ultimi della passerella, ma non ultimi in ordine d’importanza, il regista Hugo De Ana e il maestro concertatore e direttore Daniele Callegari, alla guida della Filarmonica Arturo Toscanini, cui il pubblico ha manifestato il proprio apprezzamento.

Mara Pedrabissi
Punto di forza di «Jérusalem» è «Jérusalem» stessa. Quanta curiosità intorno a questo “grand opera”, rielaborazione de «I Lombardi alla prima crociata», con cui Verdi esaltò la «grandeur» di Francia e si conquistò un posto al sole sotto il cielo di Parigi. Opera lasciata cadere in Italia - non figura nel calcolo delle “27” - in un lungo oblio interrotto solo dalla bacchetta magica di Gianandrea Gavazzeni. Tutto questo per dire il clima che si respirava ieri sera, alla “prima” della “prima” serata del Festival Verdi 2017. Inevitabile che il Teatro Regio diventasse tappa obbligata per molte illustri firme del giornalismo musicale. Giancarlo Landini, del mensile «L'opera», sentito nel foyer durante l'intervallo, non ha dubbi: «Il primo interesse è per il titolo. E un Festival deve saper fare di queste scelte nel costruire i cartelloni. Di Hugo De Ana possiamo continuare a chiederci se sia più regista o scenografo: ma qualsiasi cosa sia, gli riesce benissimo. E' capace nel muovere le masse e, qui, non cade nel tranello dell'attualizzazione. Il cast funziona, Pertusi domina. Il tenore lo valuteremo meglio nella seconda parte. Di certo, il Festival, proponendo quattro titoli in quattro sere, ha fatto un grande passo avanti». Anche per Alberto Mattioli, prestigiosa firma de «La Stampa», l'interesse «si concentra soprattutto sul titolo, che io preferisco ai “Lombardi”». Ha qualche perplessità, invece, sulla cifra registica: «Trovo lo spettacolo banale, una bella illustrazione ma pur sempre illustrazione. Mi piace, invece, la direzione di Daniele Callegari, abile nel cogliere le “nuances” francesi. Pertusi è un manuale di canto vivente. Annick Massis, pur dotata di una voce un po' fragile, canta bene e, va detto, è l'unica madrelingua francese. Il tenore Vargas canta con gusto ed eleganza ma non è adatto alla parte di Gaston, che non è quella di Oronte dei “Lombardi”, e richiede più acuti». Guardando avanti, avvisa: «Sono molto curioso di “Stiffelio” al Farnese».
Anche Cristina Ferrari, direttore artistico della Fondazione I Teatri di Piacenza, riscopre con piacere l'opera: «E' meglio dei “Lombardi”. Pertusi è un valore aggiunto per la città e per il Regio»). Fa ammenda Andrea Begani, del Club dei 27: «Per troppo tempo quest'opera è stata bistrattata». La musicologa Paola Cirani apprezza la regia («Buone idee ma a volte un po' ridondante») e annota l'eccellenza del Coro preparato da Martino Faggiani.


Soddisfazione sul fronte istituzionale. Il sindaco e presidente della Fondazione Teatro Regio Federico Pizzarotti e il neo assessore alla cultura Michele Guerra non potevano mancare alla prima serata del Festival che finalmente gode del finanziamento per legge. «Il finanziamento ci dà una mano - dice Pizzarotti - Ma ci conforta ancora di più il dato dei biglietti venduti e il numero dei turisti in città». Considerazione condivisa da Guerra che spende anche una riflessione sullo spettacolo «eccellente firmato da Hugo De Ana, regista capace e visionario». L'occasione di assistere all'opera francese di Verdi non è sfuggita al console generale di Francia a Milano Cyrille Rogeau, ospite di Crédit Agricole Cariparma: «Il tema Oriente Occidente è ancora molto attuale, universale. Trovo che la regia abbia reso bene l'humus francese, molte immagini mi rimandavano ai quadri di Delacroix».


http://www.gazzettadiparma.it/news/news/464108/jerusalem-ovazioni-per-pertusi.html

PHILARMONIE DE PARIS: EXPOSITION BARBARA


D’une grande richesse photographique et audiovisuelle, l’exposition Barbara découvre une femme aux multiples facettes, une artiste qui sut construire son parcours sans jamais se trahir ni se répéter : le parcours d’une femme libre.
Barbara : une longue dame brune, un visage aux traits dessinés, des textes ciselés chargés de mélancolie, telle est l’image en clair-obscur qui s’impose sur papier glacé. L’exposition propose au contraire de passer derrière le rideau : elle raconte l’histoire d’une petite fille juive à l’enfance meurtrie, qui décida que le spectacle serait sa vie et le théâtre, le décor de son quotidien ; elle dévoile la femme que devint Barbara, vibrante et lumineuse.

