Ciertos maledicentes –no te será difícil barruntar sus
nombres–conjeturaron que una generación entera de tlönistas, aún más torvos que
ellos, fue responsable de engendrar esta aberración. Su existencia habría sido
obra de una «sociedad secreta de astrónomos, de biólogos, de ingenieros, de
metafísicos, de poetas, de químicos, de algebristas, de moralistas, de
pintores, de geómetras».
Un par de datos tan ciertos como fútiles: todos tienen menos
de cuarenta años y provienen de distintos lugares de entre los que (al menos a
día de hoy) hablan esa lengua que algunos llaman castellano y otros, menos
pudibundos, español. Consta, sin embargo, que su contribución al vasto plan de
Orbis Tertius ha sido infinitesimal.
«Yo había descubierto en un tomo de cierta
enciclopedia práctica una somera descripción de un falso país; ahora me
deparaba el azar algo más precioso y más arduo. Ahora tenía en las manos un
vasto fragmento metódico de la historia total de un planeta desconocido».
Borges
¿Qué pasaría si nos encontráramos en una librería de viejo
el Tomo XI de la Primera Enciclopedia de Tlön, tal como a Borges le sucedió en
un hotel de Adrogué en el cuento «Tlön, Uqbar, Orbis Tertius»?
Pasaría que, siendo una editorial que lleva 25 años
acercando lo mejor de la literatura breve a lectores de España y Latinoamérica,
querríamos compartir el hallazgo con todos nuestros lectores. Y decidimos
fabricar el artefacto.
Con la impagable colaboración de Jorge Volpi, que antologó
la enciclopedia apócrifa, convocamos a veinte escritoras y escritores que no
hubieran superado cuarenta años (uno por cada país de lengua española) para que
nos ayudaran a construirlo.
La increíble maquetación del libro imita aquella habitual de
las enciclopedias de principios del siglo XX, a dos tintas, con papel
envejecido e incorporando elementos que apoyan la magia, como las
ilustraciones, punto de lectura de tela, una etiqueta de una vieja librería de
Buenos Aires, notas manuscritas, y otras sorpresas. El libro que imaginó Borges
entre sus manos y que cautivará a sus lectores y lectoras.
«Un’esperienza totalizzante, fondativa, che trasforma l’esistenza: emerge innanzitutto questo, quando chiedo alle donne attive nel movimento degli anni Settanta cosa sia stato, per loro, il femminismo».
Questa splendida raccolta di fotografie degli anni Settanta è il frutto di una selezione a quattro mani di Paola Agosti, autrice degli scatti, testimone e interprete unica di un’epoca, e Benedetta Tobagi, che ora ridà loro voce, con grande immediatezza e piglio narrativo, raccontandoci quella che è stata definita la sola rivoluzione riuscita del Novecento, ovvero quella delle donne.
All’alba del decennio l’Italia è un Paese plurale, dove convivono ragazze in minigonna e signore nerovestite con lo scialle in testa, battagliere avvocate e altrettanto battagliere operaie e contadine.
Plurali sono anche le anime del movimento femminista, sia per i diversi rapporti che intrattengono con i vari partiti sia per quale ritengono la sfera giusta su cui concentrare gli sforzi.
A Roma la via prediletta è quella dell’azione politica, a Milano prevale il tentativo di liberarsi attraverso i gruppi di autocoscienza.
Nonostante le differenze, però, le grandi lotte del decennio vengono portate avanti a ranghi uniti, in primis quella per il diritto all’aborto.
Oltre a illustrare e narrare tutto questo, Agosti e Tobagi trasmettono l’incredibile vitalità e creatività del movimento delle donne negli anni Settanta, che si manifestano negli slogan, come quello che dà il titolo al libro, nei pupazzi che portano ai cortei, nelle pratiche di self help e nei girotondi.
La gioia di una stagione dirompente che ha conquistato alcuni dei diritti di cui godiamo oggi, una fonte di ispirazione tuttora valida. «Tenere insieme liberazione individuale e collettiva, l’impegno per una profonda trasformazione ed evoluzione personale.
E al tempo stesso per un cambiamento radicale della società, per renderla più giusta, aperta, umana, perché l’una e l’altra cosa possono accadere davvero soltanto insieme.
È una nota di fondo che dagli anni Settanta si è travasata nel femminismo intersezionale contemporaneo, e mi pare possa essere uno degli elementi più preziosi che il movimento delle donne porta in dote al XXI secolo».
A detailed investigation of the reception and cultural
contexts of Puccini's music, this book offers a fresh view of this historically
important but frequently overlooked composer.
Wilson's study explores the ways
in which Puccini's music and persona were held up as both the antidote to and
the embodiment of the decadence widely felt to be afflicting late nineteenth-
and early twentieth-century Italy, a nation which although politically unified
remained culturally divided.
The book focuses upon
two central, related questions that were debated throughout Puccini's career:
his status as a national or international composer, and his status as a
traditionalist or modernist.
In addition, Wilson examines how Puccini's operas
became caught up in a wide range of extra-musical controversies concerning such
issues as gender and class. This book makes a major contribution to our
understanding of both the history of opera and of the wider artistic and
intellectual life of turn-of-the-century Italy.
