miércoles, 29 de noviembre de 2023

FONDAZIONE ZEFFIRELLI: MARIA CALLAS. MADAMA BUTTERFLY APRE LA 58MA STAGIONE LIRICA DEL TEATRO RENDANO DI COSENZA


 READING MUSICALE
Zeffirelli racconta la Callas. La Callas racconta Maria.2 dicembre, ore 18,00Il reading musicale Zeffirelli racconta la Callas. La Callas racconta Maria è ideato e scritto dal Maestro Antonello D'Onofrio in collaborazione con Daniele Costantini, in occasione del centenario di Franco Zeffirelli. Beatrice Carrai e Francesco Testi, voci recitantiValeria Marsheva, flautoAntonello D'Onofrio, pianoforte  I possessori del biglietto potranno visitare gratuitamente il museo nello stesso giorno.Info e contatti: 📞 +39 320 1637839 📧 ticket@fondazionefrancozeffirelli.com
Programma e interpreti >>

 


Ultimi giorni di prova al Teatro “Rendano” per “Madama Butterfly” che venerdì 10 novembre, alle ore 20,30, aprirà ufficialmente la 58ma stagione lirica del teatro di tradizione cosentino. Nel solco della grande tradizione melodrammatica, il Teatro Rendano non poteva non avere in cartellone un'opera di Puccini, anche in vista del centenario della morte del grande compositore toscano che ricorrerà il 2024.

“Siamo particolarmente lieti – afferma il Sindaco Franz Caruso - di aver riportato a Cosenza e al Teatro Rendano, dopo un periodo di obsolescenza, la stagione lirica, riacquisendo la credibilità del Ministero della Cultura che non solo ha, dallo scorso anno, riattivato il contributo del FUS, grazie all'impegno portato avanti dal settore Cultura del Comune e dal maestro Luigi Stillo, che anche quest'anno firma il progetto operistico, ma, nella sua seconda annualità, lo ha anche aumentato, apprezzando la programmazione del nostro teatro di tradizione.


 Anche quest'anno, con i titoli in stagione, l'offerta culturale del Rendano è in linea con la tradizione e la storia della nostra città. Un altro punto di orgoglio – ha sottolineato ancora il primo cittadino - è che motore della 58ma stagione lirica e delle opere in cartellone, a cominciare da “Madama Butterfly”, sarà l'Orchestra Sinfonica Brutia, una realtà ormai consolidata, divenuta in breve tempo un vero e proprio fiore all'occhiello della città dopo la sfida che lanciammo a suo tempo con il maestro Francesco Perri, direttore del Conservatorio “Stanislao Giacomantonio” e che ha dato prospettive di lavoro e di gratificazione a tanti giovani musicisti”.

 Dal palcoscenico del teatro cosentino “Butterfly” era assente da quasi dieci anni, dal dicembre del 2014, quando a firmare la regia dell’opera pucciniana fu Vincenzo Grisostomi Travaglini, e a dirigere l’orchestra Alberto Hold-Garrido. In quella messa in scena, nel ruolo di Butterfly-Cio Cio San, c’era il soprano Cinzia Forte. Nell’allestimento che venerdì 10 novembre inaugurerà la 58ma stagione lirica del Rendano, una produzione di “Effepi” di Franco Barbera, la regia sarà di Marco Voleri, formatosi all’Accademia del teatro alla Scala di Milano e proveniente dal canto lirico, essendo, prima ancora che apprezzato regista, tenore affermato, al punto da aver eseguito nel 2015 l’Ave Maria di Vavilov davanti a Papa Francesco e, nel 2020, l’Inno di Mameli davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Intensa anche la sua attività di regista.

La “Madama Butterfly” targata Marco Voleri si propone di esplorare le emozioni complesse e i conflitti culturali che permeano l’opera (soprattutto quello tra Oriente e Occidente che nel melodramma pucciniano è incarnato dalla figura di Pinkerton), mettendo in luce questa contrapposizione tra i due mondi, rappresentati dai personaggi centrali: oltre al cinico e freddo Pinkerton, l’ingenua e vulnerabile giovane ragazza giapponese Cio Cio San.

 Nella “prima” di venerdì 10 novembre e nella replica di domenica 12 novembre (ore 17,00), l’Orchestra Sinfonica Brutia sarà diretta dal maestro Giuseppe Finzi, graditissimo ritorno il suo a Cosenza dove è stato per oltre un decennio direttore musicale del teatro Rendano ai tempi della direzione artistica di Italo Nunziata. Il maestro Finzi, formatosi all'Accademia del Teatro alla Scala di Milano con Riccardo Muti e che al Rendano ha diretto anche altre opere (una delle ultime, nel 2017, un “Elisir d'amore” di Gaetano Donizetti), è stato alla guida di numerose orchestre nei teatri più prestigiosi. A volerlo nuovamente al Rendano è stato il maestro Luigi Stillo che anche quest’anno firma il progetto artistico della stagione lirica del Teatro Rendano.

 A favorire il ritorno di Finzi a Cosenza ha contribuito anche il periodo particolarmente florido e di intensa collaborazione tra i due, quando Stillo era maestro di sala del Rendano (lo è stato per lungo tempo) e Finzi direttore musicale. Il maestro Stillo ha voluto dare un’impronta particolare nella scelta del cast artistico. “Nella filosofia della ripartenza - lo abbiamo già fatto l'anno scorso con Rigoletto e Don Pasquale- anche quest'anno – dice Luigi Stillo - vedremo un cast formato, nei ruoli principali, da cantanti che hanno una loro storia consolidata, in Italia e all'estero, come il soprano Francesca Tiburzi (Butterfly- Cio Cio San) e il tenore Vitaliy Kovalchuk (Pinkerton)”.

 Suzuki è, invece, Alessandra Palomba che lo scorso anno era stata Maddalena in “Rigoletto”. Cantante di particolare versatilità, porta con sé non solo il suo bagaglio tecnico-musicale, ma anche la sua esperienza di grandi palcoscenici. A completare il cast di “Madama Butterfly” anche alcuni artisti calabresi che cantano in giro per il mondo ma che non vivono più in Calabria da anni.

 “Li abbiamo fatti tornare – sottolinea Stillo - facendo leva sull'affetto e l'amicizia maturati nel passato. E’ il caso di Piero Terranova nel ruolo di Sharpless e Saverio Pugliese in quello di Goro. Un’altra prerogativa nel reclutare le voci è stata quella di coinvolgere molti nostri giovani studenti ed anche qualche diplomando o diplomato nelle classi di canto del nostro Conservatorio e di quelli limitrofi, perché è molto importante farli tornare o farli debuttare sul palcoscenico del Rendano anche in piccoli ruoli, perché si può rivelare un trampolino di lancio per il futuro e un'occasione da prendere al volo.

 E la stagione lirica del Rendano si rivela in questo caso l'unico banco di prova per poter tradurre sul campo quanto imparano in Conservatorio”.

 Il coro Lirico “Francesco Cilea” sarà diretto dal maestro Bruno Tirotta. Le scene sono di Cristina Russo, i costumi della sartoria teatrale Bianchi di Milano, mentre le coreografie di Filippo Stabile.

 I ballerini in scena sono Alessia Tavolaro e Francesco Pio Minio. La “prima” di venerdì 10 novembre sarà preceduta, giovedì 9 novembre, alle ore 11,00, dall’anteprima per le scuole. L’opera “Madama Butterfly” sarà presentata al pubblico, ripristinando la buona abitudine della guida all’ascolto, sempre giovedì 9 novembre, alle ore 17,30, nella Sala “Quintieri” del Rendano, dal critico musicale Luca Fialdini, alla presenza del direttore d'orchestra Giuseppe Finzi e del regista Marco Voleri.

Autore: Giuseppe Di Donna

https://www.comune.cosenza.it/archivio10_notizie-e-comunicati_0_21259.html

PRESENTAZIONE DEL LIBRO "LA FABBRICA DELL'INCANTO"

Ridotto dei palchi “A. Toscanini”

Presentazione del libro "La fabbrica dell'incanto - La Scala dietro le quinte" di Repubblica, a cura della redazione Milano


Il volume sarà in distribuzione gratis giovedì 30 novembre con la Repubblica nelle edicole di Milano e della Lombardia.

