L'attrice del cinema italiano e francese, protagonista de "L'avventura" e anti-diva per eccellenza, si è spenta a Roma
di Davide Turrini
“Lea Massari non assomiglia a nessun’altra, assomiglia a se stessa”. La frase è del regista Renato Castellani. L’originalità, la personalità, la classe sono quelle di Lea Massari, morta a 91 anni a Roma nelle scorse ore. Massari fu attrice di primissimo piano, appartenente a quelle generazioni del primo dopoguerra che accompagnarono la rinascita del cinema italiano.
Discreta, mai invadente, conturbante e austera, Massari non afferma la sua presenza in scena attraverso l’ “istintività” come le colleghe Loren o Mangano, ma nemmeno con quell’andamento giovanilistico ed etereo alla Cardinale.
Nonostante le pose da modella, pardon da mannequin, che poi sono il trampolino di lancio per il cinema (Proibito di Mario Monicelli, 1954), Anna Maria Massatani, figlia di una famiglia medio borghese romana di Monteverde Vecchio, mostra la sua concretezza recitativa, di presenza scenica senza sbandierare le pur presenti doti esteriori.
Proprio Castellani le offre nel 1957 la sua prima importante parte da protagonista in I sogni del cassetto, dove interpreta Lucia, una studentessa di chimica all’università di Pavia che si innamora dell’amico e studente di medicina Mario (Enrico Pagani). Costretta dal padre a tornare nel paesino di provincia prima di sposarsi mentre il fidanzato si laurea, Lucia morirà di parto poco tempo dopo.
Raccontarla oggi una storia del genere è acqua fresca, ma all’epoca fu uno dei primi segni di neorealismo cinematografico rispetto ad una nuova classe sociale giovanile e femminile da raccontare. Massari dimostra di essere già attrice di rango, tosta, volitiva. Tanto che diventa subito musa di Michelangelo Antonioni nel primo dei tre celebri capitoli della “trilogia dell’incomunicabilità”, L’avventura. Massari è Anna, la ragazza ricca e viziata, fidanzata del protagonista che improvvisamente durante una crociera scompare. Saranno Monica Vitti e Gabriele Ferzetti a cercarla invano, ma Massari è quella presenza/assenza che pesa, che bascula, che firma il suo svanire con l’eleganza di una diva d’altri tempi.
E per capire la sua duttilità, appena dopo l’esordio segnaliamo e ricordiamo che è protagonista di La giornata balorda di Bolognini assieme a Jean Sorel e di un capolavoro della commedia agrodolce italiana, quel Una vita difficile (1961) di Dino Risi dove fa coppia con Alberto Sordi, dando anima e corpo all’amara presenza di Elena, moglie di quel Silvio Pagnozzi che esce dalla guerra da idealista, scansando i compromessi lavorativi e politici, ma faticando mostruosamente a campare.
La sequenza memorabile, gerarchicamente da brividi,
con Elena e Silvano invitati a cena da una famiglia di monarchici, proprio
nell’attimo in cui la radio annuncia la vittoria della repubblica, è un pezzo
di storia esilarante della commedia italiana.
Massari non ha bisogno di pigmalioni, di mostrarsi in copertine, la sua carriera si fa subito internazionale, addirittura hollywoodiana con La città prigioniera (1964), poi spagnola per il maestro Carlos Saura (I cavalieri della vendetta), infine inizia un sodalizio con le produzioni francesi di genere drammatico del periodo che culminano in L’amante di Sautet (1970) assieme a Michel Piccoli e soprattutto in Soffio al cuore di Louis Malle (1971) dove da moglie fiorentina, solare e giocosa di monsieur Chevalier (Daniel Gelin), ginecologo di Digione, è protagonista di uno scandaloso incesto con il figlio quattordicenne.
La sensualità di Massari nel film di Malle è qualcosa di così erotico e provocante, senza mai sconfinare in gratuite nudità, da lasciare ancora oggi stupefatti. Sono gli anni d’oro per l’attrice romana, in cui recita con Alain Delon in La prima notte di quiete di Zurlini (1972) e dove tra Cristo si è fermato a Eboli di Rosi e Allonsanfan dei Taviani, cavalca il cinema franco americano prestandosi in ruoli di spessore per Pierre Granier-Deferre, Henri Verneuil, Rene Clement e John Frankenheimer, lavorando con Jean Louis Trintignant, Jean Paul Belmondo, Alan Bates.
Sarà Tatiana
Schucht nel Gramsci di Lino del Fra (con Riccardo Cucciolla nei panni
dell’intellettuale comunista), ma soprattutto l’Anna Karenina di Sandro Bolchi,
nel popolarissimo sceneggiato tv Rai del 1974. Nel 1990, a 57 anni, si ritira
dalle scene con Viaggio d’amore dove divide il set con Omar Sharif.
Irrequieta, mai amante del jet set cinematografaro, raramente disponibile ad interviste ed amarcord, sposò nel 1963 Carlo Bianchini un pilota dell’Alitalia con il quale si trasferì in Sardegna dopo il ritiro anche se poi divorziarono nel 2005.
Animalista convinta e cacciatrice pentita, Massari si è battuta per le cause e la vita di tutti gli animali quando ancora non si erano affermate associazioni del settore e non c’erano ovviamente web e social. “Trent’anni fa a Dubrovnik, in Jugoslavia, con mio marito, cacciavamo la lepre”, ricordò negli anni novanta in una celebre intervista a Claudio Sabelli Fioretti. “Per me era la prima volta, perché non avevo mai sparato alla lepre. Sentii un fruscio e sparai d’istinto. Credevo fosse una lepre, invece era un coniglietto.
morì mentre lo stringevo in petto e io sono morta con
lui. Mi sentivo una stronza”. Nella stessa intervista Massari difendeva la
scelta di non mangiare più carne, di combattere contro macelli, allevamenti
intensivi, circhi e perfino contro la vivisezione: “L’animale è l’uomo. Anzi
più di un uomo. Non ha i suoi difetti, l’invidia, l’interesse. E’ un uomo
divinizzato”.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/06/25/e-morta-lea-massari-addio-allantidiva-di-rango-animalista-convinta-musa-di-antonioni-che-recito-con-delon/8038806/
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