Ciertos maledicentes –no te será difícil barruntar sus
nombres–conjeturaron que una generación entera de tlönistas, aún más torvos que
ellos, fue responsable de engendrar esta aberración. Su existencia habría sido
obra de una «sociedad secreta de astrónomos, de biólogos, de ingenieros, de
metafísicos, de poetas, de químicos, de algebristas, de moralistas, de
pintores, de geómetras».
Un par de datos tan ciertos como fútiles: todos tienen menos
de cuarenta años y provienen de distintos lugares de entre los que (al menos a
día de hoy) hablan esa lengua que algunos llaman castellano y otros, menos
pudibundos, español. Consta, sin embargo, que su contribución al vasto plan de
Orbis Tertius ha sido infinitesimal.
«Yo había descubierto en un tomo de cierta
enciclopedia práctica una somera descripción de un falso país; ahora me
deparaba el azar algo más precioso y más arduo. Ahora tenía en las manos un
vasto fragmento metódico de la historia total de un planeta desconocido».
Borges
¿Qué pasaría si nos encontráramos en una librería de viejo
el Tomo XI de la Primera Enciclopedia de Tlön, tal como a Borges le sucedió en
un hotel de Adrogué en el cuento «Tlön, Uqbar, Orbis Tertius»?
Pasaría que, siendo una editorial que lleva 25 años
acercando lo mejor de la literatura breve a lectores de España y Latinoamérica,
querríamos compartir el hallazgo con todos nuestros lectores. Y decidimos
fabricar el artefacto.
Con la impagable colaboración de Jorge Volpi, que antologó
la enciclopedia apócrifa, convocamos a veinte escritoras y escritores que no
hubieran superado cuarenta años (uno por cada país de lengua española) para que
nos ayudaran a construirlo.
La increíble maquetación del libro imita aquella habitual de
las enciclopedias de principios del siglo XX, a dos tintas, con papel
envejecido e incorporando elementos que apoyan la magia, como las
ilustraciones, punto de lectura de tela, una etiqueta de una vieja librería de
Buenos Aires, notas manuscritas, y otras sorpresas. El libro que imaginó Borges
entre sus manos y que cautivará a sus lectores y lectoras.
«Un’esperienza totalizzante, fondativa, che trasforma l’esistenza: emerge innanzitutto questo, quando chiedo alle donne attive nel movimento degli anni Settanta cosa sia stato, per loro, il femminismo».
Questa splendida raccolta di fotografie degli anni Settanta è il frutto di una selezione a quattro mani di Paola Agosti, autrice degli scatti, testimone e interprete unica di un’epoca, e Benedetta Tobagi, che ora ridà loro voce, con grande immediatezza e piglio narrativo, raccontandoci quella che è stata definita la sola rivoluzione riuscita del Novecento, ovvero quella delle donne.
All’alba del decennio l’Italia è un Paese plurale, dove convivono ragazze in minigonna e signore nerovestite con lo scialle in testa, battagliere avvocate e altrettanto battagliere operaie e contadine.
Plurali sono anche le anime del movimento femminista, sia per i diversi rapporti che intrattengono con i vari partiti sia per quale ritengono la sfera giusta su cui concentrare gli sforzi.
A Roma la via prediletta è quella dell’azione politica, a Milano prevale il tentativo di liberarsi attraverso i gruppi di autocoscienza.
Nonostante le differenze, però, le grandi lotte del decennio vengono portate avanti a ranghi uniti, in primis quella per il diritto all’aborto.
Oltre a illustrare e narrare tutto questo, Agosti e Tobagi trasmettono l’incredibile vitalità e creatività del movimento delle donne negli anni Settanta, che si manifestano negli slogan, come quello che dà il titolo al libro, nei pupazzi che portano ai cortei, nelle pratiche di self help e nei girotondi.
La gioia di una stagione dirompente che ha conquistato alcuni dei diritti di cui godiamo oggi, una fonte di ispirazione tuttora valida. «Tenere insieme liberazione individuale e collettiva, l’impegno per una profonda trasformazione ed evoluzione personale.
E al tempo stesso per un cambiamento radicale della società, per renderla più giusta, aperta, umana, perché l’una e l’altra cosa possono accadere davvero soltanto insieme.
È una nota di fondo che dagli anni Settanta si è travasata nel femminismo intersezionale contemporaneo, e mi pare possa essere uno degli elementi più preziosi che il movimento delle donne porta in dote al XXI secolo».