“La fabbrica dell’incanto – La Scala dietro le quinte” è un libro di oltre 180 pagine dedicato al nostro Teatro e ad alcune delle figure che contribuiscono a farlo vivere sul palcoscenico, in buca, nei laboratori e negli uffici.

Un vero racconto corale curato da Carlo Annovazzi, Angelo Foletto e Francesco Manacorda e concertato tra le firme del giornale e alcuni dei protagonisti del lavoro quotidiano del Teatro. Si parte dalla storia con un approfondimento di Angelo Foletto e un’intervista immaginaria di Alberto Mattioli alla Scala stessa, e si passa alle interviste ai protagonisti di oggi: il Sovrintendente Dominique Meyer, il Maestro Riccardo Chailly, il Direttore del Coro Alberto Malazzi e quello del Corpo di Ballo Manuel Legris, l’étoile Roberto Bolle, la prima ballerina Alice Mariani e la spalla Laura Marzadori. Accanto a loro altre figure che con il loro lavoro hanno fatto o fanno grande la Scala ogni giorno, come il regista Davide Livermore o la scenografa Margherita Palli che ci parla del lavoro fatto alla Scala con Ronconi, con Mario Martone e con gli artisti e artigiani dei laboratori.


Oltre alle interviste ai protagonisti, il volume raccoglie testimonianze dai diversi mondi che insieme costituiscono il Teatro: Mario Botta parla della trasformazione architettonica del Teatro, il Coordinatore artistico André Comploi della piattaforma streaming LaScalaTv che inaugurerà gli abbonamenti a gennaio per portare gli spettacoli in diretta in ogni angolo del mondo, la Direttrice Donatella Brunazzi parla del Museo che attira folle di turisti ogni anno, il Direttore Marketing Lanfranco Li Cauli di un pubblico che ringiovanisce in un quadro completato da Mario Acampa che racconta gli spettacoli per bambini; alla Direttrice Luisa Vinci il compito di raccontare l’Accademia.

Ancora, il Capo ufficio stampa Paolo Besana e il Responsabile dell’Archivio storico Andrea Vitalini schiudono con Luciana Ruggeri l’immenso patrimonio degli archivi scaligeri, e Marco Brescia e Rudy Amisano raccontano il lavoro di fotografare gli spettacoli, con un contributo di Silvia Lelli.

https://www.teatroallascala.org/it/stagione/2023-2024/incontri/presentazione-del-libro-la-fabbrica-dell-incanto.html

BURMA TO MYANMAR.BRITISH MUSEUM

 Exhibition / 2 Nov 2023 – 11 Feb 2024

From influential superpower to repressive regime, Myanmar – also known as Burma – has seen dramatic fluctuations in fortune over the past 1,500 years.

Experiencing decades of civil war and now ruled again by a military dictatorship, Myanmar is an isolated figure on the world stage today, and its story is relatively little known in the West. However, the extraordinary artistic output of its peoples, over more than a millennium of cultural and political change, attests to its pivotal role at the crossroads of Asia.

Picking up the thread around AD 450, the exhibition explores how Myanmar's various peoples interacted with each other and the world around them, leading to new ideas and art forms. From the 14th century several kingdoms jostled for power and expanded important links with Thailand, China, Sri Lanka, and traders from the Middle East and Europe, creating a fertile ground for diverse cultures to flourish; a coin issued by King Dhammaraja Hussain (r. 1612–22) of the Arakan kingdom, inscribed in Arakanese, Bengali and Persian, shows the wide reach of his trade and political networks.

Rulers in central Myanmar came to dominate parts of the region between the 16th and 19th centuries, becoming the largest empire in mainland Southeast Asia. A stunning gold and ruby-studded letter sent by King Alaungpaya to George II in 1756 speaks to the empire's wealth and power.

Annexation by the British in the 19th century saw tremendous changes impacting art, culture and society – and contributed to the turmoil faced by Myanmar today. The show concludes by exploring how modern-day artists have defied state censors, marrying activism with artistic traditions in expressions of resistance and hope.

Interconnected yet cut-off, rich in natural resources such as jade, rubies and teak but with much of the country living below the poverty line, Myanmar is a country that defies categorisation. This unprecedented exhibition offers the chance to see the history behind the headlines.

https://www.britishmuseum.org/exhibitions/burma-myanmar

CON LA ORQUESTA Y CORO NACIONALES DE ESPAÑA (OCNE), PRECIOSA MATINÉE EN EL AUDITORIO NACIONAL. SINFÓNICO O8

Orquesta y Coro Nacionales de España Y Coro de la Comunidad de Madrid. Obras de Edward Elgar (1857-1934) y Ralph Vaughan Williams (1872-1958). Domingo 26 de noviembre, 2023. Sala Sinfónica

Guillermo García Calvo, director de orquesta

Primera Parte

Edward Elgar, Concierto para violonchelo en Mi menor, op. 85

Sheku Kanneh-Mason, violonchelo

Segunda parte

Ralph Vaughan Williams, Sinfonía núm. 1 «Una sinfonía marina»

Sally Matthews, soprano

José Antonio López, barítono

Coros Nacional y de la Comunidad de Madrid, Miguel Ángel Cañamero y Josep Vila i Casañas, respectivamente.

En la primera parte, La ONE, adecuadamente dirigida por el maestro García-Calvo, con el solista de origen subsahariano- británico, Sheku-Kanneh-Mason, lograron un comienzo sensible, tierno y “en douceur” (con suavidad, tranquilamente) para esta obra de un compositor que se vio amplificado en su día por las maravillosas manos y el chelo de Jacqueline du-Pré, tan llorada hasta hoy por su calidad musical, única y su desaparición tan prematura y dolorosa. También lo realzaron Pau Casals y otros importantes chelistas.

El Concierto para violonchelo en mi menor, Op. 85 es una pieza concertante escrita por Edward Elgar en 1919. Es una de sus obras más notables, piedra angular del repertorio para violonchelo. Contemplativo y elegíaco, fue compuesto después de la Primera Guerra Mundial, momento en que su música había pasado de moda para el público aficionado a conciertos. Está escrita para un violonchelo solista, 2 flautas, 2 oboes, 2 clarinetes en la, 2 fagotes, 4 trompas en fa, 2 trompetas en do, 3 trombones, tuba, timbales y la sección de cuerdas.

El solista, Sheku Kanneh-Mason (Nottingham, 1999) es un violonchelista británico que recibió el premio de la BBC de Músico del Año de la BBC en 2016. Es el primer músico de etnia subsahariana en ganarlo. También es miembro de la Orquesta Chineke!, fundada por Chi-chi Nwanoku para intérpretes de música clásica pertenecientes a minorías étnicas como su hermana Isata y su hermano Braimah y actualmente estudia en la Real Academia de Música en Londres. Como paradigmas, ha citado a la prominente violonchelista Jacqueline du Pré antes mencionada y a Mstislav Rostropóvich como sus modelos musicales, así como a Bob Marley (cuyo peinado ha probablemente influido mucho en el suyo).

Con estas inspiraciones, que se desenhebran muy bien en la interpretación y las capacidades técnicas del joven intérprete, se comprende que hiciera un magnífico relato sonoro de esta partitura, consiguiendo momentos de gran belleza y complicidad con el público, aunque menos con el director esta vez y la orquesta, ya que su seguridad e idiosincracia lo vuelcan más a un desarrollo y ensoñación ad libitum en la manera de producirse en escena. Muy simpático y abierto, agradeció los aplausos de los presentes con un encore dibujado en “pizzicati” y firmó discos en el entreacto.

