Con il termine “Idi” si intendevano indicare dei particolari giorni a metà del mese del calendario romano giuliano in vigore in quel periodo, il quale era strutturato su tre date fisse per ogni mese e all’epoca seguiva i cicli lunari.
Il primo giorno del mese era detto “calende”, da cui deriva la parola calendario (ovvero il registro delle tasse che venivano riscosse i primi giorni di ogni mese), che corrispondeva al giorno della luna nuova, le “none” indicavano il giorno del primo quarto e le “idi” coincidevano con il giorno del plenilunio, con il tempo il calendario diventò solare e perse quindi questa connotazione di essere legato alle fasi lunari.
Le “Idi di marzo” sono una data famosa dell’antico calendario romano perché ad essa è stata attribuita l’uccisione di Giulio Cesare, precisamente il 15 marzo del 44 a.C. ad opera di alcuni senatori che volevano mantenere il governo repubblicano ed erano contrari ad ogni forma di potere politico accentrato.
Essi temevano infatti che Giulio Cesare volesse proclamarsi re di Roma, questo timore alimentò la decisione comune di un numero cospicuo di senatori guidati da Gaio Cassio, Marco e Decimo Bruto che congiurarono per ucciderlo. Insieme a loro si unirono anche i Pompeiani ed alcuni sostenitori di Cesare poiché tutti temevano la sua volontà accentratrice, inoltre più volte egli si era accerchiato da rancori e invidie personali da parte dei suoi seguaci.
La sua morte non fermò però la sua idea e volontà in essere poiché il potere fu preso conseguentemente in mano dal suo successore Ottaviano, figlio adottivo ed erede di Cesare, il quale diventò imperatore.
Secondo la storia Giulio Cesare morì con ventitré pugnalate e viene tuttora narrato che riconobbe tra i suoi assassini il volto del figlio legittimo Marco Giunio Bruto al quale avrebbe pronunciato la celebre frase: “Tu quoque, Brute, fili mi!” (“Anche tu Bruto figlio mio!”).
In realtà sembrerebbe che questa frase non fosse mai stata detta, lo storico dell’epoca Gaio Svetonio Tranquillo raccontò che l’imperatore non emise alcuna parola ma si limitò a emettere un gemito dopo aver ricevuto il primo colpo, dopo il quale si avvolse su se stesso sistemandosi la tunica che aveva addosso.
Tra l’altro sembra improbabile anche che Giulio Cesare avesse parlato in latino poiché la lingua utilizzata dalla casta più altolocata dell’epoca era il greco e la frase enunciata dovrebbe essere stata la stessa ma in lingua greca. Rimane quindi non chiara la motivazione di tale frase, la quale ha assunto comunque nel tempo una diffusione di giganti proporzioni.
Secondo gli studiosi e ricercatori Giulio Cesare fu assassinato nella zona dell’odierna Torre Argentina, la Curia di Pompeo del tempo, tra i numerosi reperti fu trovata una lastra di cemento di tre metri di larghezza per due metri di altezza e venne attribuita al punto in cui lui sedeva al momento dell’assassinio.
La lastra fu voluta da Ottaviano Augusto per ricordare il padre, che morì seduto su una sedia mentre presiedeva una riunione al Senato. Tutt’oggi questo luogo essendo in pieno centro storico è attraversato da molti cittadini, essendoci anche vicino una fermata dell’autobus e l’omonimo Teatro Argentina.
A Roma si diffuse anche un’altra tradizione riferita al fatto che Giulio Cesare probabilmente fosse stato cremato dopo essere stato assassinato, ogni anni infatti moltissime persone, sia capitoline che turisti si recano al Foro Romano per un saluto a questo “iconico imperatore” omaggiandolo con fiori, monete o con un ricordo personale.
Più attendibile però è la frase simbolica che si sente spesso pronunciare: “Guardati dalle Idi di marzo” che in realtà sintetizza un modo di dire per mettere in guardia una persona in una determinata situazione cioè quando c’è un pericolo imminente che minaccia un momento temporale o una vicissitudine particolarmente pericolosa per un individuo.
Il Cesaricidio ha assunto nel tempo una connotazione diversa, non più vista come una effettiva eliminazione fisica di una persona ma un tentativo estremo di difendere i valori civili riferiti alla libertà o all’estremo opposto conservare i valori dispotici di una tradizione.
Le Idi di Marzo vennero raffigurate in numerosi romanzi, film, opere d’arte, nel “Giulio Cesare” di Shakespeare e nella poesia di Costantino Kavafis intitolata per l’appunto “Idi di Marzo” tratta dalla raccolta “La memoria e la passione”.
A cura di Barbara Comelato – Foto Imagoeconomica
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