21/11/2025 - 12/04/2026
L’evoluzione artistica dei giardini storici romani dal
Rinascimento al Novecento in 190 opere, dipinti e vedute.
La mostra ripercorre, per la prima volta in maniera così ampia, lo sviluppo dei giardini di Roma nell’immaginario pittorico dal Cinquecento alla seconda metà del XX secolo.
Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura,
Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, l’esposizione si inserisce in un
più ampio e complesso programma di valorizzazione del patrimonio dei giardini
storici romani.
La mostra, curata da
Alberta Campitelli, Alessandro Cremona, Federica Pirani, Sandro Santolini con
il supporto di un Comitato scientifico internazionale composto da Vincenzo
Cazzato, Barbara Jatta, Sabine Frommel, Denis Ribouillault e Claudio Strinati,
si propone di illustrare come le ville e i giardini siano stati, nei secoli,
espressione di potere, cultura e raffinatezza per pontefici, principi e
cardinali, documentando il passaggio dal rigore del giardino formale alla
libertà del giardino paesaggistico, fino all’affermazione della loro funzione
pubblica, con le passeggiate ottocentesche e i giardini novecenteschi
realizzati a seguito delle travagliate trasformazioni dovute al nuovo ruolo di
Roma come capitale del Regno, che dal 1870 e fino al Ventennio hanno comportato
la distruzione
Organizzazione di Zètema Progetto Cultura. Con il contributo di Euphorbia Srl Cultura del Paesaggio. Catalogo edito da L’Erma di Bretschneider.
In mostra sono esposte quasi 190 opere di vario genere – dai
disegni ai dipinti, dalle stampe ai manoscritti. Spesso poco conosciute e in
molti casi inedite, esse offrono una straordinaria ricchezza documentale per la
ricerca. Questa selezione permette di condurre nuove indagini su complessi a
volte poco studiati, svelando per la prima volta l’aspetto originario di spazi
verdi oggi scomparsi o radicalmente rimaneggiati e proponendo nuove chiavi di
lettura e interpretazione.
Strutturato in sei sezioni, il percorso di visita è arricchito da apparati multimediali e immersivi che offrono al visitatore la possibilità di approfondire e interagire con i temi trattati. Ad aprire l’esposizione è una grande mappa interattiva che fornisce una panoramica dettagliata delle ville storiche di Roma ritratte in mostra: un ponte virtuale tra arte e realtà che non solo introduce alla conoscenza delle opere, ma ne accresce la comprensione del contesto e dei meravigliosi complessi architettonici che le hanno ispirate.
Il percorso prende il via con una sezione dedicata alle
Ville del Cinquecento, tra nostalgia dell’Antico e nuovi modelli. È in questo
periodo che, grazie al rafforzato governo pontificio, Roma riemerge dalle
nebbie del Medioevo con nuova vitalità demografica, economica e artistica. Gli
antichi luoghi per l’otium, come le ville e i giardini di delizia, vengono
riscoperti e indicati come modello, avviando la fiorente stagione del
Rinascimento.
Le vigne e gli orti disseminati nell’urbe vengono trasformati in giardini annessi a residenze. Committenti sono papi, cardinali e aristocratici, ma anche letterati, che impegnano i più grandi artisti del secolo: Bramante, Peruzzi, Raffaello, Sangallo il Giovane, Giulio Romano, Ligorio, Vignola, Ammannati, Fontana e Del Duca raccolgono le suggestioni dell’antichità e definiscono un modello di giardino romano, destinato a essere celebrato e imitato.
Villa Madama, Villa Giulia, il Belvedere vaticano, La
Farnesina, Villa Medici sono documentati in mostra da opere di celebri artisti
quali Hendrick van Cleve, Caspar van Wittel, Paolo Anesi. Preziosa è la veduta
di Villa Mattei Celimontana di Joseph Heintz il Giovane, degli inizi del
Seicento, che restituisce in dettaglio l’assetto dei luoghi.
Le ville del Seicento: fasto e rappresentazione del potere sono protagoniste della seconda sezione. Nel Seicento le ville romane tendono a occupare le aree rimaste ancora libere in zone strategiche della città, nei pressi della residenza papale del Quirinale, delle basiliche e delle mura cittadine. Al tempo stesso, per disporre di spazi sempre più vasti e articolati, fuori della cinta muraria, lungo le principali direttici di accesso alla città si insediano vasti complessi con giardini.
Grazie alla
riattivazione degli antichi acquedotti è possibile realizzare lussureggianti
giardini impreziositi da scenografiche fontane, secondo una concezione teatrale
che suscita la meraviglia dei visitatori, con l’estro dei migliori artisti e
architetti del tempo come Flaminio Ponzio, Carlo Maderno, Giovanni Vasanzio,
Alessandro Algardi e Pietro da Cortona.