Notre-Dame de París – Concierto de reapertura del All-Star
Vivir
París, Francia
Revivir
Revivir
Superestrellas mundiales del mundo de la música se reúnen para este concierto sin precedentes como parte de las grandes festividades que marcan la reapertura de la emblemática catedral de Notre-Dame de París, restaurada a su gloria original cinco años después de que fuera devastada por un incendio.
El concierto, organizado en agradecimiento a los involucrados en la reconstrucción de la catedral, muestra una vertiginosa variedad de talentos, incluidos, del mundo de la música clásica, el director Gustavo Dudamel, el pianista Lang Lang, el tenor Benjamin Bernheim, el violonchelista Yo-Yo Ma, el organista Olivier Latry y muchos más. Con todo, promete ser una ocasión inolvidable para celebrar un día histórico y feliz en los casi 900 años de historia de este magnífico edificio.
Solistas:
Lang Lang (piano), Pretty Yende (soprano), Benjamin Bernheim (tenor), Olivier Latry (órgano), Yo-Yo Ma (violonchelo), Nadine Sierra (soprano), Renaud Capuçon (violín), Khatia Buniatishvili (piano), Hiba Tawaji (cantante), Garou (cantante), Angelique Kidjo (cantante), Pharrell Williams (cantante), Daniel Lozakovich (violín), Julie Fuchs (soprano), Thierry Escaich (órgano), Clara Luciani (cantante), Vianney (cantante)
Conjuntos:
Orquesta Filarmónica de Radio Francia, Maîtrise de Notre-Dame
Director:
Gustavo Dudamel
THE PUCCINI PROBLEM
by Alexandra Wilson (Author)
A detailed investigation of the reception and cultural
contexts of Puccini's music, this book offers a fresh view of this historically
important but frequently overlooked composer.
Wilson's study explores the ways
in which Puccini's music and persona were held up as both the antidote to and
the embodiment of the decadence widely felt to be afflicting late nineteenth-
and early twentieth-century Italy, a nation which although politically unified
remained culturally divided.
The book focuses upon
two central, related questions that were debated throughout Puccini's career:
his status as a national or international composer, and his status as a
traditionalist or modernist.
In addition, Wilson examines how Puccini's operas
became caught up in a wide range of extra-musical controversies concerning such
issues as gender and class. This book makes a major contribution to our
understanding of both the history of opera and of the wider artistic and
intellectual life of turn-of-the-century Italy.
SEMBRA CHE I TURISTI (TANTISSIMI) VADONO SPESSO SOLTANTO AL FORO,
PALATINO E COLOSSEO QUANDO VENGONO A ROMA, MA LA CITTÀ A DAVVERO
TANTI ALTRI TESORI DA VEDERE E VISITARE, AD ESEMPIO: MUSEO BARRACO, ARA
PACIS, MUSEO ALTEMPS, DOMUS AUREA, CASA DI LIVIA, LARGO ARGENTINA, VIA
APPIA, VIA DEI FORI IMPERIALI, SANTA MARIA DEL POPOLO E I CARAVAGGIO,
PIAZZA SPAGNA, VIA MARGUTTA CON I SOUVENIRS D´ AUDREY HEPBURN,
MOSTRE DIVERSE ECC. E SOPRATUTTO:
LA GALLERIA BORGHESE: STORIA, BELLEZA E FINEZZA INSIEME IN UN LUOGHO FANTASTICO
La raccolta di Scipione Borghese
Con l'ascesa al soglio pontificio di Paolo V Borghese
(1605-1621), il cardinal nepote Scipione Caffarelli Borghese (1577-1633)
intraprese un'intensissima committenza architettonica, dando contemporaneamente
l'avvio a una sistematica acquisizione di opere d'arte, che avrebbero reso la
sua collezione una delle più grandi dell'epoca.
Nel 1607, attraverso il sequestro dei dipinti dello studio
del Cavalier d'Arpino, entrò in possesso di circa 100 dipinti, tra cui alcune
opere giovanili di Caravaggio.
Nello stesso anno acquisì la collezione del
patriarca di Aquileia, mentre nel 1608 furono acquistati 71 straordinari
dipinti appartenenti al cardinale Sfondrato, fra i quali si ipotizza la
presenza dell'Amor Sacro e Amor Profano di Tiziano, del Ritratto di Giulio
II(Londra, National Gallery) e della Madonna del velo(Chantilly, Musée Condé)
di Raffaello.