Por su parte, el maestro García-Calvo (Madrid, 4 de agosto de 1978), que vive en Viena de manera habitual, es un director de orquesta español, con una extensa carrera desarrollada en escenarios internacionales como la Deutsche Oper Berlin (Ópera Alemana de Berlin), la Wiener Staatsoper (Ópera Estatal de Viena), con los que mantiene una estrecha relación, o la Ópera de París, entre otros. Y sedes españolas como la Ópera de Oviedo, el Gran Teatro del Liceo de Barcelona o el Teatro Real y el Teatro de la Zarzuela de Madrid. Desde la temporada 2017/2018 es Generalmusikdirektor del Theater Chemnitz (Alemania) y Director Titular de la Robert-Schumann-Philharmonie​.

Alma temeraria, exploradora, yo contigo y tú conmigo,

Porque estamos destinados donde el marinero aún no se ha atrevido a ir, ...

¡Oh mi alma valiente!¡Oh, ve más lejos, más lejos!” Walt Whitman, Hojas de hierba

No es una responsabilidad baladí llevar a buen puerto el barco de esta Sinfonía Marina llena de escollos y dificultades, porque una formación importante y la reunión de cien personas a partir de los dos coros presentes, además de los dos solistas, soprano y barítono, lo convierten en un desafío formidable.

Efectivamente, la Sinfonía del mar (A Sea Symphony) para orquesta y coro fue escrita entre 1903 y 1909, resultando la primera y más larga sinfonía de Vaughan Williams estrenada en el Festival de Leeds de 1910, bajo la dirección del propio compositor.

Vaughan Williams nunca previamente había intentado un proyecto de esta extensión, o para fuerzas orquestales y corales tan dimensionadas , antes de lo que finalmente serían sus nueve sinfonías. A Sea Symphony se diferencia de la mayoría de las sinfonías corales anteriores en que el coro canta en todos los movimientos.​ En un estudio de 2013, Alain Frogley la describe como “una obra híbrida, con elementos de sinfonía, oratorio y cantata y dentro de su construcción completamente tonal contiene disonancias armónicas que hacen eco de las primeras obras de Ígor Stravinski que llegarían a continuación”.​

Sigue un perfil sinfónico bastante estándar: movimiento introductorio rápido, uno lento, scherzo y finale. Los cuatro movimientos son: Una canción para todos los mares y todos los barcos (para barítono, soprano y coro). Moderato maestoso (Re mayor ). Solo en la playa de noche (barítono y coro). Largo Sostenuto (Mi menor). Scherzo: las olas (coro). Largo Sostenuto (Mi menor). Los Exploradores (barítono, soprano, semicoro y coro). Grave e molto adagio – Allegro animato (Mi mayor).

Su texto emerge del gran poemario Leaves of Grass del icónico Walt Whitman. El uso de Whitman del verso libre también comenzaba a interesar en el mundo de la composición, donde la fluidez de la estructura se antojaba más atractiva que la configuración métrica tradicional del texto. Con una orquestación poderosa y avasalladora, se incluyen un órgano, dos arpas y cuerdas, con un despliegue muy generoso de metales y percusión y los coros que cantan en los cuatro movimientos. Ambos solistas aparecen en el primero y el último, mientras que el barítono solo canta en el segundo. El scherzo es solo para coro y orquesta.

Algunos pasajes respiran fragmentos comparables con Stanford, Parry y Elgar. Los cuatro no solo estaban escribiendo al mismo tiempo y en el mismo país, sino que Vaughan Williams había estudiado con Stanford y Parry en el Royal College of Music (RCM) y sus preparativos para componer A Sea Symphony también habían incluido el estudio de las Variaciones Enigma de Elgar (1898-1899) y de su oratorio El sueño de Geronte (1900). De estas apreciaciones se podría derivar además la cohesión y la coherencia reflejadas en la elección de estas dos composiciones para este nuevo eslabón de Sinfónico (el 8) de la OCNE.

El tema del mar, verdadera obsesión para el ser humano, por la imposibilidad de abarcarlo, y descifrar su inmensidad y misterio, su capacidad hipnótica, recorre otras producciones escritas en la misma época en Inglaterra, como- entre otras-  Songs of the Sea (1904) y Songs of the Fleet (1910), de Stanford, Cuadros marinos de Elgar (1899) y El mar de Frank Bridge (1911). La Mer (1905) de Debussy también se inscribe en esta manifiesta atracción acuática.

De vibrante y necesaria actualidad en estos tiempos de cambio climático y desastres ecológicos, el mar, los océanos, siguen siendo medidores eficaces de nuestra habilidad para sobrevivir como planeta y civilización o de autodestruirnos, que más bien parece formar parte últimamente de las tendencias suicidas de quienes organizan guerras y hunden la paz en todo el mundo. La música aquí también acompaña las grandes epopeyas humanas, a veces hacia adelante, por momentos de regreso inminente a la caverna.

Bella voz la de la soprano Sally Matthews, buen fraseo y fiato, exquisita presencia en escena, con un vestido de cuerpo de tafetán, revestido en gasa albicelestes con volantes y salpicaduras de lentejuelas, evocando una sirena venida a la tierra para cantar. Una interpretación ajustada con mucho cuidado, que hubiera destacado más y mejor con un control más cerrado de la potencia de coros e instrumentos, lanzados a “tutta orchestra”.


José Antonio López compuso una franca voz baritonal rica, expresiva, noble, registros generosos, de cumplida técnica, muy apolínea, con atractiva teatralidad, contenida y sobria. Y cascadas de agua literaria y musical, desplegado sonido y arrebatado resonando por la sala (difícil de medir y regular) pero también mucho corazón y esfuerzo volcado por todos, los directores de los coros, el maestro García-Calvo y los bien elegidos solistas fluyendo a la vez, vibrando, en esta segunda fracción de la matinal.

Las dos partes del concierto fueron muy aplaudidas, en un Auditorio prácticamente lleno, donde el talento fue una vez más actor y representación de un proyecto común, de nuevo, siempre, la OCNE and (great) friends.

Alicia Perris

jueves, 23 de noviembre de 2023

CON EL BARÍTONO GERALD FINLEY Y EL PIANISTA JULIUS DRAKE: GALVANIZAN EL TEATRO DE LA ZARZUELA EN EL CICLO DEL LIED

 

XXX CICLO DE LIED RECITAL 03 | Coproducido por el Teatro de la Zarzuela y el Centro Nacional de Difusión Musical [CNDM].  Teatro de La Zarzuela. Gerald Finley, bajo-barítono

Julius Drake, piano. LUNES 20/11/23 20:00h.

PRIMERA PARTE

PROGRAMA

ROBERT SCHUMANN (1810-1856)

Lehn’ deine Wang’, op. 142, nº 2 (1840)

De Fünf Lieder und Gesänge, op. 127 (1840)

Es leuchtet meine Liebe, nº 3

Dein Angesicht, nº 2

Mein Wagen rollet langsam, op. 142, nº 4 (1840)

Belsatzar, op. 57 (1840)

Die feindlichen Brüder, op. 49, nº 2 (1840)

Abends am Strand, op. 45, nº 3 (1840)

Die beiden Grenadiere, op. 49, nº 1 (1840)

 

FRANZ SCHUBERT (1797-1828)

De Schwanengesang, D 957 (1828)

Ihr Bild, nº 9

Das Fischermädchen, nº 10

Die Stadt, nº 11

Am Meer, nº 12

Der Doppelgänger, nº 13

Der Atlas, nº 8

SEGUNDA PARTE

HENRI DUPARC (1848-1933)

Sérénade, IHD 17 (1869)

Soupir, IHD 18 (ca. 1869)

Le manoir de Rosemonde, IHD 13 (1879)

L’invitation au voyage, IHD 10 (ca. 1870)

Phidylé, IHD 14 (1882)

BENJAMIN BRITTEN (1913-1976)

Um Mitternacht (1962)

GRAHAM PEEL (1877-1937)

De The country-lover (1910), The early morning, nº 4

RALPH VAUGHAN WILLIAMS (1872-1958)

De The house of life (1903), Silent noon, nº 2

FRANZ LISZT (1811-1886)

Go not, happy day, S 335 (1879)

CHARLES IVES (1874-1954)

De 114 songs (1922), When stars are in the quiet skies, nº 113

COLE PORTER (1891-1964)

De Gay divorce (1932)

Night and day


“Là, tout n´est qu´ordre et beauté,

Luxe, calme et volupté” de Charles Beaudelaire, de L´invitation au voyage.