Sa voix, son timbre inimitable embarque le visiteur dans le récit profond et réjouissant de cette libération. S’y découvrent ses débuts méconnus à Bruxelles, où la jeune Monique Serf affronte la pauvreté mais impose sa diction travaillée et son allure gironde.


Quand vient l’heure du retour à Paris, Barbara, cheveux courts, silhouette amincie vêtue de noir, se frotte à la bohème des cabarets. De ces années d’errance, la « chanteuse de minuit » gardera irrémédiablement le goût du voyage, du précaire et de la liberté. Si elle chante d’abord les mots des autres, ceux de Brel et de Brassens, Barbara écrit bientôt ses « petits zinzins » : des confidences musicales et feutrées, comme une manière de s’offrir sans se découvrir. Cachée derrière son piano, puis debout, puis dansante, la femme se métamorphose enfin, sous le regard des grands photographes de l’époque : Robert Doisneau, Jean-Pierre Leloir, Just Jaeckin…




CINE FESTIVAL DE SAN SEBASTIÁN JOHN MALKOVICH: "SI NO HAY EMOCIÓN, UNA PELÍCULA ES IRRELEVANTE"

John Malkovich, durante la ceremonia de inauguración del Festival de Cine de San Sebastián. WIREIMAGE

El actor preside el jurado de Zinemaldia, una de las pocas actividades puramente cinematográficas que quedan en una carrera cada vez más orientada hacia otros rumbos, como el teatro y la moda.
"Tengo 63 años y, con esta edad, he hecho cientos de millones de horas de entrevistas de un asunto de lo más aburrido: yo". John Malkovich (Illinois, 1953) no es de esas personas especialmente pasionales en su relación con los medios. Tampoco de las distantes. "Vengo de una familia de periodistas, así que no tengo ningún problema con ellos. Lo que no me gusta no tiene que ver con el periodismo, sino con mi tiempo. Mi hija trabaja aquí en San Sebastián y quiero verla. Siempre he dejado a los medios hacer su trabajo. Igual con los críticos: pueden odiar lo que hago, que no pasa nada".Malkovich preside estos días el jurado del Festival de Cine de San Sebastián, que acaba mañana. Además de ser un habitual de Zinemaldia, donde ha recibido el Premio Donostia (en 1998) y presentado casi toda su filmografía reciente, su relación con la ciudad es todavía más estrecha desde que su hija Amandine trabaja en el restaurante Arzak.Así que el vizconde de Valmont de Las amistades peligrosas vive la experiencia como algo casi hogareño y una de sus últimas actividades puramente cinematográficos, centrado como está en el teatro, el diseño de su propia línea de moda y la producción de vinos en su retiro del sur de Francia."Es interesante ver películas, sus historias, lo que interesa a la gente de ellas, cómo se construye el relato, ver cómo trabaja otra gente... Tratar de medirlas, comparativamente es complicado, otra historia", explica en un momento de descanso en la dinámica de visionados del comité. Y aunque no quiere aventurar nada de sus valoraciones, sí que desvela cómo funciona su juicio crítico: "Si no hay emoción en una película, ésta acaba siendo irrelevante. Un filme técnicamente muy logrado que no consigue llevarte emocionalmente a ningún lugar no vale la pena, no tiene nada".Pero eso no es lo único. "En las pocas veces que he estado en un jurado he descubierto que, aparte del dictamen, lo importante es saber ver qué película puede ser ayudada por esa decisión", explica. "Lo cual", reconoce, "puede ser un poco injusto. Porque, a ver, tienes un filme que es genial y que sabes que va a ir bien. Pero tienes otro que es igualmente genial y necesita un empujón para emocionar e interesar".Y pone como ejemplo una experiencia pasada: "Estuve en el jurado de un festival de cine terror en Francia hace unos cuantos años y Ken Russell, el cineasta inglés, era el presidente. Escogimos una película llamada Scream, que terminaría siendo un éxito abrumador y demencial, una de esas sagas increíblemente populares de que se hicieron 8.000 secuelas. Y Ken estaba tan enfadado porque hubiésemos escogido esa película que abandonó el jurado. Mirando en retrospectiva, posiblemente tenía razón. Porque no nos pedían que escogiésemos la película que tuviese mayor éxito comercial".Según él, "lo mejor para el festival de San Sebastián no es que gane una película que funcione bien en España o los países hispanohablante, ni siquiera en el País Vasco". Tiene que ser una "que salga de aquí y pueda ser vista por la gente en cualquier lugar. Y ése puede ser un filme de cualquier género, hecho por cualquier cineasta y en cualquier país".Malkovich dice no echar de menos la vorágine de Hollywood, pero tampoco dice que su semirretiro del cine sea únicamente por voluntad propia. "Cuando llegas a una cierta edad, hay menos papeles para ti. En mi caso, he optado por hacer otras cosas y diversificarme. Tengo un papel importante en la película de Louis C.K. y el invierno pasado hice por toda Europa un montaje híbrido entre ópera y teatro, donde interpreto a una especie de Gadafi/ Sadam Husein. Es el tipo de proyectos para los que me llaman". Por lo demás, llena su tiempo "con cosas que me interesan. Si no hay nada que me despierte mi interés para actuar en una película, haré otras cosas, porque he dirigido, producido, hecho moda, vinos..."En cualquier caso, el dinero parece un asunto lejano al universo de Malkovich en estos días. "Tanto si eres un conductor de autobús, una estrella de fútbol o un periodista, intentas obtener todo lo que puedes", expresa. "Si un actor obtiene 20 veces el dinero que me pagan a mí, no me importa, porque puedo ganarme la vida. Sí que me planteo qué sentido tiene que un profesor gane, no sé, 22.000 euros al año y un broker, 100.000 en un minuto. Es como funciona el sistema económico y yo no lo he hecho así".Tampoco parece ser presa de los ataques de nostalgia o de ego al recordar Cómo ser John Malkovich (1999), la película de Spike Jonze y Charlie Kaufman a mayor gloria suya. O no. "La primera vez que la vi fue en un pase y no fue muy bien: era muy larga. De esa versión, Jonze recortó 20 minutos y la volví a ver en la Mostra de Venecia, ya por última vez. Sentí entonces que era un filme muy divertido e inteligente. Siempre pensé que Spike había rodado algo genial, pero también le di mi opinión: que se centrase en el humor, porque ya era una película con suficiente poso en su guión". El resultado final fue "una obra interesante y original, importante desde el momento en que introdujo en la escena cinematográfica mundial el universo de Charlie y Spike. Y después de ello, iniciaron una serie de trabajos excelentes. No prefiero Cómo ser John Malkovich a Adaptation, Synecdoche, New York o Her".


