miércoles, 2 de junio de 2021

E GIOVANNI BRUSCA LIBERO DOPO 25 ANNI: UCCISE FALCONE. LA SORELLA DEL GIUDICE: DOLOROSO, MA È LA LEGGE VOLUTA DA MIO FRATELLO

Salvini: non è giustizia. Maria Falcone: doloroso, ma è la legge voluta da mio fratello. Il killer della mafia innescò l’ordigno della strage di Capaci, poi collaborò con i magistrati

di Giovanni Bianconi


Giovanni Brusca libero dopo 25 anni: uccise Falcone. La sorella del giudice: doloroso, ma è la legge voluta da mio fratelloGiovanni Brusca il 21 maggio 1996 alla questura di Palermo (Ansa/Archivio Corriere)shadow

ROMA — Il fine pena è arrivato puntuale, lento ma inesorabile: trent’anni di carcere, che con la liberazione anticipata che si applica a tutti i detenuti — 45 giorni di sconto ogni sei mesi passati in cella, unico beneficio concesso anche ai mafiosi — sono diventati venticinque. E così Giovanni Brusca, il boss di San Giuseppe Jato che era nel cuore di Riina, l’artificiere che fece esplodere la bomba di Capaci, arrestato nel 1996, è uscito lunedì per l’ultima volta dal carcere romano di Rebibbia. Libero, seppure con qualche residua limitazione e sempre sotto protezione, inserito a pieno titolo nel programma per la sicurezza dei pentiti.

Pentito

Perché questo ha consentito all’esecutorie materiale della strage di Capaci, l’assassino di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e dei tre agenti di scorta di non morire in galera come gli altri boss di Cosa nostra che decisero quello e altri eccidi, e centinaia di omicidi: la collaborazione con la giustizia. Brusca i delitti commessi non riusciva nemmeno a contarli, per quanti erano. Ma grazie alla decisione di confessare, denunciare e far condannare gli altri mafiosi, capi, sottocapi e gregari, ha evitato l’ergastolo; trent’anni sono tanti, ma hanno comunque un termine, e adesso quel termine è arrivato.

Le reazioni

Il leader della Lega Matteo Salvini accusa: «Non è la giustizia che l’Italia merita», mentre Maria Falcone, sorella di Giovanni, commenta: «Umanamente è una notizia che mi addolora, però questa è la legge, che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata». Ma Brusca è l’ultimo pentito della strage a uscire; gli altri che contribuirono a far saltare in aria l’autostrada Palermo-Punta Raisi e che subito o quasi scelsero la via della collaborazione, sono liberi da tempo: Gioacchino La Barbera, Santino Di Matteo e non solo.

Di Matteo fu il primo a confessare, nell’autunno del ’93; per vendetta gli rapirono il figlio Giuseppe appena dodicenne, tenuto segregato per oltre due anni, poi ucciso e sciolto nell’acido. Per ordine di Giovanni Brusca. Era l’inizio del ‘96, al killer chiamato ’u verru, il porco, erano rimasti pochi mesi di libertà. Lo presero il 20 maggio di quell’anno, in provincia di Agrigento, dopo alcuni tentativi falliti in cui agli investigatori erano rimaste in mano solo le camicie firmate che a Brusca piaceva indossare, abbandonate nella fuga. Quella volta invece centrarono l’obiettivo, e il boss non ancora trentenne (è nato il 20 febbraio 1957) venne catturato assieme al fratello Enzo, altro manovale dei Corleonesi, altro pentito libero da tempo.

La collaborazione

La collaborazione di Giovanni Brusca — figlio del boss Bernardo, condannato al maxiprocesso istruito da Falcone e da Paolo Borsellino —– cominciò con un tentativo di depistaggio. All’inizio parlò di patti sottobanco, provò a svelare ambigui contatti con lo Stato e cercò di tirare in ballo l’ex presidente dell’Antimafia Luciano Violante, ma erano bugie orchestrate per mettere in crisi le istituzioni e il pentitismo. Fallito quel tentativo, Brusca decise di collaborare per davvero, e rivelò tanti particolari della strategia messa in campo da Totò Riina, prima per conquistare Cosa nostra e poi per attaccare lo Stato. E lui, Brusca, fu uno dei suoi bracci operativi; se non il più fedele, uno dei più efficaci.

La strage di Capaci

Quando nel 1992 il capo corleonese stabilì di chiudere i conti con i referenti politici da cui si sentiva tradito e di avviare la stagione del terrorismo mafioso per fare fuori i nemici storici, Falcone e Borsellino, Brusca fu l’uomo incaricato di procedere; altri killer inviati a Roma per mettersi sulle tracce del giudice antimafia trasferitosi al ministero della Giustizia avevano fallito la missione, e a quel punto Riina affidò a Brusca la pratica che si sarebbe chiusa il 23 maggio 1992, con l’esplosione sull’autostrada provocata dal radio-comando attivato da ’u verru. Poi — così ha raccontato da pentito — lo zio Totò gli ordinò di organizzarsi per uccidere l’esponente democristiano Calogero Mannino, ma subito dopo gli chiese di rallentare, perché c’era da dare la precedenza a un’altra vittima: Paolo Borsellino.

La trattativa Stato-mafia

Con le sue dichiarazioni Brusca ha dato il via anche alle indagini sulla trattativa Stato-mafia, parlò del papellocon le richieste del boss consegnato ai rappresentanti delle istituzioni che «si erano fatti sotto» per chiedere che cosa voleva, e dei successivi rapporti con la politica. Sempre discusso, ma sempre ritenuto sostanzialmente attendibile, Brusca godeva da tempo di permessi premio, talvolta sospesi quando ne ha approfittato per violare qualche regola ma poi sempre ripristinati.Più volte ha chiesto gli arresti domiciliari, puntualmente negati dai giudici. Fino alla fine della pena, arrivata lunedì.

https://www.corriere.it/cronache/21_giugno_01/brusca-fine-pena-25-anni-liberazione-diventa-caso-5510e344-c29a-11eb-8124-01fce1738742.shtml

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