SEMBRA CHE I TURISTI (TANTISSIMI) VADONO SPESSO SOLTANTO AL FORO,
PALATINO E COLOSSEO QUANDO VENGONO A ROMA, MA LA CITTÀ A DAVVERO
TANTI ALTRI TESORI DA VEDERE E VISITARE, AD ESEMPIO: MUSEO BARRACO, ARA
PACIS, MUSEO ALTEMPS, DOMUS AUREA, CASA DI LIVIA, LARGO ARGENTINA, VIA
APPIA, VIA DEI FORI IMPERIALI, SANTA MARIA DEL POPOLO E I CARAVAGGIO,
PIAZZA SPAGNA, VIA MARGUTTA CON I SOUVENIRS D´ AUDREY HEPBURN,
MOSTRE DIVERSE ECC. E SOPRATUTTO:
LA GALLERIA BORGHESE: STORIA, BELLEZA E FINEZZA INSIEME IN UN LUOGHO FANTASTICO
La raccolta di Scipione Borghese
Con l'ascesa al soglio pontificio di Paolo V Borghese
(1605-1621), il cardinal nepote Scipione Caffarelli Borghese (1577-1633)
intraprese un'intensissima committenza architettonica, dando contemporaneamente
l'avvio a una sistematica acquisizione di opere d'arte, che avrebbero reso la
sua collezione una delle più grandi dell'epoca.
Nel 1607, attraverso il sequestro dei dipinti dello studio
del Cavalier d'Arpino, entrò in possesso di circa 100 dipinti, tra cui alcune
opere giovanili di Caravaggio.
Nello stesso anno acquisì la collezione del
patriarca di Aquileia, mentre nel 1608 furono acquistati 71 straordinari
dipinti appartenenti al cardinale Sfondrato, fra i quali si ipotizza la
presenza dell'Amor Sacro e Amor Profano di Tiziano, del Ritratto di Giulio
II(Londra, National Gallery) e della Madonna del velo(Chantilly, Musée Condé)
di Raffaello.
L'estrema spregiudicatezza usata dal cardinal nepote
nell'assicurarsi le opere d'arte e nell'assecondare la sua passione di
collezionista moderno è testimoniata da numerose vicende, come quella
dell'acquisto nel 1605 della Madonna dei Palafrenieri di Caravaggio, rifiutata
dalla Confraternita poco tempo prima dell'esposizione nella cappella in San
Pietro - forse per volontà dello stesso pontefice - o, ancora, dal rocambolesco
trafugamento della Deposizione Baglioni di Raffaello, prelevata per volere di Scipione
dal convento perugino di San Francesco a Prato, fatta calare dalle mura della
città nella notte tra il 18 e il 19 marzo 1608 e in seguito dichiarata
"cosa privata del cardinale" da Paolo V.
Altre opere di Raffaello erano presenti nella raccolta
Borghese, quale prova evidente della sua indiscussa eccellenza: le Tre
Grazie(Chantilly, Musée Condé), il Sogno del Cavaliere e la Santa Caterina
(Londra, National Gallery), vendute dalla famiglia durante gli anni della
Rivoluzione francese.
Anche la collezione di sculture antiche, altro fondamentale
elemento capace di conferire un'aura di ideale universalità alle collezioni
artistiche, era andata costantemente arricchendosi: dapprima con l'acquisto nel
1607 delle raccolte Della Porta e Ceuli.
A queste, grazie a straordinari
rinvenimenti occasionali, vennero ad aggiungersi il celeberrimo Gladiatore,
oggi al Louvre, trovato nei pressi di Anzio, e l'Ermafrodito, scoperto durante
gli scavi nei pressi della chiesa di Santa Maria della Vittoria.
Allo splendore dei marmi archeologici faceva eco la
straordinaria novità della statuaria "moderna", in costante
competizione con i modelli classici: dal 1615 al 1623 il giovane Gian Lorenzo
Bernini eseguì per il cardinale i celeberrimi gruppi scultorei ancora oggi
conservati nel Museo: la Capra Amaltea, l'Enea e Anchise, il Ratto di
Proserpina, il David, l'Apollo e Dafne.
Un quadro abbastanza attendibile della collezione di opere
d'arte di Scipione Borghese è fornito, in assenza di un preciso inventario di
riferimento, dalla descrizione della Villa Pinciana edita nel 1650 ad opera di
Giacomo Manilli, che illustra anche l'esterno della Villa e i suoi giardini.
Per volere del cardinale, alla sua morte tutti i beni mobili e immobili furono
sottoposti a uno strettissimo vincolo fidecommissario, istituzione giuridica
che preservò l'integrità della collezione fino a tutto il XVIII secolo.
Alla fine del Seicento i Borghese potevano contare su una
raccolta di circa 800 dipinti e su una delle più celebrate collezioni di
antichità a Roma, oltre a uno sterminato patrimonio immobiliare.
Fu proprio la
raccolta archeologica a sollevare l'interesse di Napoleone Bonaparte, la cui
sorella Paolina (1780-1825) era andata in sposa al principe Camillo Borghese
(1775-1832). In seguito alla vendita forzosamente imposta dall'imperatore, le
sculture, tra la fine del 1807 e il 1808, furono smontate dalla loro sede
originaria e trasportate al Museo del Louvre, di cui oggi costituiscono uno dei
nuclei fondamentali della collezione archeologica.
Negli anni successivi, attraverso le reintegrazioni operate
con il recupero di statue e nuovi scavi promossi dall'incaricato di affari del
principe, Evasio Gozzani di San Giorgio, la Palazzina Pinciana assunse
l'aspetto che oggi possiamo ammirare.
Allo stesso Camillo sono da riferire due
dei più celebri capolavori della Villa: la statua di Paolina Bonaparte come
Venere Vincitrice di Antonio Canova e la Danae di Correggio, acquistata nel
1827. Nel 1833 il principe rinnovò l'istituzione del vincolo fidecommissario,
preservando l'integrità della collezione fino all'acquisto, nel 1902, del Museo
e della Galleria da parte dello Stato Italiano.