http://www.elmundo.es/cultura/cine/2017/09/29/59cd6264468aeb794e8b45e0.html

KINGSMAN : LE CERCLE D'OR BANDE-ANNONCE


Film : Kingsman : Le Cercle d'or
Stars : Taron Egerton, Colin Firth, Mark Strong, Julianne Moore, Halle Berry
Avec Colin Firth, Taron Egerton et CHANNING TATUM !
KINGSMAN, l’élite du renseignement britannique en costume trois pièces, fait face à une menace sans précédent. Alors qu’une bombe s’abat et détruit leur quartier général, les agents font la découverte d’une puissante organisation alliée nommée Statesman, fondée il y a bien longtemps aux Etats-Unis.
Face à cet ultime danger, les deux services d’élite n’auront d’autre choix que de réunir leurs forces pour sauver le monde des griffes d’un impitoyable ennemi, qui ne reculera devant rien dans sa quête destructrice.
Un film réalisé par Matthew Vaughn
Acteurs :  Colin Firth, Taron Egerton, Julianne Moore
Date de sortie au cinéma en France : 11 octobre 2017
Genre :  Action, Espionnage, Thriller



TOVE JANSSON (1914-2001)

One of the most celebrated illustrators of the 20th century, Tove Jansson is known internationally as creator of the Moomin characters and books, a phenomenon which continues to stretch across generations. Her wider outputs of graphic illustration and painting, however, are relatively unseen outside her home country of Finland.


150 works, including a selection of self-portraits and paintings never seen before in the UK will reintroduce Jansson as an artist of exceptional breadth and talent, and provide an insightful overview of the key stages of her prolific career. Ultimately, Jansson’s most enduring desire was to be an artist and this exhibition will reveal the unwavering passion that kept her working and exhibiting as an accomplished fine artist alongside her career in graphic illustration.

Who was Tove Jansson?