Mágica velada la ofrecida por estos dos artistas de renombre internacional. Magnífico y complicado repertorio, por su variedad y complejidad, que exigen técnica, gusto y experiencia. Una joya rara y excepcional en medio del panorama casi invernal del foro.

Gerald Finley, canadiense de Montreal, (nació el 30 de enero de 1960) es un bajo-barítono famoso como liederista e intérprete de Mozart. Estudió en la St. Matthew's Anglican Church (Ottawa)|, la University of Ottawa, el King's College, Cambridge y el Royal College of Music de Londres. Se destaca en personajes de óperas de Mozart como Guglielmo en Così fan tutte, Papageno en La Flauta Mágica, el conde de Las bodas de Fígaro, y Don Giovanni, sin olvidar el peculiar Athanael de la Thaïs de Massenet.

Debutó en el Metropolitan Opera en 1998 como Papageno en Die Zauberflöte​ y en obras contemporáneas como el Doctor Oppenheimer en la ópera de John Adams el Doctor Atomic en la San Francisco Opera y luego en el Metropolitan Opera en 2008. Frecuenta prestigiosas salas de concierto como el Carnegie Hall y Wigmore Hall donde ha destacado como intérprete de Lieder, especialmente en Amor de poeta de Robert Schumann. Transita también a los rusos como Eugenio Oneguin, Nick Shadow en The Rake's Progress, Agammenon en Ifigenia en Táuride, Rinaldo de Handel, Pelléas et Mélisande y otras.

Cuando se glosa un recital de lied, la voz adquiere un papel preponderante y en principio es lógico. A veces se menciona al acompañante como de paso, pero en esta ocasión, Julius Drake merece un capítulo propio. No solo va de “colaborador secundario” a priori del cantante, sino que, sin violentar a este y a su despliegue vocal y escénico, restaura gloriosamente la importancia de las partituras que interpreta el barítono y recrea su personal lectura con un piano con el que fabrica las más convincentes interpretaciones.

Julius Drake, inglés, de quien hablamos, vive en Londres y goza de una reputación internacional como uno de los mejores instrumentistas en su campo. Aparece regularmente en las principales salas y festivales de música: Aldeburgh, Edinburgh International, Múnich, Schubertiade, Salzburg, Carnegie Hall, Lincoln Center, Nueva York, Royal Concertgebouw, Ámsterdam, Wigmore Hall y BBC Proms, Londres. Famoso también por sus numerosas grabaciones, destacan las realizadas con el aclamado Gerald Finley para el sello Hyperion, de la cuales: Barber Songs, Schumann Heine Lieder y Britten Songs and Proverbs, que ganaron los Premios Gramophone 2007, 2009 y 2011. Con estos mimbres, no es raro que se haya preparado una preciosa función en el Teatro de La Zarzuela esta temporada.

Robert Shumann abrió el comienzo del recital, poniendo música a varios poemas de Heinrich Heine, el poeta que conquistó a Elizabeth de Austria y al que odiaron los Nazis por ser judío como solo ellos sabían hacerlo. Destacaron- y estas apreciaciones son a menudo temperamentales e idiosincráticas- las más amorosas, Lehn´deine Wang, Es leuchtet meine Liebe y Dein Angesicht, interpetadas por el dúo con delicada ensoñación. Hábil Drake (no impunemente se lleva el apellido de un pirata…) para traspasar las atmósferas emocionales con un instrumento que vigilaba sin tregua el desarrollo de los textos, muy adecuada la dicción alemana del intérprete.

Probablemente el hecho de haber nacido en un país bilingüe como Canadá, haya dotado (y el estudio y el esfuerzo) al cantante para una evidente capacidad para los idiomas. Y su amplio registro, el generoso fiato, los agudos hipnóticos como suspendidos en el aire. La teatralidad, el sentido del humor, muy British de la Commonwealth. Por si esto no fuera suficiente, elegante, guapo y varonil. Presencia escénica asegurada en su traje azulón con corbata burdeos, muy compatible con el parecido atuendo de Drake. Canta con la garganta y con el cuerpo.

Belsatzar nos retrotrajo a la violencia de los hebreos en el Antiguo testamento, castigando a un monarca preso de sus propias veleidades de poder. De todos conocida la ira de este Jehová ancestral y castigador de la Biblia siempre vigente y actualizado.

No hace falta aclarar quién era el Emperador, al que se hacía referencia en la heroica canción  Los dos granaderos siempre de Heine, llena de ímpetu belicista, defendiendo un personaje al que seguramente evoca con rencor casi toda la audiencia presente en la sala. Historia europea aparte, cautivó y rindió a los presentes. Siguieron las canciones de Franz Schubert, con una paleta gozosamente dispersa en los climas y la temática, para dar paso, ya luego de la pausa, a repertorios en varias lenguas, que comenzaron con creaciones de Henri Duparc.

De este compositor comentó una famosa soprano que tuvo cierto momento de éxito en la capital española este mismo año, “que lo había suprimido de su recital porque casi todo el público se había dormido con él en el Met de Nueva York” (sic). Sin embargo, para otro tipo de audiencia, más refinada, más culta, difícilmente pueda escucharse una partitura más sofisticada con el poema de Charles Baudelaire, bordados también en Madrid por el contratenor Philipe Jaroussky, experto en este tipo de “paraísos artificiales” (y otros muchos).

Los asistentes encontrarían largo el programa, por lo que es fácil suponer lo que ha significado para Finley y sus cuerdas vocales. Nada. Se deslizó como un felino por los pentagramas, con una línea de canto única, unas matizaciones y reguladores soberbios, con una capacidad de transmitir y comunicar y un gusto musical fuera de lo común (que no tienen automáticamente todos los de este oficio).

Un Britten en alemán (Um Mitternacht), The early morning de Graham Peel, Mediodía en silencio de Vaughan Williams, la única creación de Liszt en inglés, Go not, happy day, condujeron en la velada a otras destilaciones estéticas muy delicadas, para adentrarse, ya al final, en el swing, el blues y el perfume de la música jazzística en When the stars are in the quiet skies, de Charles Ives y Night and day de Cole Porter, pasando de una concepción del Romanticismo a “otro”, más de hoy.

El público del Teatro de La Zarzuela en general es conocedor, son “habituales” o abonados en su mayoría, no le da todo igual, calibra, sopesa y valora. Y reconoce la excelencia, así que los aplausos y “bravos” cayeron a raudales sobre estos artistas que no se dejaron nada para la vez siguiente. Ahí quedan los silencios y los rubato inteligentes y disimulados de Drake, para dejar respirar al cantante, y el desciframiento sublimado y minucioso del barítono de un repertorio que no está al alcance de bisoños o improvisados.

Antes de despedirse del todo, Gerald Finley dedicó una canción a su abuelo, y- explicó en español- que cumpliría más de 140 años (“pero está muerto”), My heart in my Highlands, de Ottorino Respighi (1879-1936), con el mismo brío que hubiera demostrado Sean Connery blandiendo la espada en la legendaria película Los inmortales (episodio 1). Por si a alguien le hubieran asaltado dudas sobre su capacidad de interpretar y decodificar personajes, “Beber”, de Maurice Ravel (1875-1937) anunciado por Julius Drake, fue un gozoso cierre entre la ensoñación del fascinante clímax y un vaho etílico expandiéndose por la sala, maravillosamente declinado.

Alicia Perris

STATEMENT FROM PRESIDENT JOE BIDEN ON THE 60TH ANNIVERSARY OF THE ASSASSINATION OF PRESIDENT JOHN F. KENNEDY

 Sixty years ago today, President John F. Kennedy was assassinated, a defining moment of deep trauma and loss that shocked the soul of our nation. Millions of Americans still remember exactly where we were when it happened. I was in college and had just left class, joining other students glued to the news in silence along with the entire country.