MOSTRA: POESIA E PITTURA NEL SEICENTO. GIOVAN BATTISTA MARINO E LA
MERAVIGLIOSA PASSIONE
Con Poesia e pittura nel Seicento. Giovan Battista Marino e
la meravigliosa passione, la mostra in programma dal 19 novembre 2024 al 9
febbraio 2025, la Galleria Borghese esplora con un progetto inedito le
connessioni tra poesia e pittura, sacro e profano, letteratura, arte e potere
nel primo Seicento.
Seguendo la traccia
offerta dai testi di Giovan Battista Marino (1569-1625), la mostra disegna un
percorso attraverso la grande arte rinascimentale e barocca, da Tiziano a
Tintoretto, da Correggio ai Carracci, da Rubens a Poussin, celebrando il più
grande poeta italiano del Seicento e la sua “meravigliosa” passione per la
pittura.
A cura di Emilio
Russo, Patrizia Tosini e Andrea Zezza, l’esposizione si concentra sulla
stagione d’oro del Barocco in pittura e in letteratura, un periodo durante il
quale il rapporto tra le due arti trova forse l’espressione più alta nella vita
e nelle opere del poeta.
Noto per il suo poema
Adone (1623), incentrato sulla storia d’amore tra Adone e Venere, Giovan
Battista Marino è infatti autore anche de La Galeria (1619), una raccolta di
624 componimenti poetici dedicati ad altrettante opere d’arte divise tra
Pitture e Sculture, Favole e Historie, realizzata con un gioco di
rispecchiamenti e di continua sfida espressiva tra testi poetici e opere
d’arte, reali o immaginarie.
La vita e la
produzione letteraria di Giovan Battista Marino sono strettamente legate ai
maestri e ai capolavori dell’arte figurativa di primo Seicento, con i quali
entra in contatto nei circoli intellettuali e nelle corti più importanti
dell’epoca, quella di Matteo di Capua a Napoli, di papa Clemente VIII
Aldobrandini a Roma, di Giovan Carlo Doria e Giovan Vincenzo Imperiali a
Genova, di Carlo Emanuele I a Torino; in questi ambienti, al cospetto di ricche
collezioni, il poeta stringe rapporti diretti con artisti come il Cavalier
d’Arpino, Bernardo Castello, Caravaggio, Agostino Carracci, Ludovico Cigoli e
Palma il Giovane.
Nel 1615,
perseguitato dall’Inquisizione, Giovan Battista Marino è costretto a lasciare
l’Italia trovando rifugio a Parigi, alla corte di Luigi XIII e Maria de’
Medici, dove rimane fino al 1623: lì conosce Nicolas Poussin, per il quale
scrive una sorta di lettera di presentazione che l’artista avrebbe portato con
sé al suo arrivo a Roma. Con questo passaggio simbolico l’ultima fase della
parabola del poeta si lega al decisivo approdo romano del grande pittore francese.
Con la sua collezione
unica di capolavori iniziata dal cardinale Scipione Borghese nei primi decenni
del Seicento, la cura delle opere e l’allestimento scenografico prettamente
barocco, la Galleria Borghese rappresenta il contesto ideale per rileggere la
figura di Giovan Battista Marino poeta e il suo rapporto con le arti
figurative, e di come nel Seicento queste ultime abbiano cominciato a
influenzarsi vicendevolmente con la produzione letteraria.
Articolato in cinque
sezioni, il percorso espositivo si apre con alcuni grandi capolavori di
Correggio, Tiziano e Tintoretto raccolti nella sezione dal titolo Poesia e
pittura nel Seicento. Introduzione a Giovan Battista Marino con cui lo
spettatore viene introdotto al rapporto tra tradizione poetica e tradizione
figurativa già nel corso del Cinquecento. Un rapporto che diventa la lente
attraverso cui osservare l’arte barocca e di cui Giovan Battista Marino, con i suoi
interessi e le sue relazioni trasversali, è stato un rappresentante esemplare.
Nella sezione La
Galeria e il dialogo di Giovan Battista Marino con gli artisti, dedicata alla
raccolta La Galeria, la mostra ripercorre il rapporto di Giovan Battista Marino
con la grande arte del Rinascimento e Barocco, grazie a un serrato confronto
tra dipinti, sculture e la loro trasposizione letteraria. Qui sono presenti
capolavori di Luca Cambiaso, Tiziano, Palma il Giovane, Pietro Paolo Rubens,
Cavalier d’Arpino, Alessandro Turchi, Pietro Bernini, tutti artisti in qualche
modo legati alla vita e agli scritti di Giovan Battista Marino.
Nella sezione su La
Strage degli innocenti, che prende il titolo da uno dei capolavori del poeta,
si approfondisce un altro tema affrontato da Giovan Battista Marino a partire
dalla tradizione figurativa. L’opera viene pubblicata postuma solo nel 1632, ma
all’inizio del secolo il tema biblico era tornato in auge anche in pittura
grazie a opere di grande formato realizzate, tra gli altri, da Guido Reni,
Giovanni Battista Paggi, Nicolas Poussin, Pietro Testa, che si misurano con la
rappresentazione di un orrore capace di generare meraviglia.
La sezione intitolata
L’Adone tra sacro e profano raccoglie le opere legate al mito di Adone –
giovinetto bellissimo amato da Venere, destinato a una tragica fine –
protagonista dell’omonimo poema mariniano, che può essere considerato l’opera
simbolo del Seicento italiano, trionfo di una poesia tra sacro e profano
costruita per tableaux, come accostamenti di quadri poetici.
In questa parte
sono raccolti alcuni capolavori di Palma il Giovane, Scarsellino e Poussin legati
al mito, opere che spaziano dagli esiti più sensuali, propri della storia
d’amore tra Adone e la dea, a quelli più tragici relativi alla sua morte e al
compianto di Venere, in cui entrano in scena anche sottili rimandi a
raffigurazioni sacre.