L'estrema spregiudicatezza usata dal cardinal nepote
nell'assicurarsi le opere d'arte e nell'assecondare la sua passione di
collezionista moderno è testimoniata da numerose vicende, come quella
dell'acquisto nel 1605 della Madonna dei Palafrenieri di Caravaggio, rifiutata
dalla Confraternita poco tempo prima dell'esposizione nella cappella in San
Pietro - forse per volontà dello stesso pontefice - o, ancora, dal rocambolesco
trafugamento della Deposizione Baglioni di Raffaello, prelevata per volere di Scipione
dal convento perugino di San Francesco a Prato, fatta calare dalle mura della
città nella notte tra il 18 e il 19 marzo 1608 e in seguito dichiarata
"cosa privata del cardinale" da Paolo V.
Altre opere di Raffaello erano presenti nella raccolta
Borghese, quale prova evidente della sua indiscussa eccellenza: le Tre
Grazie(Chantilly, Musée Condé), il Sogno del Cavaliere e la Santa Caterina
(Londra, National Gallery), vendute dalla famiglia durante gli anni della
Rivoluzione francese.
Anche la collezione di sculture antiche, altro fondamentale
elemento capace di conferire un'aura di ideale universalità alle collezioni
artistiche, era andata costantemente arricchendosi: dapprima con l'acquisto nel
1607 delle raccolte Della Porta e Ceuli.
A queste, grazie a straordinari
rinvenimenti occasionali, vennero ad aggiungersi il celeberrimo Gladiatore,
oggi al Louvre, trovato nei pressi di Anzio, e l'Ermafrodito, scoperto durante
gli scavi nei pressi della chiesa di Santa Maria della Vittoria.
Allo splendore dei marmi archeologici faceva eco la
straordinaria novità della statuaria "moderna", in costante
competizione con i modelli classici: dal 1615 al 1623 il giovane Gian Lorenzo
Bernini eseguì per il cardinale i celeberrimi gruppi scultorei ancora oggi
conservati nel Museo: la Capra Amaltea, l'Enea e Anchise, il Ratto di
Proserpina, il David, l'Apollo e Dafne.
Un quadro abbastanza attendibile della collezione di opere
d'arte di Scipione Borghese è fornito, in assenza di un preciso inventario di
riferimento, dalla descrizione della Villa Pinciana edita nel 1650 ad opera di
Giacomo Manilli, che illustra anche l'esterno della Villa e i suoi giardini.
Per volere del cardinale, alla sua morte tutti i beni mobili e immobili furono
sottoposti a uno strettissimo vincolo fidecommissario, istituzione giuridica
che preservò l'integrità della collezione fino a tutto il XVIII secolo.
Alla fine del Seicento i Borghese potevano contare su una
raccolta di circa 800 dipinti e su una delle più celebrate collezioni di
antichità a Roma, oltre a uno sterminato patrimonio immobiliare.
Fu proprio la
raccolta archeologica a sollevare l'interesse di Napoleone Bonaparte, la cui
sorella Paolina (1780-1825) era andata in sposa al principe Camillo Borghese
(1775-1832). In seguito alla vendita forzosamente imposta dall'imperatore, le
sculture, tra la fine del 1807 e il 1808, furono smontate dalla loro sede
originaria e trasportate al Museo del Louvre, di cui oggi costituiscono uno dei
nuclei fondamentali della collezione archeologica.
Negli anni successivi, attraverso le reintegrazioni operate
con il recupero di statue e nuovi scavi promossi dall'incaricato di affari del
principe, Evasio Gozzani di San Giorgio, la Palazzina Pinciana assunse
l'aspetto che oggi possiamo ammirare.
Allo stesso Camillo sono da riferire due
dei più celebri capolavori della Villa: la statua di Paolina Bonaparte come
Venere Vincitrice di Antonio Canova e la Danae di Correggio, acquistata nel
1827. Nel 1833 il principe rinnovò l'istituzione del vincolo fidecommissario,
preservando l'integrità della collezione fino all'acquisto, nel 1902, del Museo
e della Galleria da parte dello Stato Italiano.