Tove Marika Jansson was born in 1914 in Helsinki to the graphic artist, Signe Hammarsten and the sculptor Viktor Jansson. She grew up with her two brothers Per Olov (b. 1920) and Lars (b. 1926) in an ambitious artistic family, living and breathing art. The open-minded, bohemian atmosphere encouraged the talented young Jansson to search for her own artistic expression, which produced striking results with intuitive certainty from an early age.
 In the midst of the mass bombings of Helsinki in 1944, Jansson managed to get an attic studio in the centre of the Helsinki. The studio became her cherished home, a source of power and a haven, where she created her most renowned paintings and texts. It was there that Jansson finished her first story featuring Moomintroll.
 The Moomins and the Great Flood (1945) was the first volume in the series that was to become the most prominent and best-known part of Jansson’s career as an artist. As a writer, Jansson did not want the stunning success of Moomins to limit her freedom either. After Moominvalley in November (1970), it was time for something new.
 In 1968, she had published the childhood description Sculptor’s Daughter for adult readers, but it was the acclaimed collection The Listener (1971) that showcased her as a short story writer for the first time.
 Jansson’s studio in Helsinki was dedicated for work, but since her childhood, she had fallen in love with the sea and archipelago. She spent many summers on the tiny island of Klovharu in the Gulf of Finland. There and in her frequent travels abroad, she was accompanied by her life partner Tuulikki Pietilä (1917 - 2009), graphic artist and professor.


http://www.dulwichpicturegallery.org.uk/whats-on/exhibitions/2017/october/tove-jansson/?utm_source=Dulwich+Picture+Gallery+Newsletter&utm_campaign=c1c795c45f-Oct_enews_30_09_17_NON_FRIENDS&utm_medium=email&utm_term=0_f2e34ebb37-c1c795c45f-355926085&goal=0_f2e34ebb37-c1c795c45f-355926085&mc_cid=c1c795c45f&mc_eid=f97c422452

viernes, 29 de septiembre de 2017

CALENDARIO DEI CONCERTI A VENEZIA. PALAZZETTO BRU ZANE .

A Venezia, nella cornice del casino Zane restaurato da Nicole Bru nel 2008, la stagione si articolerà intorno a due festival, dedicati l’uno a Reicha nel settembre-ottobre 2017, l’altro a Gounod nell’aprile-maggio 2018. Il primo, attraverso una decina di concerti e conferenze, presenterà diversi quartetti per archi, un originale quintetto con due viole e varie opere per pianoforte, mettendo in risalto il caratteristico gusto per la sperimentazione di Reicha.
In due concerti al Teatro La Fenice verrà eseguita anche una parte della sua produzione per strumenti a fiato, nell’ambito della collaborazione con l’Ex Novo Ensemble. Il secondo festival proporrà la scoperta di un Gounod intimista, attraverso le sue mélodies, i quartetti per archi e pezzi per pianoforte a due e quattro mani, ma anche mistico, grazie al Coro della Radio Fiamminga, che interpreterà diverse opere sacre del compositore. L’Orchestra di Padova e del Veneto farà scoprire un altro aspetto di Gounod con la prima esecuzione assoluta della sua cantata Marie Stuart et Rizzio, scritta nel 1837 per il concorso del prix de Rome.

Oltre ai due festival, nel corso del Carnevale di Venezia il Palazzetto Bru Zane presenterà lo spettacolo 2 operette in 1 atto, una nuova produzione che attinge al repertorio allegro e strampalato delle operette in un atto di Hervé e di Offenbach. L’8 marzo 2018, in occasione del centenario della morte di Lili Boulanger, verrà reso omaggio alla compositrice con un concerto di mélodies sue e della sorella Nadia. Il programma Romantici in erba proseguirà per la sesta stagione consecutiva, consentendo di sensibilizzare alla musica più di un migliaio di bambini delle scuole per l’infanzia, primarie e secondarie, attraverso laboratori e concerti concepiti specificamente per loro. La domenica pomeriggio il Palazzetto Bru Zane accoglierà invecele famiglie, con sette incontri destinati a grandi e piccini.


http://www.bru-zane.com/it/calendario-dei-concerti-a-venezia/#

HUGH HEFNER, WHO BUILT THE PLAYBOY EMPIRE AND EMBODIED IT, DIES AT 91

By LAURA MANSNERUS

Hugh Hefner, who created Playboy magazine and spun it into a media and entertainment-industry giant — all the while, as its very public avatar, squiring attractive young women (and sometimes marrying them) well into his 80s — died on Wednesday at his home, the Playboy Mansion, in the Holmby Hills area of Los Angeles. He was 91.

His death was announced by Playboy Enterprises.

Hefner the man and Playboy the brand were inseparable. Both advertised themselves as emblems of the sexual revolution, an escape from American priggishness and wider social intolerance. Both were derided over the years — as vulgar, as adolescent, as exploitative and finally as anachronistic. But Mr. Hefner was a stunning success from the moment he emerged in the early 1950s. His timing was perfect.