L’ultima sezione
della mostra, Commiato. L’apoteosi di Giovan Battista Marino e la scoperta di
Nicolas Poussin, rende merito al lascito più significativo della passione
artistica di Giovan Battista Marino: l’intuizione della grandezza del giovane
Nicolas Poussin.
L’incontro tra i due alla corte di Maria de’ Medici a Parigi è
la premessa del viaggio di Poussin a Roma e della realizzazione negli anni
successivi di alcune opere come il Compianto su Adone morente, il Parnaso e
L’ispirazione del poeta, tutte legate con evidenza alla celebrazione della
poesia mariniana.
Con Poesia e pittura
nel Seicento. Giovan Battista Marino ela "meravigliosa" passione la Galleria Borghese invita il
pubblico a esplorare l’affascinante intreccio di parole e immagini che ammaliò
Giovan Battista Marino, portando a riscoprire l'eredità seminale di un
letterato che ha saputo intrecciare la bellezza della poesia e la seduzione
dell'arte figurativa.
Un percorso di più di cinquanta opere: sculture, dipinti,
disegni, lettere autografe e calchi in gesso scelti per illustrare il rapporto
di Michelangelo con il potere, la sua visione politica e la sua determinazione
nel porsi alla pari con i potenti della terra.
Dal 18 ottobre 2024 al 26 gennaio 2025 Palazzo Vecchio
accoglie la mostra Michelangelo e il Potere, a cura di Cristina Acidini e
Sergio Risaliti, promossa dal Comune di Firenze in collaborazione con
Fondazione Casa Buonarroti e organizzata dalla Fondazione MUS.E.
Il progetto e
la direzione dell’allestimento sono curati dall’architetto Guido Ciompi, in
collaborazione con l’architetto Gianluca Conte dello studio Guido Ciompi &
partners.
Michelangelo e il Potere si sviluppa al secondo piano di
Palazzo Vecchio, tra la Sala delle Udienze e la Sala dei Gigli, con un percorso
di più di cinquanta opere: sculture, dipinti, disegni, lettere autografe e
calchi in gesso – frutto di eccezionali prestiti da prestigiose istituzioni
come le Gallerie degli Uffizi, i Musei del Bargello, la Fondazione Casa
Buonarroti, la Fundación Colección Thyssen- Bornemisza e le Gallerie Nazionali
d’Arte Antica di Roma, per citarne solo alcuni – scelti per illustrare il
rapporto di Michelangelo con il potere, la sua visione politica e la sua
determinazione nel porsi alla pari con i potenti della terra.
Vera e propria star della mostra è il celebre busto di
Bruto, eccezionalmente concesso in prestito dal Museo Nazionale del Bargello e
per la prima volta nella storia esposto a Palazzo Vecchio.
Di grande suggestione è la presentazione di una sorta di
gipsoteca dedicata a Michelangelo, con calchi di alcune delle sue opere
maggiori, legate tutte per varie ragioni ai rapporti dell’artista con i grandi
dell’epoca: come il calco dell’Angelo reggicandelabro, eseguito a Bologna dove
venne protetto dal nobile Francesco Aldrovandi, quello del Bacco commissionato
all’artista dal cardinale Riario, nipote di Sisto IV.
E la riproduzione in gesso
della Pietà Vaticana, realizzata a Roma per il cardinale Jean Bilhères De
Lagraulas la copia monumentale della testa del David di Piazza Signoria, i due
Schiavi (il Barbuto e il Morente), la Notte delle Cappelle Medicee, una delle
sculture scolpite per celebrare i duchi Medici, Lorenzo e Giuliano.
Tra queste
testimonianze indirette anche una riproduzione sempre in gesso del Busto di
Michelangelo, eseguita a partire dall’originale di Daniela da Volterra.
Alla mostra farà seguito una pubblicazione curata da
specialisti, sull’argomento “Michelangelo e il Potere”.
Ciclo di quattro incontri sugli aspetti visivi e
performativi dell’opera lirica.
E ritrovare per caso, como al solito, ancora una volta il Dottore Pippo Zeffirelli accompagnando sempre il pubblico della Fondazione. un lusso, davvero. E le mostre, bellisime.
Bello anche il bookshop e l´attenzione per i giornalisti. Grazie tante.
A partire dalle sue origini il melodramma, e successivamente
l’opera lirica, oltre all’aspetto musicale, ha sempre dato grande rilievo agli
aspetti visivi, a cui gli stessi compositori, coadiuvati dai loro librettisti,
hanno sempre prestato un’attenzione precisa e meticolosa.
La Fondazione Franco Zeffirelli, voluta da un
regista-scenografo che negli allestimenti lirici ha lasciato un segno
indelebile, intende celebrare il Centenario dell’Università degli Studi di
Firenze con un ciclo di quattro incontri incentrati sull’importanza degli
aspetti visivi e performativi dell’opera, oggi più che mai al centro di un
vasto dibattito.
L’Ateneo fiorentino, infatti, già a partire dalla metà del
Novecento apriva la strada agli studi del settore con un approccio
assolutamente interdisciplinare da parte di alcuni suoi illuminati docenti come
lo storico dell’arte Roberto Longhi (1890-1970) e il musicologo Fausto
Torrefranca (1883-1955), per poi ospitare, primo in Italia, corsi di laurea
specifici di Storia dello Spettacolo e del Teatro con i “padri fondatori” della
disciplina: Ludovico Zorzi (1928-1983) e Cesare Molinari.
Venerdì 13 dicembre, ore 16.30
Mettere in scena l’opera oggi
Dialogo tra Nanà Cecchi, costumista e Caterina d’Amico,
Fondazione Franco Zeffirelli
Introduce Renzo Guardenti, Università degli Studi di
Firenze, SAGAS
Data da destinarsi
Gli Intermedi, le origini del melodramma e le macchine
sceniche
Conversazione con Annamaria Testaverde, Università degli
Studi di Bergamo
Introduce Gianluca Stefani, Università degli Studi di
Firenze, SAGAS
Gli incontri si svolgeranno presso la Fondazione Franco
Zeffirelli, nel Complesso Monumentale di San Firenze.