The weeks and months that followed awakened a generation. President Kennedy had been a war hero, senator, and statesman. He set our nation’s compass firmly on many of the most consequential issues of the 20th century, from civil rights, to voting rights, to equal pay for women. He led with calm resolve through the most dangerous moments of the Cold War. And at the dawn of a new decade, he called us forward to a new frontier, propelling us to the moon and beyond. He inspired a nation to see public service as a calling.

Like millions, I deeply felt his conviction and dreams for America. His ideas rhymed with the lessons I’d learned from the nuns at school and around my father’s kitchen table – that we are each called to do good works on this earth, to try to make our world a better place in the service of others. But what stuck with me most was President Kennedy’s courage, his heroic sense of duty, and his family’s capacity to absorb profound suffering.

We saw that most clearly with First Lady Jacqueline Kennedy, whose grace and resilience still hold the hearts of the American people, as they did during that most challenging time in the life of her family and of our nation. His brother, Robert, was one of my greatest political heroes; and Teddy was one of my closest friends. His daughter, Caroline, remains a dear friend as well, along with countless Kennedy family members whom Jill and I have been privileged to know, and to whom we send our love and affection on this day of remembrance.

In life and in death, President Kennedy changed the way we saw ourselves – a country full of youthful hopes and ambition, steeled with the seasoned strength of a people who’ve overcome profound loss by turning pain into unyielding purpose. He called us to take history into our own hands, and to never quit striving to build an America that lives up to its highest ideals.

On this day, we remember that he saw a nation of light, not darkness; of honor, not grievance; a place where we are unwilling to postpone the work that he began and that we all must now carry forward. We remember the unfulfilled promise of his presidency – not only as a tragedy, but as an enduring call to action to each do all we can for our country.

May God continue to bless President John F. Kennedy.

https://www.whitehouse.gov/briefing-room/statements-releases/2023/11/22/statement-from-president-joe-biden-on-the-60th-anniversary-of-the-assassination-of-president-john-f-kennedy/

L'APPARTEMENT 24S: CHARLES DE VILMORIN

 

A chat with the young fashion prodigy on Paris and his unisexe capsule collection with @24Sofficial



DACIA. L’ULTIMA FRONTIERA DELLA ROMANITÀ. MUSEO NAZIONALE ROMANO, TERME DI DIOCLEZIANO

 21 Novembre 2023 - 21 Aprile 2024

Oltre 1000 opere provenienti da 47 musei della Romania esposte per la prima volta in Italia

Dal 21 novembre 2023 il Museo Nazionale Romano ospita nelle Aule delle Terme di Diocleziano la mostra “Dacia. L’ultima frontiera della Romanità”, la più grande e prestigiosa esposizione di reperti archeologici organizzata dalla Romania all’estero negli ultimi decenni, per ripercorrere lo sviluppo storico e culturale del proprio territorio nell’arco di oltre millecinquecento anni, dall’VIII sec. a.C. all’VIII sec. d.C.

 La mostra, a cura di Ernest Oberlander direttore del Museo Nazionale di Storia della Romania, e di Stéphane Verger direttore del Museo Nazionale Romano, si riallaccia alle esposizioni di Madrid (Museo Archeologico Nazionale, 2021) e Bucarest (Museo Nazionale di Storia della Romania, 2022), ampliandone il percorso: a Roma infatti (fino al 21 aprile 2024) saranno presentati circa 1000 oggetti provenienti da 47 musei rumeni, oltre che dal Museo Nazionale di Storia della Repubblica di Moldova per la prima volta esposti accanto ad alcuni reperti del Museo Nazionale Romano.

Tema della mostra è la costruzione della Romanità, già al centro di un’altra grande esposizione: “Tota Italia. Alle origini di una nazione” realizzata con la Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura, curata da Massimo Osanna e Stéphane Verger (Roma, Scuderie del Quirinale, 14 maggio – 25 luglio 2021).

La realizzazione della mostra “Dacia. L’ultima frontiera della Romanità” è stata possibile grazie all’Ambasciata della Romania in Italia, in partenariato con il Museo Nazionale di Storia della Romania e il Museo Nazionale Romano, al Ministero Romeno della Cultura, al Ministero degli Affari Esteri della Romania, al Ministero della Difesa Nazionale della Romania, all’Istituto Culturale Romeno tramite l’Accademia di Romania, al Ministero della Cultura italiano e alla Direzione generale Musei.

Posta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Romania e del Presidente della Repubblica Italiana, la mostra segna un doppio anniversario per i rapporti bilaterali romeno-italiani: sono trascorsi infatti 15 anni dalla firma del Partenariato Strategico Consolidato tra la Romania e l’Italia e 150 anni dalla costituzione della prima agenzia diplomatica della Romania in Italia. 

Nel suo messaggio di saluto il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella ripercorre le tappe della solida amicizia tra Romania e Italia e dichiara: “Le relazioni diplomatiche tra Bucarest e Roma risalgono al 1879, anno successivo al conseguimento dell’indipendenza romena dall’Impero ottomano. Tuttavia, l’amicizia unica che esiste tra Romania e Italia ha radici ben più antiche, che risalgono alla conquista della ricca Dacia da parte dell’Impero Romano, iniziata nel I secolo a.C. e completata dall’imperatore Traiano nell’anno 106 d.C. La presenza romana fu tutto sommata breve, ma l’influenza nella regione fu profonda, lasciando l’impronta indelebile della latinità nella zona dei Carpazi e del Basso Danubio. Oggi tale interconnessione storica, culturale e linguistica, insieme alla condivisa eredità di una civiltà millenaria, cementa anche i legami politici ed economici tra i due Paesi, ulteriormente rafforzati dai sempre più intensi contatti tra le nostre società civili, oltre che dalla comune appartenenza all’Unione Europea e all’Alleanza Atlantica”.

LA MOSTRA

L’evento segna l’apice degli scambi culturali bilaterali e mette insieme importanti reperti, per seguire l’evoluzione storica del territorio dell’attuale Romania, lungo un percorso temporale di oltre millecinquecento anni, dall’VIII sec. a.C. all’VIII sec. d.C., raccontando i numerosi contatti e scambi avvenuti in questa regione, grazie all’abbondanza di risorse e alla posizione tra l’Europa e l’Asia.

Ad aprire il percorso, il calco di una scena scolpita sulla Colonna Traiana (scena XXXII, spirale V), che ritrae tre arcieri Daci che tengono sotto tiro i Romani assediati all’interno di una città e che l’archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli fece colorare agli inizi degli anni ’70, dimostrando così l’esistenza del colore nell’architettura dell’antichità imperiale romana.

Accanto sono esposti capolavori come il Serpente Glykon da Tomis, raffigurazione in marmo di un ‘demone buono’ che guarisce dalle epidemie; il magnifico elmo d’oro di Cotofeneşti di manifattura tracia, con varie scene di sacrificio; l’elmo celtico di bronzo da Ciumeşti, col sorprendente cimiero a forma di aquila che stupisce per l’unicità della fattura e progettualità; il tesoro gotico di Pietroasele del IV secolo d.C. con l’eccezionale phiale (coppa) d’oro lavorata a sbalzo e le grandi fibule; e ancora alcuni bracciali d’oro daci, le tavolette in bronzo della Lex Troesmensium e il donarium di Biertan.

In mostra anche un’ampia selezione di importanti reperti – tra cui armi, vasi, ceramiche, monete, gioielli e corredi per i riti di magia – attraverso i quali è possibile scoprire la religione, l’arte, l’artigianato, il commercio e la vita quotidiana della antica Dacia.

Come un viaggio millenario durante il quale vedere l’evoluzione degli antenati geto-daci verso i popoli geti e daci; la trasformazione di una parte della Dacia in provincia romana; l’integrazione di questo spazio nel mondo romano; la sopravvivenza della civiltà anche dopo l’abbandono del territorio dacico da parte dell’esercito e dell’amministrazione di Roma; la convivenza degli abitanti del territorio con le popolazioni migranti.