He was compared to Jay Gatsby, Citizen Kane and Walt Disney, but Mr. Hefner was his own production. He repeatedly likened his life to a romantic movie; it starred an ageless sophisticate in silk pajamas and smoking jacket hosting a never-ending party for famous and fascinating people.

The first issue of Playboy was published in 1953, when Mr. Hefner was 27, a new father married to, by his account, the first woman he had slept with.
He had only recently moved out of his parents’ house and left his job at Children’s Activities magazine. But in an editorial in Playboy’s inaugural issue, the young publisher purveyed another life:

“We enjoy mixing up cocktails and an hors d’oeuvre or two, putting a little mood music on the phonograph and inviting in a female acquaintance for a quiet discussion on Picasso, Nietzsche, jazz, sex.”
This scene projected an era’s “premium boys’ style,” Todd Gitlin, a sociologist at Columbia University and the author of “The Sixties,” said in an interview. “It’s part of an ensemble with the James Bond movies, John F. Kennedy, swinging, the guy who is young, vigorous, indifferent to the bonds of social responsibility.”

Mr. Hefner was reviled, first by guardians of the 1950s social order — J. Edgar Hoover among them — and later by feminists. But Playboy’s circulation reached one million by 1960 and peaked at about seven million in the 1970s.


Long after other publishers made the nude “Playmate” centerfold look more sugary than daring, Playboy remained the most successful men’s magazine in the world. Mr. Hefner’s company branched into movie, cable and digital production, sold its own line of clothing and jewelry, and opened clubs, resorts and casinos.
https://youtu.be/1k_whpRADOE
The brand faded over the years, its flagship magazine’s circulation declining to less than a million.


Mr. Hefner remained editor in chief even after agreeing to the magazine’s startling (and, as it turned out, short-lived) decision in 2015 to stop publishing nude photographs. In 2016, he handed over creative control of Playboy to his son Cooper Hefner. Playboy Enterprises’ chief executive, Scott Flanders, acknowledged that the internet had overrun the magazine’s province…………….

https://www.nytimes.com/2017/09/27/obituaries/hugh-hefner-dead.html?mcubz=3


EVOLUCIÓN- REVOLUCIÓN. 25 AÑOS DE CERÁMICA

"Evolución-Revolución. 25 años de cerámica."
El Museo Cerralbo acoge una exposición que celebra el vigésimo quinto aniversario de la creación del taller Centro Cerámico Talavera, fundado en 1992 por tres alumnos recién salidos de la Escuela de Arte de Talavera (Ana Fernández-Pecci, Juan Carlos Albarrán y Ramón González Colilla) con el objetivo de producir, promocionar, estudiar y comercializar la cerámica de Talavera.
En 2007, coincidiendo con la celebración del 15º aniversario del taller, se invitó a creadores de distintas áreas a que utilizaran la cerámica como soporte. Con el tiempo, esta iniciativa dio lugar a una serie de colaboraciones, que han dado una nueva dimensión a la producción del centro.
Esta muestra nos hará apreciar el proceso de producción artesanal de la cerámica, que incluye la elaboración de moldes, la cocción en horno y la decoración a pincel.
Del 15 de septiembre al 15 de octubre del 2017
Sala de Exposiciones Temporales de la Planta Entresuelo del Museo Cerralbo.
Entrada gratuita.
Horario de apertura: coincidente con el del museo
Comisariada por:Guille García-Hoz


http://www.mecd.gob.es/mcerralbo/actividades/exposiciones-temporales/Evoluci-n-Revoluci-n--25-a-os-de-cer-mica.html

ROLLING STONES: SATISFACCIÓN A RAUDALES


El grupo arrasó en su concierto de grandes éxitos en el Estadi Olímpic.

EFE. La cita anoche en el Estadi Olímpic con los Rolling Stones estaba rodeada de una indisimulada expectación por parte de los más de 40.000 incondicionales que se dieron cita en el recinto de Montjuïc. Una expectación donde confluían la devoción por una música, una actitud y unas canciones sentidas y vividas en propia carne por varias generaciones y, a la vez, la sensación de que podía tratarse de la última vez que se podía disfrutar en vivo de un concierto de ellos.