Du 28 novembre 2024 au 28 mars
2025 inclus, à la Bibliothèque-musée de l’Opéra national de Paris
Commissariat : Isabelle Stibbe,
dramaturge à l'Opéra national de Paris et Jérôme Fronty, conservateur en chef,
chargé de collections à la Bibliothèque nationale de France
Ils brillent, ils impressionnent,
ils éblouissent. Les bijoux de scène de l’Opéra de Paris, conçus spécialement
pour y être portés, contribuent autant à l’éclat de l’institution qu’à celui de
ses interprètes.
Pourtant, leurs matières sont tout
sauf précieuses : le laiton donne l’illusion de l’or, le verre coloré
l’apparence de pierreries, le strass l’éclat du diamant. Cela ne les empêche
pas d’être réalisés avec un soin et un savoir-faire remarquables.
C’est tout le paradoxe de ces
bijoux de scène qui, par le faux, visent à dire le vrai – le principe même de
l’illusion théâtrale.
Il serait réducteur de renvoyer
les bijoux de scène à leur seule beauté plastique. Dès le XIXe siècle s’ajoute
une fonction signifiante : ils deviennent souvent un élément central de
l’intrigue des œuvres ou facilitent la lecture de l’acte théâtral.
Quant à leur conception, que
privilégier entre la vérité historique, la précision géographique, la fidélité
du détail ou le plaisir des yeux ? Du XIXe siècle à nos jours, les créateurs
oscillent entre ces tendances, plaçant le curseur différemment suivant les
époques, les esthétiques et les modes.
Constituée essentiellement à
partir du Second Empire, la fabuleuse collection de bijoux de scène de l’Opéra
de Paris, conservée à la Bibliothèque nationale de France, est constituée
d’environ 4 000 pièces, et continue de s'enrichir aujourd'hui. Les bijoux
exposés ici offrent un aperçu de ces accessoires essentiels à la magie des
spectacles.
Teatro del Maggio –Otoño 2024. LA TRAVIATA. Melodrama en tres
actos. Libreto de Francesco Maria Piave, basado en La dame aux Camélias de
Alejandro Dumas hijo. Música de Giuseppe Verdi. Florencia, Jueves 21 de
noviembre, 2024. Cast alternativo.
Violetta Valéry, Julia Muzychenko
Alfredo Germont, Matheus Pompeu
Giorgio Germont, Min Kim
Flora Bervoix, Aleksandra Meteleva
Annina, Olha Smokolina
Gastón, Oronzo D’Urso
Marqués d’Obigny, Gonzalo Godoy Sepúlveda
Baron Douphol, Yurii Strakhov
Dottor Grenvil, Huigang Liu
Giuseppe, Alessandro Lanzi
Un comisionado, Lisandro Guinis
Un sirviente, Nicolò Ayroldi
Orquesta y Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Director Renato Palumbo
Maestro del coro, Lorenzo Fratini
Regia, Stefania Grazioli
Escenografía, Roberta Lazzari
Vestuario, Veronica Pattuelli
Luces, Valerio Tiberi
Nueva producción
Está claro que La Traviata
verdiana, sobre todo en la actualidad, con los movimientos feministas en auge y
el acceso de la visibilidad femenina a las cercanías del poder y la iconografía
del siglo XXI, también es una partitura y un libreto con muchas posibles
lecturas.
Ya lo dijo un sabio reconocido
francés contemporáneo: “El mito central de la “Dame aux Camélias”, no es el
Amor, sino el Reconocimiento, porque Margarita ama para que se la reconozca, y
en ese sentido, su pasión (en un aspecto más etimológico que sentimental),
proviene completamente del otro…La mirada cómplice de los burgueses aquí va
destinada al lector que, por su parte, reconoce también a Margarita, a través
del desprecio de su amante…”. Roland Barthes, Mythologies, ëditions du
Seuil, 1957.
La palabra “Traviata” para
empezar, hace referencia a una “demi-mondaine”, a una mujer que “ha perdido el
camino”, a una descarriada. Que vive del comercio sexual en una fiesta continua
de carnalidad y placer. Verdi aportó su grano de arena debido a su habitual confusión
y estereotipo conservador judeocristiano para definir qué es una mujer y cuál
es el rol que debe jugar en la vida. Habría que recordar su relación diferente
con su primera esposa y luego con la soprano Giuseppina Strepponi.
Los valores morales de los
últimos años de la Monarquía de julio en la Francia de Dumas, están más que
explicitados en esta ópera con la confrontación entre el espíritu igualitario
(más o menos) heredado de la Revolución de 1789, encarnada por Marguerite
Gautier, la protagonista de la novela autobiográfica de Dumas hijo, que intenta
cohabitar con el conservadorismo y la rigidez burgueses del reino de
Luis-Felipe, simbolizada por la autoridad patriarcal.
Violetta representa aún sin
proponérselo un paradigma femenino alternativo y lo escenifica muy bien: “Que
él sepa el sacrificio que hago por amor… (le contesta a Germont padre, con el
honor de una virgen casadera, su hija, que defender), y dígale que el último
suspiro de mi corazón será para él”. Versiones escénicas de Traviata ha
habido muchas y algunas, sublimes, la de Visconti con María Callas para La
Scala de Milán, alrededor de 1955, la adaptación de Franco Zeffirelli para el
cine, con Teresa Stratas y Plácido Domingo en los roles principales ( que siguen
acompañando desde sus fotografías a los visitantes de la Fondazione Zeffirelli
en Florencia).
