Di Valerio Stivè
5 è il numero perfetto di Igort è un graphic
novel di genere crime che inizia pacato, con passo lento, tra le mura di una
casa, nell’intimità tra padre e figlio. Introduce un rapporto di sangue che
suona solido, quasi sacro. Ma questo asse ben presto verrà spezzato.
Peppino è vedovo, suo figlio Antonino lo rende
orgoglioso: prosegue l’attività di famiglia (la malavita) e rappresenta il
legame che resta a Peppino con la defunta amata moglie. Fatta eccezione per lo
stile così Thirties che traspare da molti dettagli (abiti e capigliature, su
tutto), il cuore dei primi dialoghi sembra uscire da un episodio de I Soprano:
Antonino potrebbe somigliare allo zio Junior. Il clima è quello, immerso in
rapporti travagliati con madri e mogli vissuti da malavitosi assai più fragili
di quel che il loro codice vorrebbe imporre, e in faccende losche trattate tra
un caffè e l’altro, come se nulla fosse.
Il libro parte da qua: Antonino ha da sbrigare un lavoro, un tizio da far fuori, e suo padre vuole che per lui tutto sia in perfetto ordine, che abbia bevuto il suo caffettino con calma e che sia vestito come si deve.
L’uomo è come accide. E ’o figlio mio, grazie a Dio, accide come si deve.»
Nel rituale casalingo dell’incipit c’è tutta
la solitudine di un uomo che ha fatto il suo tempo, di una generazione passata
convinta di conoscere l’onore, ma talmente superata da non trovare un testimone
nella successiva. In quelle scene c’è anche un crescendo subdolo, un leggero
subbuglio che preannuncia tragedia.
Antonino infatti non tornerà dal suo incarico. Peppino lo scoprirà presto e rivestirà, seppur in modo sottilmente goffo, quei panni che gli appartenevano un tempo, quelli del malavitoso in azione, come un supereroe che tira fuori un vecchio costume ormai smesso, intraprendendo una (ultima?) missione. Stavolta non per conto di qualcun altro.
5 è il numero perfetto è un racconto di vendetta. Ha i toni del noir classico, ma non c’è alcun investigatore. I ruoli si confondono – il vendicatore è anche vittima – ed è in questo più che in ogni altra cosa che Igort racconta il reale. I cattivi vivono in un mondo a sé, se la sbrigano tra di loro e sotto il tenue riflettore puntato sulle loro azioni da Igort non resta molto spazio per il resto dell’umanità. Tutti sono carnefici e al contempo vittime, o perlomeno passano da uno stato all’altro in tempo brevissimo, e tutti sono detentori di una giustizia fragile e artefatta.
Gli uomini d’onore di Igort sono italiani ma ci sono dettagli che ricordano americani di un tempo andato – crimini e stili del tempo che fu. Non a caso il libro è dedicato a George Herriman. Peppino ha preso in prestito da lui il cappello, calato però su un naso dalla forma improbabile, questo preso in prestito invece da Dick Tracy. Per quanto 5 sia un racconto dalla grande personalità, fa mostra di un’abbondanza di simboli del fumetto americano, dai supereroi all’underground, senza dimenticare il fumetto nero italiano degli anni Sessanta.
«La vita è terribile. E il brutto è che tiene pure il senso dell’umorismo.»
Il romanzo criminale di Igort è un anche un
romanzo dell’io. Già prima dei recenti Quaderni giapponesi l’autore si era
avvicinato al gekiga, il fumetto d’autore giapponese che nella seconda metà del
Novecento si dedicò come mai prima all’introspezione.
Peppino è forte e risoluto solo nell’attimo in cui deve uccidere. Per il resto del tempo è fragile e in balia di incertezze, visioni e sentimentalismi, sempre pronto a sciorinare un ricordo o un aneddoto carico di malinconia. Il racconto dell’io prende infine il sopravvento sul racconto di vendetta. Le certezze si smontano e certe azioni estreme si rivelano insensate nell’apice della lunga parabola emotiva di Peppino.
Realizzato dal 1994 al 2002, 5 vede Igort perfezionare un segno mai visto prima nei suoi lavori, sempre in bilico tra minimalismo e ricerca dell’abbondanza del dettaglio. Pennellate dense e materiche inspessiscono le forme (imposte alla tavola ricordando il segno di Mazzucchelli e quello di Muñoz). Gli sfondi sono netti, giustapposti sulle figure umane come una scenografia teatrale, con l’azzurro della bicromia che mantiene costantemente le luci basse e chiede al lettore di tenere sempre lo sguardo attento. Ora che 5 è diventato un film, trovano ulteriore senso i campi larghi su cui aprono lo sguardo le tavole di Igort. Come i primissimi piani che si susseguo in piccole vignette ravvicinate e incalzanti, danno al fumetto un ritmo intenso e drammatico.
A una ventina d’anni dalla sua prima
apparizione (in piccoli albetti, come usava negli anni Novanta, prima di essere
raccolto in un singolo volume), 5 è il numero perfetto va ricordato anche come
un fumetto che ha aperto una via al graphic novel italiano nel resto del mondo,
tradotto in una decina di lingue, in un periodo vicino ma in cui ancora non
c’era l’apertura di oggi verso il fumetto italiano contemporaneo.
Da questo punto di vista, la forza di 5 sta nell’essere un racconto profondamente italiano. Nell’intervista di Matteo Stefanelli riproposta anche nella nuova edizione del volume l’autore sottolinea: «Non mi interessavano esotismo, panorami o trame avventurose. Ma un noir che fosse fatto di cose che conoscevamo». Nonostante la moltitudine di rimandi a culture fumettistiche forestiere di cui sopra, gli ambienti, le auto, i marchi citati, i caratteri sono italianissimi. Un’eccezione, nel panorama editoriale di venti e oltre anni fa.
In questa consapevolezza c’era già buona parte
delle ragioni culturali che Igort avrebbe messo a frutto con la creazione
dell’etichetta editoriale Coconino Press. Paradossalmente, la natura “di
genere” sarebbe stata il solo ingrediente che, negli anni successivi, sarebbe
mancato all’appello nello scenario editoriale del nuovo graphic novel italiano.
Come tutte le opere in grado di segnare una via, qualcosa di quel che ‘diceva’
sarebbe finito sottotraccia. Per riemergere più avanti, in una differente –
eppure così affine – forma: il grande schermo.
https://www.fumettologica.it/2019/08/5-e-il-numero-perfetto-il-romanzo-criminale-secondo-igort/
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