La asistencia fue multitudinaria, y desde dos horas y media antes del arranque del concierto, la circulación en automóvil era muy densa en todos los aledaños. Y ante unas medidas de seguridad ya experimentadas en los conciertos de Coldplay y U2 (especialmente extremas con bolsos y bolsas, y sus contenidos, que generaron no pocas protestas) muchos de un mayoritariamente maduro público fueron bien madrugadores. Nadie quería perderse, queda dicho, una noche que de alguna manera reflejó un repertorio, un concierto y una gira que busca mostrar al aficionado cómo se encuentra la veterana banda ahora mismo.
Antes de que Mick Jagger, Keith Richards, Ron Wood y Charlie Watts saltasen al escenario barcelonés, lo habían hecho Los Zigarros, una intensa, acelerada y habilidosa banda comandada por los hermanos Tormo, que durante tres cuartos de hora desgranaron buena materia prima aún a plena luz y con las gradas llenándose poco a poco. Buen sabor de boca para esperar los primeros acordes de “Sympathy for the devil”, la mítica pieza firmada por Jagger/Richards con la que arrancó, con la guitarra de Richards a un volumen desproporcionado y a su aire y entre cautivadoras luces rojas, una noche memorable un cuarto de hora más tarde de lo previsto.


Los guitarristas de la banda de rock The Rollings Stones Keith Richards (d) y Ron Wood, durante su actuación esta noche en el Estadi Olímpic de Montjuic, en Barcelona, en el único concierto ofrecido en España de su gira 'Stones-No Filter'. (Andreu Dalmau / EFE)

El concierto -que duró más de dos horas y se extendió por una veintena de temas- tuvo un fulgurante inicio, pues, con unas de las composiciones más apreciadas por el grupo y una preclara declaración de principios para decir que para Jagger (74 años), Richards (73), Wood (70) y Watts (76) el blues está muy vivo todavía, tanto para ellos como para el resto de los mortales. ¡Y tanto que lo estuvo anoche!, al menos para como ellos lo viven, lo sienten y lo comparten. Y el público entró desde ese primer minuto en sintonía, buena parte de él con los teléfonos móviles en la mano. Un breve saludo, un despojarse de la chaqueta brillante y quedarse con una camisa azul también brillante de Jagger, y ataque sin pausa de tras el inconfundible arranque de “It’s only rock’n’roll (but I like it)”. Al acabarla saludó con un “Hola Barcelona, bona nit! Estem contents d’estar aquí”, y continuó con la no menos infalible rítmica de “Tumbling dice”……

http://www.lavanguardia.com/musica/20170927/431603845728/concierto-rolling-stones-barcelona.html


GOYA Y LA CORTE ILUSTRADA, EN CAIXAFORUM ZARAGOZA



Del 28 de septiembre de 2017 al 21 de enero de 2018


Tras sus años de formación en Zaragoza e Italia, Francisco de Goya (Fuendetodos, Zaragoza, 1746 – Burdeos, 1828) se instaló en Madrid en 1775 para iniciar la carrera cortesana que había ambicionado desde muy joven.
A través de su cuñado, Francisco Bayeu, pintor de cámara de Carlos III, Goya comenzó a pintar cartones para la Real Fábrica de Tapices. Pero su reconocimiento en la corte no llegó hasta once años después, cuando fue nombrado pintor del rey en 1786, y luego con su nombramiento como primer pintor de cámara en 1799.
Esta exposición propone un acercamiento a la evolución del arte y la figura de Goya durante sus años de trabajo para la corte y la aristocracia en contexto con otros artistas significativos de su tiempo, como lo fueron Mariano Maella, José del Castillo, Luis Paret y muchos otros más, la mayoría de ellos representados en la exposición.
"Goya y la corte ilustrada" busca confrontar el arte, la técnica y la visión de la realidad encarnados por Goya con las obras de otros artistas del siglo XVIII, con quienes mantuvo numerosos puntos de contacto pero con los que su arte rompería definitivamente.


http://agenda.obrasocial.lacaixa.es/-/expo-goya-y-la-corte-ilustrada-zar

jueves, 28 de septiembre de 2017

IN LONDON’S REOPENED GARDEN MUSEUM, HORTICULTURE HISTORY IS TOLD AMONG TOMBS

The Garden Museum in London has reopened, showcase a recreation of a 17th-century curiosity cabinet, horticultural art, and the tombs of the deconsecrated church in which it’s located.
Allison Meier

The recently reopened Garden Museum in London (all photos by the author for Hyperallergic)

LONDON — Not many museums discover the graves of five archbishops during their renovations, but the Garden Museum overlooking the River Thames is unique. Not only is it the world’s first museum of garden history, it’s housed in a deconsecrated church. From the 11th century to 1854, more than 20,000 people were buried inside St Mary-at-Lambeth and in the surrounding churchyard. So when Dow Jones Architects redesigned the interior — newly reopened this May — they couldn’t touch the historic walls or disturb these graves. New galleries and spaces from the 18-month redevelopment are lofted and divided with prefabricated timber, which allows natural light to stream in through the stained glass windows.