En la dirección de esta
producción de la Sala Grande, el maestro Renato Palumbo, que conoce bien
a Verdi y dirige con expresividad a los cantantes, el coro y la orquesta del
Maggio, siempre ajustadísimos, aunque por momentos parece entrar la partitura
en una especie de taquicardia, porque la narrativa de los tempi se hace o se
percibe (y esto siempre es subjetivo), algo ad libitum, troppo vivace o con
algún rubato demás. Pero también estos comentarios son opinables. Nadie va con
el metrónomo a una función sino con el corazón y el instinto. A disfrutar, no a
juzgar.
La regia de Stefania Grazioli es
conservadora y clásica y esto es una ventaja relajante en una época muy dada a
los experimentos teatrales que confunden las representaciones con vodeviles o fantasmagorías
de directores de escena estrambóticos que pierden el sentido original de las
obras. El coro del Lorenzo Fratini, espectacular, sabe actuar, moverse y
tiene un caudal sonoro fantástico.
La escenografía de Roberta
Lazzeri, es funcional, polivalente y facilita la concentración en los
recovecos musicales en el escenario de los cantantes, acompañando, no buscando
el protagonismo inherente a otros, bonito y envolvente el vestuario de Veronica
Pattuelli con las luces de Valerio Tiberi. La coreografía,
bailarines de negro, representando “zíngaras” y toreros (¡ay, maestro Verdi, siempre
se vive desde el extranjero a España como una geografía ligada secularmente a
la tauromaquia, de clichés repetidos!) corresponden a Elena Barsotti.
Los protagonistas, Julia
Muzychenko como Violetta, traza un personaje reconocible y bello, con una sensibilidad
a flor de piel. Con alguna duda en los pasajes de tipo belcantistas del
comienzo, intuitiva, en el primer acto buscó la seguridad escénica y vocal que
finalmente encontró a partir del II, intimista, doliente, muy emotivo y
conmovedor. Nacida en San Petersburgo y muy joven, con una excelente presencia
escénica, ganó además el IV Concurso de Canto de la Ópera de Tenerife.
Matheus Pompeu, tenor lírico
brasileño, con una carrera cada vez más desarrollada en papeles principales y
con experiencia en Traviata, no tiene una voz enorme, pero construye un Alfredo
Germont donde destacan la expresividad y una notable relación con los
compañeros de escena, especialmente con su enamorada Violetta. También a
reseñar la belleza del timbre y una técnica sólida.
Min Kim, barítono nacido
en 1991 en Corea del Sur, está muy vinculado al Teatro del Maggio, donde ha
cantado varios roles y ha sido galardonado con muchas distinciones en
diferentes países.SuGiorgio Germont es severo, como marca el
rol, con una buena línea de canto, fiato y comunicabilidad. Establece un dúo
vibrante y lleno de matices con Violetta en el II acto y por supuesto con
Alfredo, para quien resulta ser, en general, el “padre padrone” que le endosa a
él y al resto la Ley (como diría Lacan), el orden y los usos y costumbres.
En los otros roles muy bien la
Annina de Ohla Smokolina y Aleksandra Meteleva como Flora
Bervoix, indispensables y benéficas acompañantes. Oronzo d’Urso y Yurii
Strakhov, miembros de la Accademia del Maggio, como respectivamente Gastón y
el barón Douphol, seguros y fiables. Por su parte, Gonzalo Godoy Sepúlveda
e Huigang Liu a cargo del marqués d’Obigny y el doctor Grenvil, muy
cumplidores y también Alessandro Lanzi como Giuseppe.Lisandro Guinis y Nicolò Ayroldi
dan vida respectivamente a un comisionado y a un sirviente, apropiados. En
términos generales, un elenco muy internacional y abierto al exterior y nada
proteccionista. Muy aplaudidos toldos, porque es una producción seria y meritoria.
Con la sala prácticamente al completo,
todo increíblemente pulido y reluciente, se respira un aire de libertad por el
foyer y a la vez de organización, para vender los programas, aclimatarse de la
lluvia y el frío florentino presentes en una velada tirando a gélida, unos
platos riquísimos a elegir en la restauración eficiente y bien servida (unos ravioli
con ricota y salvia, antológicos). Todos colaboran para repartir el espacio, no
hay conflicto aparente en un lugar donde el todo se percibe como colaborador y
educadísimo. La misma sensación con la disponibilidad de prensa y comunicación,
el personal de sala y el bookshop. Civilizadísima, elegante y amada
Florencia…siempre.
Viene presentato oggi, 20 novembre 2024, alle ore 18.00, al
Teatro alla Scala di Milano, il nuovo volume di Pierluigi Panza "La Scala.
Architettura e città", edito da Marsilio Arte.
Ne discutono con l'autore il Sovrintendente e Direttore
artistico del Teatro alla Scala Dominique Meyer e l'architetto Mario Botta.
Modera l'incontro il Direttore della Comunicazione del Teatro alla Scala Paolo
Besana.
«La maggior parte degli amanti dell’opera rimane sorpresa
quando vede il Teatro alla Scala per la prima volta. A prima vista si rimane
colpiti dalla sua bellezza formale, dall’equilibrio tra una pretesa di opulenza
(i drappeggi, le colonne, la cornice del palcoscenico, il palco centrale, il
lampadario) e una certa sobrietà (gli stucchi, l’illuminazione, le parti dorate
che non sembrano mai eccessive).
Dopo pochi secondi, è impossibile non pensare
agli artisti, ai compositori, ai coreografi, ai direttori d’orchestra, ai
cantanti e ai ballerini che, sera dopo sera, hanno forgiato la leggenda del
Teatro alla Scala». Dominique Meyer, Sovrintendente e Direttore Artistico del
Teatro alla Scala.