Ne sono esempio le
magnificenze di Villa Borghese, immortalata dallo straordinario dipinto di
Joseph Heintz il Giovane, firmato e datato 1625, e da numerosi altri dipinti,
delle purtroppo distrutte Villa Ludovisi, Villa Giustiniani, Villa del Vascello
e la Villa del Pigneto Sacchetti, opera eccelsa di Pietro da Cortona,
precocemente perduta ma amata e documentata da molti artisti.
Spartiacque tra ultimi bagliori e decadenza del modello romano sono Le ville del Settecento: tra magnificenza e “buon gusto” (terza sezione). Nella prima metà del secolo si continuano le magnificenze barocche, con residenze dotate di giardini disegnati secondo l’aggiornata moda alla francese, con elaborati parterres de broderie e boschetti sagomati come “stanze” verdi. Ne sono esempio i giardini di Villa Patrizi fuori Porta Pia, di Palazzo Colonna – collegati all’edificio da ponti sospesi su via del Pilotta – e quelli progettati da Ferdinando Fuga per il Palazzo già Riario, dal 1736 dei nipoti di Clemente XII Corsini e oggi Orto Botanico cittadino. Con la crisi economica e l’affermarsi di esigenze di decoro e appartata comodità, si realizzano edifici più contenuti con giardini ridotti, quali la villa del cardinale Valenti Gonzaga presso Porta Pia, acquistata nell’Ottocento da Paolina Borghese.
Ma il Settecento ci consegna una realizzazione destinata a
divenire celebre in tutta Europa: la villa del cardinale Alessandro Albani,
progettata fuori Porta Salaria tra il 1747 e il 1763 da Carlo Marchionni, con
Giovanni Battista Nolli, Giovanni Battista Piranesi e lo storico dell’arte
antica Johann Joachim Winckelmann per la mirabile collezione d’antichità. I
giardini mantengono un disegno formale con aiuole elaborate e assi prospettici,
come ben mostra l’incisione colorata di Francesco Panini del 1770, ma accolgono
anche strutture tipiche dei giardini inglesi, come la caffeaus semicircolare o
il casino del bigliardo, immortalato dal dipinto di Christoffer Wilhelm
Eckersberg, definendo un mix di fascino e gusto romano celebrato dagli artisti
per tutto il corso dell’Ottocento.
L’Ottocento tra distruzioni e nuovi giardini per
l’urbanistica di Roma capitale è raccontato nella quarta sezione. Il secolo
delle rivoluzioni non lascia spazio a residenze di delizia. I danni causati
dagli scontri non risparmiano il patrimonio di ville e giardini; ma si afferma
anche un nuovo modello, il verde pubblico della passeggiata, destinato non più
alla nobiltà messa in crisi dai mutati scenari politici, bensì a un’utenza più
ampia e “democratica”.
Gli effetti dell’occupazione francese di inizi secolo e
della battaglia per la difesa della Repubblica romana del 1849 depauperano e
distruggono ville e giardini, soprattutto sul Gianicolo. Scompare l’originale
Villetta Doria, nell’area dell’attuale Galoppatoio di Villa Borghese, unico
insuperato esempio di giardino “all’inglese”, fortunatamente immortalata in
varie vedute. Ancor più devastanti sono gli effetti del nuovo ruolo di Roma
capitale.
Dopo il 1870,
infatti, le necessità di un’urbanistica condizionata dall’aumento vertiginoso
della popolazione e dalle necessità di nuove strutture viarie e funzionali si
impongono a scapito del verde storico, soprattutto all’interno delle Mura
Aureliane: ville dal valore incommensurabile, quali le ville Ludovisi e
Montalto, sono impietosamente distrutte.
Per far fronte alle devastanti inondazioni del Tevere
vengono costruiti gli argini, interrompendo il rapporto tra la città e il fiume
e distruggendo gli spettacolari affacci di alcune ville, come ci documenta
Caspar van Wittel con la veduta di Villa Altoviti. Fa eccezione Villa Torlonia
in via Nomentana, commissionata dalla potente famiglia di banchieri, ultimo
esempio di mecenatismo romano, realizzata in tre fasi: inizi Ottocento, metà
Ottocento e inizi Novecento. Le nuove classi sociali introducono intanto una
nuova tipologia abitativa, i villini, che spesso utilizza lacerti di giardini
superstiti delle antiche ville.
A seguire, una sezione dedicata al Giardino romano nel
Novecento tra propaganda, distruzioni e nuovi modelli. Il nuovo secolo si apre
per Roma all’insegna di un’effervescente vitalità: nel 1870 contava 220mila
abitanti che trent’anni dopo erano il doppio. Molte ville vengono distrutte per
lasciare spazio alla modernizzazione, mentre l’acquisizione e l’apertura al
pubblico di Villa Borghese nel 1903, collegata nel 1908 alla Passeggiata del
Pincio, segna un indubbio contributo al verde cittadino. Dopo la tragica
parentesi della guerra, il Regime fascista avvia una politica del verde su un
doppio registro legato alle nuove esigenze urbanistiche mussoliniane.