While the revamp works around the building’s heritage, it doesn’t ignore it. Memorial plaques in the nave and tombs embedded on the floor are visible alongside the exhibitions of antique gardening implements, contemporary art, lawn ornaments, and a freestanding shed — in which you can watch videos about sheds. At several different stations, visitors can listen to recreations of the voices of the interred dead, including Elias Ashmole, of the Ashmolean Museum in Oxford. A founding collection of that museum involved objects from The Ark, opened to the public by the 17th-century gardener John Tradescant, who also rests at the Garden Museum. Tradescant’s elaborate tomb is prominent in the lush, new Sackler Garden by designer Dan Pearson, with pyramids, a hydra, and other carvings on its four sides……


L’ARTE INCONTRA L’AMORE. L’ARTE INCONTRA IL DIVERTIMENTO




ENJOY
Dopo il successo della originale mostra LOVE. L’Arte incontra l’amore, che ha registrato in sei mesi l’afflusso di 150mila spettatori, soprattutto giovani, il Chiostro del Bramante presenta ENJOY. L’arte incontra il divertimento, mostra di arte contemporanea a cura di Danilo Eccher.
Continua l’ innovativo percorso programmatico a cura di DART Chiostro del Bramante proponendo ancora una volta una esposizione unica per la singolarità delle opere, che pone sotto la lente di ingrandimento le diverse possibilità percettive ad esse connesse. Una esperienza che lo spettatore può fare attraverso i linguaggi e le poetiche di alcuni tra i più importanti e provocatori protagonisti dell’ arte contemporanea.
Talvolta infrangere le regole non significa trasgredire, ma ampliarne i confini.  Una regola che il Chiostro del Bramante persegue da tempo nelle sue linee programmatiche, proponendo mostre fuori dagli schemi delle convenzioni espositive, dove l’originalità del percorso sta alla base del progetto ideativo.
L’ARTE INCONTRA IL DIVERTIMENTO
Diventato Museo di riferimento in ambito nazionale ed internazionale anche dell’arte contemporanea, il Chiostro parte da questi presupposti per la mostra che proporrà dal 23 settembre 2017 al 25 febbraio 2018. Si chiama Enjoy e ha per sottotitolo l’Arte incontra il divertimento: locuzione emblematica che vuole indicare non solo una diversa modalità di vivere l’arte, ma soprattutto dare “spazio e spazialità” alle opere di artisti di acclarata fama. Infatti molti lavori sono site specific, pensati e costruiti dagli artisti ospiti proprio per gli ambienti del Chiostro del Bramante la cui organizzazione – che fa capo a DART – aggiunge alla creatività dell’esposizione un notevole sforzo produttivo proponendo opere inedite.
Alexander Calder, Mat Collishaw, Jean Tinguely, Leandro Erlich, Tony Oursler, Ernesto Neto, Piero Fogliati, Michael Lin, Gino De Dominicis, Erwin Wurm, Hans Op de Beeck, Studio 65, Martin Creed, Ryan Gander, teamLab, sono i protagonisti del ‘900 storico e del terzo millennio, accomunati da un filo sotteso, il divertimento, assunto nell’accezione etimologica della parola: portare altrove.
L’altrove, l’altro da sé, il perdersi nei meandri dell’arte e dell’inconscio è ciò che accomuna il gesto di tutti gli artisti presenti in Enjoy, le cui opere guideranno il visitatore in un percorso invisibile ma fortemente tracciato, che prenderanno vita in un incessante rapporto interattivo e giocoso, dove le diverse percezioni del “fuori da sé” avranno un ruolo fondamentale.

A cura di Danilo Eccher
“La dimensione del piacere, del gioco, del divertimento, dell’eccesso – afferma Danilo Eccher, curatore della mostra – sono sempre state componenti centrali dell’Arte; l’Arte sprofonda nel dolore ma si nutre di piaceri ed è sempre una danza di contrasti. L’illusione è una trasparenza che deforma la realtà, un’apparenza sottile dove tutto è possibile, suggerendo ora il dubbio dell’enigma, ora il sorriso della sorpresa”.
Ecco allora che in Enjoy, dalle sculture leggere di Alexander Calder, lo spettatore può perdersi nel labirinto infinito di specchi di Leandro Erlich per poi immergersi e riemergere dalle installazioni ludico-concettuali di Martin Creed o nei raffinati giochi di luci illusorie di TeamLab che prendono forma e mutano solo a contatto con il pubblico, o essere inseguiti dagli occhi indiscreti e inquietanti di Tony Oursler e trovarsi a contatto con i corpi deformati di Erwin Wurm e così via, di artista in artista, di sala in sala: il Chiostro del Bramante diventerà luogo elettivo di una realtà tutta da scoprire, che esiste in ogni istallazione (alcune di grandissime dimensioni), a una realtà che, tuttavia, può anche non esserci.
D’altra parte è proprio Paul Klee che ci dice: “L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”.