Il fascino della mostra emerge dall’intreccio e dall’influsso reciproco delle civiltà, dalle trasformazioni profonde, dal processo di formazione e adattamento che ha portato alla creazione di un’identità culturale, per un lasso di tempo che va dalla fine della prima età del ferro e fino agli albori della civiltà europea attuale, in uno spazio percepito dai contemporanei del millennio delle migrazioni come “ultima frontiera della Romanità”, luogo dove il fondamento linguistico gettato dalla lingua latina e il nome dei romani sono sopravvissuti, nonostante le vicissitudini, fino ai nostri giorni.

https://museonazionaleromano.beniculturali.it/evento/dacia-lultima-frontiera-della-romanita/

MARIN MONTAGUT. COLLECTIONS EXTRAORDINAIRES

 

Depuis toujours, Marin Montagut collectionne les objets dotés d’une âme dont la poésie parle à l’imagination. Au cours de ses voyages en France, il a rencontré de nombreux antiquaires et amateurs passionnés. Après nous avoir accueilli dans sa maison et son atelier, mélange poétique de couleurs et de styles où tous les objets de ses collections racontent une histoire, Marin nous embarque pour une plongée au coeur du monde magique de collections extraordinaires.

Le voyage commence dans le Perche, où l’on découvre une collection d’art populaire et de verrerie d’antan. Ensuite, s’ouvre à nous un bel hôtel particulier provençal qui abrite céramiques et vanneries. Sur les bords du Loir, on remonte le temps pour une visite insolite au musée des boutiques d’un autre siècle. On explore l’atelier d’un mouleur d’art et découvre l’étrange beauté de mannequins d’artistes venus du passé. On se met dans la peau d’un décorateur venu chercher un siège d’époque pour un film. On se faufile dans le labyrinthe d’un écrivain aux mille livres et tableaux, avant de se lancer dans une chasse aux trésors aux Puces de Saint-Ouen. Ce livre est une invitation à retrouver nos souvenirs d’enfance pour sublimer notre quotidien.

MUSEU DE L'ART PROHIBIT, CASA GARRIGA NOGUÉS

 
Durante la edición ARCO 2018, el coleccionista Tatxo Benet adquirió una obra del artista Santiago Sierra, titulada Presos Políticos en la España Contemporánea. Poco después, tras su adquisición, la galería que vendió la pieza la retiró de su stand. El mero etiquetado de 'presos políticos' desencadenó su CENSURA . Alguien decidió que los asistentes a esa edición ARCO no debían ver la obra de Santiago Sierra.

Este incidente sentó las bases para concebir una colección distintiva. Cinco años después, la acumulación de obras sometidas a CENSURA, CANCELACIÓN O DIVERSAS FORMAS DE ATAQUE ha dado origen al Museu de l'Art Prohibit. La iniciativa del empresario y periodista Tatxo Benet ha reunido cerca de 200 OBRAS, entre piezas de :

FRANCISCO DE GOYA

GUSTAV KLIMT

PABLO PICASSO

ZOULIKHA BOUABDELLAH

AMINA BENBOUCHTA

CHARO CORRALES

Lejos de acumular los escombros que el ABUSO DE PODER inflige a la creación artística, esta colección encarna un potencial incomparable dentro de nuestras sociedades. Así, el Museu de l'Art Prohibit muestra, junto con las obras de arte expuestas, ejemplos de lo que podríamos llamar creatividad masiva manifestada a través de cadenas ilimitadas de memes.

Para inaugurar el Museu de l'Art Prohibit, CASA GARRIGA NOGUÉS reabre sus puertas en pleno barrio del Eixample de Barcelona. Los espacios de este edificio, construido por Enric Sagnier i Villavecchia entre 1899 y 1901, fomentan una sensación de intimidad poco común en los entornos museísticos. La misión del museo es devolvernos la capacidad de contemplar OBRAS DE ARTE QUE FUERON RETIRADAS de la exhibición pública, de respirar en su presencia.

En sus 2.000 metros cuadrados, el museo ofrece un recorrido que evoca tanto la esencia escandalosa de la colección expuesta como sus facetas IRÓNICA, CONTEMPLATIVA, INCISIVA, LIBERADORA, CRÍTICA y EMPODERADORA . Las herramientas digitales integradas en la visita enriquecen el encuentro del visitante, una experiencia que se extiende más allá de las paredes de la galería, invitando al visitante a profundizar en instancias de censura como si atravesara un museo virtual.

https://www.museuartprohibit.org/en/museum/manifest

COLOUR-REVOLUTION-VICTORIAN-ART-FASHION. ASHMOLEAN MUSEUM, OXFORD

 A major exhibition, now open

21 Sep 2023 – 18 Feb 2024

Step into a revolution of colour and dispel our monochrome idea of Victorian Britain

Rediscover Victorian society as a vibrant colour-filled era – from dazzling dyes used in chic corsets, bold experiments by avant-garde painters, and the flamboyant use of nature's beauty in jewellery.

As Britain’s industrial revolution gained pace, new scientific breakthroughs allowed the Victorians to become increasingly revolutionary in their use of colour, with new hues greeted with both excitement and suspicion. This explosion of colour was embraced by artists, designers and many others in all walks of 19th-century life.


The exhibition includes fashion pieces – from Queen Victoria’s monotone mourning dress to the most daringly vivid clothing and accessories – and works by artists including Millais, Ruskin, Rossetti, Turner and Whistler, as well as objects from around the world and some of the earliest colour 'photograms'. It reveals the vital role that colour has played in shaping our art and culture and offers a rare opportunity to see some of these objects on public display.

Please note, the second room of the exhibition includes one object which discusses transatlantic slavery, which some visitors may find upsetting.

https://www.ashmolean.org/exhibition/colour-revolution-victorian-art-fashion-design#:~:text=21%20Sep%202023%20%E2%80%93%2018%20Feb%202024&text=Rediscover%20Victorian%20society%20as%20a,of%20nature's%20beauty%20in%20jewellery.





martes, 21 de noviembre de 2023

EN LAS GOLONDRINAS DE J.M. USANDIZAGA, EXCELENTE SEGUNDO REPARTO EN EL TEATRO DE LA ZARZUELA

 


Las golondrinas. Música, JOSÉ MARÍA USANDIZAGA. Drama lírico en tres actos. Libreto de GREGORIO MARTÍNEZ SIERRA Y MARÍA DE LA O LEJÁRRAGA. 18 NOVIEMBRE, 2023

PRODUCCIÓN DEL TEATRO DE LA ZARZUELA (2016) -

Dirección musical, JUANJO MENA

Dirección de escena, GIANCARLO DEL MONACO

Escenografía, WILLIAM ORLANDI

Vestuario, JESÚS RUIZ

Iluminación, VINICIO CHELI

Ayudante de dirección y movimiento coreográfico, BARBARA STAFFOLANI

Reparto

Puck, CÉSAR SAN MARTÍN

Lina, SOFÍA ESPARZA

Cecilia, MARÍA ANTÚNEZ

Juanito, JORGE RODRÍGUEZ-NORTON

Roberto, JAVIER CASTAÑEDA.

Orquesta de la Comunidad de Madrid, Titular del Teatro de La Zarzuela

Coro del Teatro de La Zarzuela. Director, Antonio Fauró

“…Lo que Canio o Puck pueden tener en común es la trama de la locura, esa fantasía o solución teatral que se viste de música en el escenario. E igual que ocurre con ellos, la locura —ya por dinero o por amor— estalla en el desenlace de obras como Dama de Picas o Eugenio Oneguin, de Chaikovski, o El jugador de Prokófiev. El Teatro y la Locura. La esencia de lo que somos”. Giancarlo del Monaco, para Las Golondrinas.

Según se señala en la información del Instituto Complutense de Ciencias Musicales, esta partitura, Las golondrinas, contó con un compositor, José María Usandizaga Soraluce (1887-1915) que fue un precoz talento de la música vasca. Su desaparición, al igual que la de Juan Crisóstomo Arriaga, en plena juventud, frustraría la esperanza de renovación lírica que hacía presagiar su obra.