Il giardino di Villa
Rivaldi, ad esempio, viene impietosamente distrutto per consentire l’apertura
di via dell’Impero (attuale via dei Fori Imperiali) e contemporaneamente si
afferma, per quanto disorganico e in funzione propagandistica, un incremento
considerevole del verde pubblico. Vengono, infatti, arricchite di alberi
numerose piazze, mentre alcune ville nobiliari di proprietà dello Stato, come
Villa Aldobrandini e Villa Mattei Celimontana, sono conferite al Comune di Roma
e aperte al pubblico.
Nel 1928, nel Parco del Valentino a Torino si tiene una
mostra dedicata ai giardini con una forte presenza del Servizio Giardini romano
che allestisce un padiglione barocco e sistemazioni a giardino, progettate da
Raffaele de Vico, in gran parte ispirate a Villa Borghese.
Nel 1931, a Firenze,
un’altra mostra esalta il primato italiano con dieci modelli di villa e se ne
presenta in mostra il filmato d’epoca. Il modello di villa romana tra Cinque e
Seicento, realizzato in miniatura da Luigi Piccinato, è qui illustrato in una
foto d’epoca. Numerosi sono i giardini progettati per lo più da Raffaele de
Vico: Villa Glori (Parco della Rimembranza) 1924, Parco Flaminio (1924), Villa
Caffarelli (1925), Piazza Mazzini (1925-26), il Parco di Colle Oppio (1926-27),
Parco degli Scipioni (1929), Parco Nemorense o Virgiliano (1930), Villa
Fiorelli (1930-31), Parco di Testaccio (1931), il Parco di Santa Sabina
sull’Aventino o degli Aranci (1931), Villa Paganini (1934), Parco Cestio
(1938). Molti di questi giardini vengono immortalati nei dipinti di Carlo
Montani dei quali si presenta in mostra un’ampia selezione.
Una sezione racconta infine il Vivere in villa: svaghi e
socialità nei giardini romani. La reinterpretazione rinascimentale dell’ideale
classico della vita in villa acquisisce già alla fine del Quattrocento una
dichiarata connotazione sociale, che si manifesta attraverso attività come il
simposio intellettuale, la caccia, il collezionismo di esemplari rari di piante
e di animali, l’esposizione di sculture, la pratica delle arti e l’allestimento
di ricevimenti e banchetti per le più svariate occasioni.
Ne scaturisce
l’esigenza di possedere giardini adatti a ogni forma di svago e di
intrattenimento. Alle cacce vengono così destinate le zone boscherecce delle
ville mentre idonei spazi vengono progettati per ospitare concerti, spettacoli
teatrali e banchetti, manifestazione del potere e della magnificenza del
proprietario. Le ville romane, inizialmente aperte a una cerchia ristretta di
ospiti, con l’affermarsi del Grand Tour e con la diffusione della “moda” del
caffè e della cioccolata, nel corso del Settecento diventano luoghi sempre più
aperti verso un pubblico eterogeneo e internazionale.
Con il repentino
cambiamento della società tra Otto e Novecento si affermano nuovi riti sullo
sfondo di una Roma capitale in rapida evoluzione. Villa Borghese e i viali del
Pincio, uniti dal cavalcavia sul viale del Muro Torto, inaugurato nel 1908,
sono le cornici ideali per ospitare caffè, mostre, eventi sportivi e musicali,
meta preferita dai romani per scampagnate e passeggiate domenicali, come
mostrano i dipinti di Georges Paul Leroux e Armando Spadini.
L’esposizione si avvale di prestigiosi prestiti da
istituzioni nazionali e internazionali quali il Musées royaux des Beaux-Arts de
Belgique, la Národní Galerie di Praga, lo Statens Museum for Kunst - National
Gallery of Denmark, lo Château de Fontainebleau, il Musée cantonal des
Beaux-Arts de Lausanne, il Musée d’Angers, il Musée Ingres Bourdelle de
Montauban, l’Ecole Nationale Supérieure des beaux-Arts de Paris, il Musée
d’Orsay di Parigi, i Musei Vaticani e la Biblioteca Apostolica Vaticana, la
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (G.A.P.), le Gallerie degli Uffizi,
Villa La Pietra / New York University Florence, la Biblioteca Nazionale
Marciana, l’Accademia Nazionale di San Luca, l’Archivio della Congregazione
dell’Oratorio di Roma, l’Archivio di Stato di Roma, la Biblioteca Alessandrina,
la Biblioteca Istituzionale della Città Metropolitana di Roma Capitale, la
Biblioteca Nazionale Centrale, la Collezione Patrizi-Montoro Corso, la
Collezione Patrizi-Montoro, la Collezione Pompei Franco, la Galleria Colonna,
la Galleria Pallavicini, l’Istituto Centrale per la grafica e numerose altre
collezioni pubbliche e private, tra le quali spicca un nucleo consistente di
opere facente parte della vasta collezione d’arte di Roma Capitale, alcune
delle quali ripresentate al pubblico e valorizzate dopo una lunga assenza
espositiva.
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