https://www.chiostrodelbramante.it/post_mostra/enjoy/

EXPLORE THE WORLD’S LARGEST ONLINE DATABASE OF JEWISH ART, FROM ANTIQUITY TO TODAY THE DATABASE’S 260,000 CATALOGUE ENTRIES, THE FRUITS OF 30 YEARS OF RESEARCH, RANGE FROM MODERNIST SYNAGOGUES TO ANCIENT HEBREW ILLUMINATED MANUSCRIPTS.


Mosaic floor depicting Helios from a synagogue in Hammath Tiberias, Israel (286–337 BCE) (all images courtesy Center for Jewish Art / Hebrew University)

Two years ago, researchers with the Center for Jewish Art at the Hebrew University of Jerusalem surveyed the many synagogues built across Siberia. Over the course of the expedition, they found a large number of the sacred buildings, long abandoned, in ruins or on the verge of collapse. Jewish cemeteries, too, were largely neglected and filled with fallen tombstones. The team documented and photographed each site, in addition to speaking with local communities about the need to preserve them; their images are now part of the Bezalel Narkiss Index of Jewish Art, a recently launched website that represents the world’s largest online database of Jewish art.

Made public by the Center in August, the website features over 260,000 entries that catalogue a wide range of objects, artifacts, and sites from 41 countries, dating from antiquity to recent years. Over one-third of them are characterized as Jewish Ritual Architecture — such as synagogues, palaces, and houses — while researchers have organized the rest into five other groups: Hebrew Illuminated Manuscripts, Sacred and Ritual Objects, Jewish Cemeteries, Ancient Jewish Art, and Modern Jewish Art. The database is fully searchable by these categories but also by keyword, date, artist, location, community, and school or style.

The images of paintings, sculptures, architectural drawings, and much more are the fruits of the Center’s own 30-year effort to document Jewish art kept in museums, private collections, synagogues, and other cultural institutions. Since its establishment in 1979, the Center has recruited a small group of professionals and graduate students who have traveled around the world to seek out objects and buildings; their travels have brought them to cemeteries in Egypt, a modernist synagogue in Croatia, and museums of all kinds, from the Omsk State History Museum in Russia to the Ulcinj Museum of Archaeology in Montenegro. The collection required an additional six years to digitize.


Illustration from The Yiddish Bellifortis, Southern Germany (late 15th century), from the collections of the Bavarian State Library

Unfortunately some of the buildings and objects on the website no longer exist or may be nearly impossible to access. At times, the team photographed artworks at auction before they disappeared into private collections. More than documenting Jewish art, the index is preserving it as much as possible. It represents a much-needed, unparalleled resource for researchers or anyone simply interested in learning about Jewish art around the world.

“Jewish culture is largely perceived as a culture of texts and ideas, not of images,” Dr. Vladimir Levin, the Center’s director, said in a statement. “As the largest virtual Jewish museum in the world, the Index of Jewish Art is a sophisticated tool for studying visual aspects of Jewish heritage. We hope that making this Index available will lead to further in-depth study of primary sources, and serve as an enduring launching pad for the study of the historical and cultural significance of Jewish art for many years to come.”
 The Center is now gearing up to share more major projects later this year. It will soon publish Synagogues of Ukraine: Volhynia, a monograph by Dr. Sergey Kravtsov and Dr. Vladimir Levin that covers 39 extant and 302 vanished synagogues in the Eastern European country. In November, it will launch the first-ever inventory of all the historic synagogues around Europe. The ambitious project is a joint effort with the Foundation for Jewish Heritage, and will provide an assessment of each building’s significance and condition.


18th-century tombstone in a Jewish Cemetery in Yabluniv, Ukraine (photo by Michael Kheifetz)




Main prayer hall of the early-18th-century Great (Hagdola) Synagogue in Djerba, Tunisia (photo by Zev Radovan)



https://hyperallergic.com/397208/jewish-art-worlds-largest-database/?utm_medium=email&utm_campaign=What%20Roberto%20Bolao%20Can%20Teach%20Us%20About%20Making%20Art%20Under%20Fascism&utm_content=What%20Roberto%20Bolao%20Can%20Teach%20Us%20About%20Making%20Art%20Under%20Fascism+CID_c215b73717890e386ee3d1fab578cbfd&utm_source=HyperallergicNewsletter