MOSTRA: POESIA E PITTURA NEL SEICENTO. GIOVAN BATTISTA MARINO E LA
MERAVIGLIOSA PASSIONE
Con Poesia e pittura nel Seicento. Giovan Battista Marino e
la meravigliosa passione, la mostra in programma dal 19 novembre 2024 al 9
febbraio 2025, la Galleria Borghese esplora con un progetto inedito le
connessioni tra poesia e pittura, sacro e profano, letteratura, arte e potere
nel primo Seicento.
Seguendo la traccia
offerta dai testi di Giovan Battista Marino (1569-1625), la mostra disegna un
percorso attraverso la grande arte rinascimentale e barocca, da Tiziano a
Tintoretto, da Correggio ai Carracci, da Rubens a Poussin, celebrando il più
grande poeta italiano del Seicento e la sua “meravigliosa” passione per la
pittura.
A cura di Emilio
Russo, Patrizia Tosini e Andrea Zezza, l’esposizione si concentra sulla
stagione d’oro del Barocco in pittura e in letteratura, un periodo durante il
quale il rapporto tra le due arti trova forse l’espressione più alta nella vita
e nelle opere del poeta.
Noto per il suo poema
Adone (1623), incentrato sulla storia d’amore tra Adone e Venere, Giovan
Battista Marino è infatti autore anche de La Galeria (1619), una raccolta di
624 componimenti poetici dedicati ad altrettante opere d’arte divise tra
Pitture e Sculture, Favole e Historie, realizzata con un gioco di
rispecchiamenti e di continua sfida espressiva tra testi poetici e opere
d’arte, reali o immaginarie.
La vita e la
produzione letteraria di Giovan Battista Marino sono strettamente legate ai
maestri e ai capolavori dell’arte figurativa di primo Seicento, con i quali
entra in contatto nei circoli intellettuali e nelle corti più importanti
dell’epoca, quella di Matteo di Capua a Napoli, di papa Clemente VIII
Aldobrandini a Roma, di Giovan Carlo Doria e Giovan Vincenzo Imperiali a
Genova, di Carlo Emanuele I a Torino; in questi ambienti, al cospetto di ricche
collezioni, il poeta stringe rapporti diretti con artisti come il Cavalier
d’Arpino, Bernardo Castello, Caravaggio, Agostino Carracci, Ludovico Cigoli e
Palma il Giovane.
Nel 1615,
perseguitato dall’Inquisizione, Giovan Battista Marino è costretto a lasciare
l’Italia trovando rifugio a Parigi, alla corte di Luigi XIII e Maria de’
Medici, dove rimane fino al 1623: lì conosce Nicolas Poussin, per il quale
scrive una sorta di lettera di presentazione che l’artista avrebbe portato con
sé al suo arrivo a Roma. Con questo passaggio simbolico l’ultima fase della
parabola del poeta si lega al decisivo approdo romano del grande pittore francese.
Con la sua collezione
unica di capolavori iniziata dal cardinale Scipione Borghese nei primi decenni
del Seicento, la cura delle opere e l’allestimento scenografico prettamente
barocco, la Galleria Borghese rappresenta il contesto ideale per rileggere la
figura di Giovan Battista Marino poeta e il suo rapporto con le arti
figurative, e di come nel Seicento queste ultime abbiano cominciato a
influenzarsi vicendevolmente con la produzione letteraria.
Articolato in cinque
sezioni, il percorso espositivo si apre con alcuni grandi capolavori di
Correggio, Tiziano e Tintoretto raccolti nella sezione dal titolo Poesia e
pittura nel Seicento. Introduzione a Giovan Battista Marino con cui lo
spettatore viene introdotto al rapporto tra tradizione poetica e tradizione
figurativa già nel corso del Cinquecento. Un rapporto che diventa la lente
attraverso cui osservare l’arte barocca e di cui Giovan Battista Marino, con i suoi
interessi e le sue relazioni trasversali, è stato un rappresentante esemplare.
Nella sezione La
Galeria e il dialogo di Giovan Battista Marino con gli artisti, dedicata alla
raccolta La Galeria, la mostra ripercorre il rapporto di Giovan Battista Marino
con la grande arte del Rinascimento e Barocco, grazie a un serrato confronto
tra dipinti, sculture e la loro trasposizione letteraria. Qui sono presenti
capolavori di Luca Cambiaso, Tiziano, Palma il Giovane, Pietro Paolo Rubens,
Cavalier d’Arpino, Alessandro Turchi, Pietro Bernini, tutti artisti in qualche
modo legati alla vita e agli scritti di Giovan Battista Marino.