Nel volume La Scala. Architettura e città, Pierluigi Panza
racconta la storia architettonica del Teatro alla Scala, dalla nascita con
Giuseppe Piermarini agli scenari attuali con Mario Botta a quelli futuri. Il
teatro è sempre stato specchio delle trasformazioni della città, della società,
del gusto e le ha, a sua volta, determinate.
La pubblicazione, edita da
Marsilio Arte, ripercorre la storia dell’edificio dai tempi di Maria Teresa
d’Austria a quelli di Napoleone, poi del Regno d’Italia e della Repubblica.
Rispetto per la storia e spirito di innovazione sono stati gli elementi dello
sviluppo del teatro attraverso trasformazioni strutturali, tecniche ed
estetiche che lo hanno mantenuto fedele alla propria identità, pur
modernizzandosi e modellandosi ai riti e ai costumi dei tempi.
Nella prefazione, Dominique Meyer sottolinea il perfetto
equilibrio tra sobrietà e opulenza, nonché l’efficienza tecnica di un luogo che
ha contribuito a rendere Milano un raffinato e prestigioso polo
artistico-culturale nel panorama europeo. Meyer instaura un parallelismo tra la
società milanese, «più preoccupata del fare che dell’apparire», e la struttura
architettonica dell’edificio.
Il volume, introdotto da Mario Botta, si articola in 11
capitoli, che ripercorrono più di tre secoli di storia: costruito nel 1776, il
Teatro nasce a seguito di due distruzioni e due rifiuti. La prima distruzione
fu accidentale – l’incendio del teatro che sorgeva all’interno di Palazzo
Ducale (poi chiamato Palazzo Reale), la seconda fu voluta – la decisione di
abbattere la chiesa di Santa Maria alla Scala. I rifiuti furono quelli di Luigi
Vanvitelli e Christoph Willibald Gluck, i quali permisero l’arrivo alla corte
di Milano, rispettivamente, di Giuseppe Piermarini (1734-1808) e Antonio
Salieri (1750-1825).
Il racconto di Panza prende in esame le tappe fondamentali e
le vicissitudini del Teatro, passando per l’epoca risorgimentale e romantica,
il Novecento sino alla contemporaneità. Particolare attenzione è dedicata
all’ultimo ventennio, caratterizzato da continue opere di ammodernamento,
restauri e ampliamenti.
Durante
l’intervento di realizzazione del 2002 e 2004 Mario Botta ha realizzato i due
nuovi volumi dell’ellisse e della torre scenica, mentre l’interno è stato
oggetto di un restauro conservativo e del rifacimento del palcoscenico. Ora si
sta concludendo la seconda fase dei lavori, con gli ammodernamenti che richiede
la società globale e con l’apertura della nuova torre su via Verdi, all’interno
della quale la Sala prove dell’orchestra è uno scrigno alto quattordici metri,
posto a meno diciotto dal livello stradale.
Il volume è arricchito da un cospicuo corredo fotografico e
didascalico, indispensabile per comprendere l’evoluzione di un edificio:
schizzi, disegni, bozze di progetti, fotografie degli esterni e degli interni,
rendering sono alcuni degli strumenti adoperati per rendere la pubblicazione un
vero e proprio omaggio a quello che Stendhal definiva «il più bel teatro del
mondo».
Pierluigi Panza, scrittore, giornalista e critico d’arte e
d’architettura, scrive per il Corriere della Sera e insegna al Politecnico di
Milano. Ha all’attivo molte pubblicazioni di storia dell’arte, è membro delle
principali accademie italiane e vincitore di numerosi riconoscimenti.
Reseña de paso: Hace décadas-algunas- estuve en la casa de don Claudio Sánchez Albornoz, reconocido historiador español de largo exilio argentino.
La casa parecía con tantos documentos, legajos, el Archivo General de Indias. El maestro estuvo charlando conmigo y un periodista de Arabia Saudí (en aquella época las relaciones humanas entre distintas comunidades y ciudadanos fluía, no como hoy. en donde cualquier contacto con el Otro ajeno puede convertirse y ser vivido como proceloso o inadecuado).
Preguntado don Claudio sobre la "España musulmana" contestó sin titubear: "Yo me dedico a la España cristiana". La entrevista duró poco más.
Américo Castro, otro historiador exiliado después de la Guerra Civil española, tenía un punto de vista completamente diferente y defendía una tierra donde florecieron y convivieron en paz, las tres culturas del Libro: musulmana, cristiana y judía.
En ese sentido creo se concibió el programa que declinan ahora Eduardo Panigua con sus compañeros músicos en el Museo Nacional Thyssen Bornemisza, que también es un territorio musical.
Han pasado muchos siglos y en este caso, ahora, en tiempos de guerra, precisamente por los recursos, los territorios y tal vez por las religiones, la Belleza, tal vez mi nostalgia, nos permite retomar con aquellas narrativas que entonces, parecían inclasificables y discutibles.
En otro orden de cosas, convoqué hace algunos veranos, al director del Thyssen, Guillermo Solana a Radio Clásica, para hablar en uno de mis programas de Constelación Boulez sobre las correlaciones y correspondencias entre las artes.
Casualmente, el sábado pasado, día de luminarias navideñas, descuentos y paseantes de todas las banderas y procedencias en un Madrid bloqueado, la máquina del tiempo volvió para atrás y ese milagro me permitió revivir paraísos (los proustianos, los mejores) que creía perdidos para siempre.
Alicia Perris, también para las fotos
Julio Serrano, vídeo
Concierto especial en el que pintura, música y poesía
convergen para invitarnos a viajar a la España medieval.
Este concierto invita a recorrer, a través de la música, la
España medieval donde las culturas cristiana, judía y musulmana convivieron y
entrelazaron sus conocimientos para crear un legado que influyó en todas las
expresiones de la cultura europea.