Compositor especialmente dotado para la escena, legó obras fundamentales como esta que se repone a partir de una producción anterior en el coliseo madrileño, o La llama. La que nos ocupa era, en su versión original, una zarzuela grande en tres actos, inspirada en el drama Saltimbanquis de María Lejárraga y Gregorio Martínez Sierra. Fue estrenada el 4 de febrero de 1914 en el Teatro Price de Madrid con un rotundo y clamoroso éxito. Su hermano, Ramón Usandizaga Soraluce (1889-1964), compositor y director, convirtió Las Golondrinas en ópera en 1929, con una participación sustancial en la obra que queda aclarada en esta edición.

Los expertos opinan que el libreto se basa en la pieza Saltimbanquis de Martínez Sierra, publicada en el volumen Teatro de ensueño (1905), y luego desarrollada ya tal como en el libreto, en un nuevo drama, escrito en colaboración con Santiago Rusiñol, en catalán, con el título Ocells de pas («Aves de paso») y estrenado en Barcelona en 1908. En esta obra, Rusiñol y Lejárraga se acercaron más al realismo que venía imponiéndose en la escena española.

El estilo musical muestra influencias de la escuela francesa de la Schola Cantorum de Vincent d'Indy y del verismo, recordando por su temática a Pagliacci de Ruggero Leoncavallo. Su inspiración es de amplios vuelos sinfónicos, destacando la riqueza instrumental y sonora, buscando desconocidas singladuras dentro de la renovación del género lírico. De sus números es famosa la «Pantomima» del Acto II, la romanza de Lina “En viejas memorias pierdo”, el «racconto» de Puck “Se reía” o su aria “Caminar”.


Como si se tratara del respeto cabalístico a un número mágico, el siete, Daniel Bianco, director artístico del Teatro de La Zarzuela saliente, deja una obra compacta, con éxito y reconocimiento de todos y vuelve como comenzó, con las Golondrinas, y como ellas, a buscar otros cielos y otras geografías, para estrenarse, con la escenografía del Don Carlo verdiano, ya, inaugurando la temporada del Teatro Alla Scala de Milán. Va Usted a trasluchar, a escalar nuevas cimas y abrir nuevos caminos, donde sea, donde haga falta. Las golondrinas sellaron pues el gran aliento creativo de Bianco esta vez, la última, junto a Isamay Benavente, su sucesora como responsable de esta sala y su gran proyecto, la primera mujer en dirigir este teatro, fundado en 1856.

En esta ocasión, Juanjo Mena, de origen vasco, de larga trayectoria en España y en el extranjero, solvente al frente de la orquesta, lleva a cabo un trabajo concienzudo, con una partitura precoz (el autor falleció prematuramente), y desigual y un coro en su punto, como suele el del Teatro de La Zarzuela, bajo la batuta de Antonio Fauro, disciplinado, eficaz, redondo. Lástima que no interviniera más. Giancarlo del Monaco, lleva la tradición de los payasos y la trashumancia teatral en el Adn italiano. Creativo como siempre, multicolor por momentos, está en todas las circunstancias que hacen que esta producción retome el éxito que ya había conocido en su estreno en la sala 7 años antes. Del Monaco sabe lo que es el hecho teatral y conoce a los autores, como en este caso, aunque no sean de la patria de Garibaldi. Consigue visualizar la vida “all´interno” de una compañía cómica que viaja por los pueblos, con su talento y alegría, pero también con los sinsabores propios de una comunidad endogámica, propensa, como estas, al conflicto y a la tragedia.

Teatro dentro del teatro, con reminiscencias cinematográficas, William Orlandi lo acompaña con una escenografía minimalista, que da mucho juego y menos empeño económico a la propuesta. Como desarrollan en la actualidad muchos proyectos operísticos o de zarzuela, pero bien declinado esta vez. Lo escoltan con propiedad y saber hacer, el vestuario de Jesús Ruiz, la Iluminación de Vinicio Cheli y Barbara Staffolani como ayudante de dirección y movimiento coreográfico.

Mucho se les pide a los cantantes en Las golondrinas: que sea buenos en lo suyo, con una obra que abunda en dificultades, y también que sepan bailar, actuar como profesionales del teatro y que encajen en un equipo polivalente con dos repartos, conservando sin embargo, la misma dirección de escena, la musical y el equipo técnico en sus diferentes facetas.

Aunque algunos les inquiete la figura del payaso (Puck es un ejemplo evidente aquí), llevamos toda la historia en Occidente soñando y disfrutando con ellos. Atemorizan y seducen, son nuestros alter ego o- tal vez- la versión libre de nuestro imaginario, lo que no podemos o no nos atrevemos a ser. Probablemente desde las obras del griego Aristófanes o los paradigmas ocurrentes de Plauto y sus criaturas, no solo en Roma sino además en sus extensas latitudes.

Resuelve adecuadamente este segundo elenco el desafío de conseguir una buena prestación, conservar la identidad de la labor grupal, propia, sin desvirtuar la totalidad del corpus del desarrollo de la obra con dos participaciones y posibilidades distintas.

Puck, figura alrededor de la cual pivota en buena parte el espectáculo, fue defendido por el barítono César San Martín, posee una voz bonita, bien trabajada y adecua las necesidades actorales a sus posibilidades con solvencia.

Lina es un personaje fresco, aparentemente sin problemas, pero con una carga dramática que se va desvelando hacia el final de la actuación. Fue la soprano navarra Sofía Esparza, la responsable de hacer creíble un temperamento volátil, luminoso, casi irresponsable aunque positivo a primera vista, con una parte exigida y diversa, que salva con elegancia, dulzura, bella línea de canto y una atractiva presencia escénica que sabe lucir muy bien. Podría haber esperado más tiempo para este proyecto de intenso calado, que exige una esforzada madurez, pero, como piensan algunos, el mañana es ahora y las oportunidades se viven en el momento en que aparecen.

La vis más oscura y lunar de esta obra la lleva a sus espaldas Cecilia, interpretada por la mezzo soprano uruguaya María Antúnez, a quien se le pide como a sus compañeros protagonistas un lucimiento actoral complicado. Además, denso, casi lúgubre: es la profecía (mala) autocumplida, como diría un profesional de los altibajos de la mente humana. Es otra Carmen, con menos energía. Sin la chispa y el descaro con que se dibuja a la mujer española independiente y hambrienta de libertad desde la creatividad francesa.

Acompañaron de una forma bien resuelta el tenor Jorge Rodríguez-Norton como Juanito, Javier Castañeda en Roberto, el padre de Lina y un Caballero que ejecutó Mario Villoria.

Sería injusto no destacar la brillante actuación de todos aquellos que hacen posible la trama del circo, con sus piruetas, su trabajo corporal entregado, sus habilidades, muchas y la manera que tienen de enhebrarse con eficacia en el todo musical y dramático. Muy bien. Y todos los equipos tan diferentes, que siempre acompañan la eficacia conocida por la audiencia habitual y la nueva, del universo que representa en la capital española y más allá, el Teatro de La Zarzuela.

El sábado estaban todas las localidades agotadas y el público agradeció con entusiasmo esta producción, en la línea del reconocimiento que debe hacerse, facilitado por los gestores y los artistas, a partituras y autores que deberían programarse más a menudo o, dentro del patrimonio hispano en general, mucho ignoto, darse a conocer más profusamente.

Alicia Perris

domingo, 12 de noviembre de 2023

Y HALKA DE STANISLAW MONIUSZKO: CELEBRACIÓN DE LA INDEPENDENCIA POLACA EN EL TEATRO REAL

 

HALKA. DE STANISŁAW MONIUSZKO (1819-1872). Libreto Wlodzimierz Wolski. VERSIÓN DE CONCIERTO. TEATRO REAL. 11 NOV, 23. (Día de la Independencia de Polonia)

Estrenada el 1 de enero de 1858 en el Teatr Wielki de Varsovia (Polonia).