Nella sezione su La
Strage degli innocenti, che prende il titolo da uno dei capolavori del poeta,
si approfondisce un altro tema affrontato da Giovan Battista Marino a partire
dalla tradizione figurativa. L’opera viene pubblicata postuma solo nel 1632, ma
all’inizio del secolo il tema biblico era tornato in auge anche in pittura
grazie a opere di grande formato realizzate, tra gli altri, da Guido Reni,
Giovanni Battista Paggi, Nicolas Poussin, Pietro Testa, che si misurano con la
rappresentazione di un orrore capace di generare meraviglia.
La sezione intitolata
L’Adone tra sacro e profano raccoglie le opere legate al mito di Adone –
giovinetto bellissimo amato da Venere, destinato a una tragica fine –
protagonista dell’omonimo poema mariniano, che può essere considerato l’opera
simbolo del Seicento italiano, trionfo di una poesia tra sacro e profano
costruita per tableaux, come accostamenti di quadri poetici.
In questa parte
sono raccolti alcuni capolavori di Palma il Giovane, Scarsellino e Poussin legati
al mito, opere che spaziano dagli esiti più sensuali, propri della storia
d’amore tra Adone e la dea, a quelli più tragici relativi alla sua morte e al
compianto di Venere, in cui entrano in scena anche sottili rimandi a
raffigurazioni sacre.
L’ultima sezione
della mostra, Commiato. L’apoteosi di Giovan Battista Marino e la scoperta di
Nicolas Poussin, rende merito al lascito più significativo della passione
artistica di Giovan Battista Marino: l’intuizione della grandezza del giovane
Nicolas Poussin.
L’incontro tra i due alla corte di Maria de’ Medici a Parigi è
la premessa del viaggio di Poussin a Roma e della realizzazione negli anni
successivi di alcune opere come il Compianto su Adone morente, il Parnaso e
L’ispirazione del poeta, tutte legate con evidenza alla celebrazione della
poesia mariniana.
Con Poesia e pittura
nel Seicento. Giovan Battista Marino ela "meravigliosa" passione la Galleria Borghese invita il
pubblico a esplorare l’affascinante intreccio di parole e immagini che ammaliò
Giovan Battista Marino, portando a riscoprire l'eredità seminale di un
letterato che ha saputo intrecciare la bellezza della poesia e la seduzione
dell'arte figurativa.
Un percorso di più di cinquanta opere: sculture, dipinti,
disegni, lettere autografe e calchi in gesso scelti per illustrare il rapporto
di Michelangelo con il potere, la sua visione politica e la sua determinazione
nel porsi alla pari con i potenti della terra.
Dal 18 ottobre 2024 al 26 gennaio 2025 Palazzo Vecchio
accoglie la mostra Michelangelo e il Potere, a cura di Cristina Acidini e
Sergio Risaliti, promossa dal Comune di Firenze in collaborazione con
Fondazione Casa Buonarroti e organizzata dalla Fondazione MUS.E.
Il progetto e
la direzione dell’allestimento sono curati dall’architetto Guido Ciompi, in
collaborazione con l’architetto Gianluca Conte dello studio Guido Ciompi &
partners.
Michelangelo e il Potere si sviluppa al secondo piano di
Palazzo Vecchio, tra la Sala delle Udienze e la Sala dei Gigli, con un percorso
di più di cinquanta opere: sculture, dipinti, disegni, lettere autografe e
calchi in gesso – frutto di eccezionali prestiti da prestigiose istituzioni
come le Gallerie degli Uffizi, i Musei del Bargello, la Fondazione Casa
Buonarroti, la Fundación Colección Thyssen- Bornemisza e le Gallerie Nazionali
d’Arte Antica di Roma, per citarne solo alcuni – scelti per illustrare il
rapporto di Michelangelo con il potere, la sua visione politica e la sua
determinazione nel porsi alla pari con i potenti della terra.
Vera e propria star della mostra è il celebre busto di
Bruto, eccezionalmente concesso in prestito dal Museo Nazionale del Bargello e
per la prima volta nella storia esposto a Palazzo Vecchio.
Di grande suggestione è la presentazione di una sorta di
gipsoteca dedicata a Michelangelo, con calchi di alcune delle sue opere
maggiori, legate tutte per varie ragioni ai rapporti dell’artista con i grandi
dell’epoca: come il calco dell’Angelo reggicandelabro, eseguito a Bologna dove
venne protetto dal nobile Francesco Aldrovandi, quello del Bacco commissionato
all’artista dal cardinale Riario, nipote di Sisto IV.