Así, a través de composiciones históricas y
melodías evocadoras, el programa del concierto explora las raíces compartidas
entre estas tres culturas.
Acompañado por proyecciones de pintura antigua de la
colección del museo, esta propuesta presenta una experiencia visual y sonora,
para contar la historia de una época de intercambio y creatividad.
El concierto corre a cargo de Eduardo Paniagua (Premio Gema
2021 al mejor grupo de música medieval) y cuenta también con la participación
del cantante, instrumentista y compositor Luis Antonio Muñoz y con el cantante
y laudista Wafir Sheik.
Une immersion dans des paysages mythiques et mystérieux, à
la découverte de cinq trésors et d’une histoire cinq fois millénaire.
Pays de l’Homme d’or et des grands kourganes, le Kazakhstan
est une terre de légendes aux confins des steppes de l’Asie centrale. Sillonnés
par les mythiques routes de la soie, ses immenses paysages ont été le théâtre
d’une riche histoire culturelle et humaine. Avec Kazakhstan, Trésors de la
Grande Steppe, le musée Guimet propose un aperçu de cette histoire en cinq
ensembles de chefs-d’œuvre, éclairant cinq grands jalons de civilisation,
depuis le troisième millénaire avant J.-C. jusqu’au 18e siècle.
Exceptionnellement prêtés par les plus grands musées
kazakhs, ces trésors – parmi lesquels les ornements originaux de la coiffe de
l’emblématique Homme d’or – sont présentés dans une scénographie poétique et
innovante, qui immerge les œuvres et les visiteurs dans les paysages du
Kazakhstan.
Dans un écrin sensoriel et immersif imaginé par le
scénographe Sylvain Roca, le visiteur est ainsi transporté sur la terre qui a
vu naître ces chefs-d’œuvre : successivement, des projections et des créations
sonores viendront animer les œuvres et les replaceront poétiquement dans leur
contexte d’origine pour un moment de culture et de dépaysement hors du temps.
Le Kazakhstan : un pays au carrefour des cultures
d’Europe et d’Asie
Le Kazakhstan – un des cinq pays de l’Asie centrale située
au carrefour des routes entre l’Asie et l’Europe – constitue un espace riche,
connu pour son développement historique et culturel unique. Constitués dès
l’antiquité, les peuples nomades ont rapidement dominé les steppes où
d’importants centres urbains ont ensuite vu le jour. La richesse des ressources
naturelles a contribué au développement du commerce international et des liens
économiques, renforçant ainsi l’identité culturelle de la région.
Les Huns, les Scythes et les tribus turciques ont joué un
rôle clé dans la formation de la culture, de l’identité et des alliances
politiques propres au Kazakhstan. Après le déclin de la Horde d’or, le khanat
kazakh s’est imposé comme le successeur de l’empire de Gengis Khan, jetant les
bases de la civilisation traditionnelle des Kazakhs…..
MOSTRA ARCHEOLOGICA, ÉCOLE FRANÇAISE À ROME: ETRUSCHI, GRECI, LAZIALI...
Apre la mostra archeologica dell'École française de Rome", ospitata negli spazi espositivi della Galleria in Piazza Navona 62, sede dell’École. L’esposizione è aperta al pubblico dal 29 maggio al 20 dicembre 2024, con ingresso libero e apertura dal lunedì al sabato.
La collezione presenta una gamma rappresentativa, esposta per la prima volta, di circa 200 reperti: sculture, terrecotte etrusco-laziali, vasi greci ed etruschi, oltre a documenti provenienti dagli archivi dell'École française de Rome e dagli inventari degli arredi di Palazzo Farnese. Il percorso della mostra è curato dagli archeologi Christian Mazet e Paolo Tomassini.
I visitatori saranno accompagnati in un percorso suddiviso in cinque sezioni:
La prima sezione è dedicata alla storia del collezionismo e del mercato antiquario alla fine dell’Ottocento. Verranno presentati oggetti rappresentativi e documenti d'archivio, raccontando i legami tra i protagonisti di questa singolare storia, come Auguste Geffroy, Jules Ferry, Augusto Castellani e Wolfgang Helbig.
La seconda sezione è dedicata ai primi scavi effettuati dall'École française de Rome a Palestrina nel 1878, con un'ampia collezione di terrecotte votive etrusco-laziali.
La terza sezione è dedicata alla presentazione delle sculture romane, che saranno eccezionalmente spostate dalle sale di rappresentanza al secondo piano di Palazzo Farnese.
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La quarta sezione presenta la ricca collezione di vasi donata da Augusto Castellani. Si analizza inoltre il commercio di antichità a Roma nella seconda metà dell’Ottocento, nonché il restauro dei vasi e l'interazione tra assemblaggi e altre falsificazioni. La quinta sezione presenta un accumulo di oggetti raccolti per la varietà dei materiali, dove l'abbondanza e la rappresentatività archeologica diventano strumenti utili alla formazione per lo studio della cultura materiale romana.
Tra archeologia e futuro: strumenti digitale e modelli 3D
Nella volontà di costituire un dialogo tra il passato dell’École, il presente della mostra e il futuro della ricerca e la valorizzazione, la mostra si presenta inoltre in una forma virtuale, con modelli 3D proiettati sotto forma di ologrammi, video su schermi e qr-code che danno accesso al catalogo online dei singoli oggetti.
Orari di apertura dal 29 maggio 2024 Ingresso libero Dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 19.00, il sabato dalle 10.00 alle 13.00. Chiusure eccezionali: sabato 29 giugno; da giovedì 8 agosto a domenica 25 agosto inclusi; venerdì 1°novembre; lunedì 11 novembre 2024.