Estreno en el Teatro Real

Equipo artístico

Dirección de orquesta: Łukasz Borowicz

Dirección del coro: José Luis Basso

Reparto

Stolnik: Maxim Kuzmin-Karavaev

Dziemba: Tomasz Kumiega

Janusz: Tomasz Konieczny

Zofia: Olga Syniakova

Halka: Corinne Winters

Jontek: Piotr Beczała

El gaitero: Javier Povedano

Coro y Orquesta Titulares del Teatro Real


En esta ocasión, con la colaboración de muchas instituciones polacas, entre ellas, localmente, el Instituto Polaco de Cultura y la Embajada de Polonia, ambos en Madrid, el Teatro Real estrenó dos funciones de la gran ópera nacional polaca, dirigida por el consagrado Łukasz Borowicz y liderada por el tenor Piotr Beczała en versión de concierto. Hace tiempo que en todos los recitales donde le ha sido posible el artista polaco ha incluido repertorio de su país, con mucho éxito y aprobación del público, a pesar de lo limitado del acceso de las audiencias a su idioma.

Se trata de una ópera en cuatro actos pensada por Stanisław Moniuszko, considerado uno de los compositores más importantes de Polonia y catalogada como una de las obras maestras del repertorio operístico polaco, ya que su montaje incorpora multitud de elementos folclóricos, danzas tradicionales, canciones populares y melodías inspiradas en su música rural y patrimonio antropológico. Su libreto fue escrito por Włodzimierz Wolski, quien se basó en un cuento de Kasimierz Wójcicki: Góralka (La chica de las praderas).

Su trama se desarrolla en las montañas Beskides y se centra en la historia de amor de Halka, una joven campesina, y Janusz, un noble que la seduce y luego la abandona. La pieza aborda temas como las diferencias de clase, la injusticia social y los conflictos entre el pueblo llano y la aristocracia. Perfume a Giselle, el famoso ballet, que, con lenguaje diferente, cuenta una historia similar (Adolphe Adam/ Théophile Gautier, a partir de Heinrich Heine) y a muchas heroínas “seducidas y abandonadas” y abocadas al desastre.

Cada vez que se representa esta ópera en Polonia y allí donde su belleza pueda llegar con permiso de los grandes clásicos del género, más frecuentados, adquiere el tinte de acontecimiento nacional, muy cerca de la preciosa Mazurka de Dabrowski (Mazurek Dabrowskiego), el himno patrio, escrita por Józef Wybicki, en 1797, tantas veces escuchada con absoluto respeto en la sede de la legación polaca en la capital española. 

Según expresaron los expertos del coliseo capitalino y la web del tenor polaco, “…Moniuszko se aproxima, con más de medio siglo de antelación, al universo realista y compasivo de Jenůfa. Ópera «nacional» —aunque no «nacionalista» en el sentido lato del término—, Halka ocupa en su país la posición seminal que ocuparon El cazador furtivo en Alemania, La vida por el zar en Rusia, Hunyadi László en Hungría o La novia vendida en República Checa. Escrita cuando Polonia vivía bajo el yugo ruso, Moniuszko se elevó gracias a ella como el héroe musical —con permiso de Chopin— de una tierra oprimida. Su protagonista —la campesina Halka— adquiere su trágica estatura gracias a su explícita identificación con el pueblo polaco —conseguida mediante la inflexión popular de su canto— y por las conmovedoras imágenes con las que enmarcaron su frágil figura el libretista y el compositor de esta obra imprescindible del Romanticismo centroeuropeo”.

Aparte de ser un estreno en España, luego de pasar por Viena, es un verdadero privilegio el elenco multicultural que la presenta, con unas dotes admirables para cantar e interpretarla, además de una evidente implicación personal y patriótica en el caso de los polacos. Piotr Beczała, que podría decirse que lidera el fantástico cast, es muy conocido en Madrid, donde interpretó en este mismo escenario de Halka, 'La damnation de Faust' (2009), 'Faust' (2018) o 'Aida' (2022), entre otras composiciones, y actuó también en el Teatro de la Zarzuela.

"Me encanta poder decir que tenemos una obra que mezcla el folclore, la música romántica y el bel canto que se expresa a través de un fantástico coro que aparece al final de la ópera", comentó Borowicz, el director de orquesta de la producción. "En el tercer acto Piotr Beczała y Corinne Winters cantan con el coro, lo que parce más un concierto coral que otra cosa; estoy muy feliz de participar con este elenco", ha subrayado.

Y agregó: “Para nosotros tiene un significado muy especial que se represente esta pieza el 11 de noviembre, día de la Independencia de Polonia".  Ha recordado que durante la partición del país, "la música desempeñó un papel fundamental, y que esta ópera fue un símbolo de la unidad de Polonia". "Moniuszko reúne todos los elementos que describen el alma polaca", ha asegurado el director musical explicando también que la segunda aria de la pieza "se ha convertido en himno nacional para los polacos. Finalmente, el bajo barítono Tomasz Konierczny concluyó que "Es una ópera potente, con arias difíciles y un gran pulso dramático”.

En lo que se refiere al compositor, Stanisław Moniuszko, nació el 5 de mayo de 1819 en Ubiel (Bielorrusia) y falleció el 4 de junio de 1872 en Varsovia (Imperio ruso entonces). Residió en San Petersburgo y fue educado en el Minsk men's gymnasium. Fue alumno de Carl Friedrich Rungenhagen, estudió en Berlín, y estuvo influido por las teorías del nacionalismo musical. Aparte de la hermosa y conocida Halka, otras óperas suyas son Flis (El barquero, 1858), Hrabina (La condesa, 1862), y Straszny Dwór (La casa embrujada, 1865). También escribió música religiosa y música de cámara.

La Orquesta y Coro del teatro Real, en sus directores Lukasz Borowicz ahora, pendiente de todo el corpus y José Luis Basso (de reciente incorporación, permanente) ofrecieron un trabajo entregado, minucioso, mucho más que simplemente correcto.


El tenor Piotr Beczala bordó a Jontek, con maestría y absoluta disposición, perfectamente ataviado como sus colegas para la ocasión, muy lejos del “casual” con el cual suele presentarse a los medios, fuera del escenario. Más que el campesino prendado de Halka, podría haber sido miembro de la caballería polaca que se enfrentó míticamente a los alemanes en la II Guerra Mundial: siempre formal, listo y recubierto de una completa seriedad. Eso no le impide por momentos dejarse llevar por el ímpetu de una partitura llena de lirismo y de pasiones a flor de piel. Probablemente sea uno de los tenores que mejor gestiona en el presente su repertorio cosmopolita, sus actuaciones y sabe cuidar el instrumento, cada vez más perfeccionado y con más peso a medida que cumple años. Aquí fue, como siempre, ovacionado sin ambages y reiteradamente.  

Corinne Winters, la soprano norteamericana dibujó a Halka, la protagonista, que también defendió recientemente en el Theater an der Wien, de Viena. Cuenta con un aria que fue aplaudida por un público que ocupaba aproximadamente tres cuartas partes de la sala. A pesar de que los precios no fueron tan exorbitantes como en otras ocasiones, los ausentes tal vez sigan fieles a otros autores o a un fin de semana que incursionó en España por otros derroteros, menos musicales y más políticos. Pero este estreno de Halka es un verdadero hito.

En una pareja de jóvenes no puede faltar el antagonista, Janusz, el felón que no mantiene sus promesas y deja a la amada muy comprometida, declinada por el barítono polaco Tomasz Konieczny, habitual intérprete wagneriano que estuvo en Halka a pleno rendimiento, muy bien.


En última ocasión, al final pero no menos importantes, el ayudante Dziemba fue Tomasz Kumiega muy adecuado y a la altura, el bajo Maxim Kuzmin- Karavaev fue Stolnik, Zofia era Olga Syniakova, en un rol breve pero bien cantado. Al final comparece e interviene el Gaitero, interpretado con soltura por el español Javier Povedano.

Una oportunidad la velada. Podría haber sido una fiesta completa esta partitura representada, como deberían ser las óperas, pero entonces tal vez no podría haber visto la luz aquí y ahora.

Alicia Perris