E la riproduzione in gesso
della Pietà Vaticana, realizzata a Roma per il cardinale Jean Bilhères De
Lagraulas la copia monumentale della testa del David di Piazza Signoria, i due
Schiavi (il Barbuto e il Morente), la Notte delle Cappelle Medicee, una delle
sculture scolpite per celebrare i duchi Medici, Lorenzo e Giuliano.
Tra queste
testimonianze indirette anche una riproduzione sempre in gesso del Busto di
Michelangelo, eseguita a partire dall’originale di Daniela da Volterra.
Alla mostra farà seguito una pubblicazione curata da
specialisti, sull’argomento “Michelangelo e il Potere”.
Il Consiglio di Amministrazione della Fondazione Teatro Donizetti ha indicato all’unanimità nel direttore musicale del festival sin dal 2017, la nuova guida della rassegna operistica dedicata al compositore bergamasco per il prossimo triennio.
«Sono onorato di assumere la direzione artistica del Donizetti Opera – sottolinea Riccardo Frizza. Gli ultimi otto anni come direttore musicale del festival sono stati un’esperienza straordinaria, resa possibile dalla fiducia di tutta la Fondazione – dal palcoscenico, agli uffici, alla sezione scientifica – oltre che da una collaborazione fruttuosa con Francesco Micheli, a cui va il mio ringraziamento per aver contrassegnato un periodo significativo per la città e il suo festival. Oggi, nella doppia veste di direttore artistico e musicale, abbraccio con entusiasmo questa nuova sfida, con l’obiettivo di proiettare il Donizetti Opera in una dimensione internazionale sempre più ampia. Per fare questo, sono certo di poter contare sul rinnovato sostegno di tutti coloro che hanno accompagnato in questi anni la mia attività di direttore musicale».
FONDAZIONE FRANCO ZEFFIRELLI FIRENZE
Venerdì 13 dicembre alle ore 16,30 31 E Gen 2025
Ingresso gratuito
Ciclo di quattro incontri sugli aspetti visivi e
performativi dell’opera lirica.
E ritrovare per caso, como al solito, ancora una volta il Dottore Pippo Zeffirelli accompagnando sempre il pubblico della Fondazione. un lusso, davvero. E le mostre, bellisime.
Bello anche il bookshop e l´attenzione per i giornalisti. Grazie tante.
A partire dalle sue origini il melodramma, e successivamente
l’opera lirica, oltre all’aspetto musicale, ha sempre dato grande rilievo agli
aspetti visivi, a cui gli stessi compositori, coadiuvati dai loro librettisti,
hanno sempre prestato un’attenzione precisa e meticolosa.
La Fondazione Franco Zeffirelli, voluta da un
regista-scenografo che negli allestimenti lirici ha lasciato un segno
indelebile, intende celebrare il Centenario dell’Università degli Studi di
Firenze con un ciclo di quattro incontri incentrati sull’importanza degli
aspetti visivi e performativi dell’opera, oggi più che mai al centro di un
vasto dibattito.
L’Ateneo fiorentino, infatti, già a partire dalla metà del
Novecento apriva la strada agli studi del settore con un approccio
assolutamente interdisciplinare da parte di alcuni suoi illuminati docenti come
lo storico dell’arte Roberto Longhi (1890-1970) e il musicologo Fausto
Torrefranca (1883-1955), per poi ospitare, primo in Italia, corsi di laurea
specifici di Storia dello Spettacolo e del Teatro con i “padri fondatori” della
disciplina: Ludovico Zorzi (1928-1983) e Cesare Molinari.
Venerdì 13 dicembre, ore 16.30
Mettere in scena l’opera oggi
Dialogo tra Nanà Cecchi, costumista e Caterina d’Amico,
Fondazione Franco Zeffirelli
Introduce Renzo Guardenti, Università degli Studi di
Firenze, SAGAS
Data da destinarsi
Gli Intermedi, le origini del melodramma e le macchine
sceniche
Conversazione con Annamaria Testaverde, Università degli
Studi di Bergamo
Introduce Gianluca Stefani, Università degli Studi di
Firenze, SAGAS
Gli incontri si svolgeranno presso la Fondazione Franco
Zeffirelli, nel Complesso Monumentale di San Firenze.