Figlia di una sorellastra del Führer e forse
sua amante, venne trovata morta nel 1931. L’esordio dello scrittore (Longanesi) ricostruisce quel misterioso
suicidio
di DONATO CARRISI
Geli Raubal (1908-1931) con Adolf Hitler
(1889–1945), suo zio e tutore legale: lei era figlia di una sorellastra del
leader nazista
C’è un luogo comune, in verità piuttosto
abusato, che recita: «La realtà supera la fantasia». È una sorta di frase fatta
che, nella sua semplicità, mi ha attraversato la mente a più riprese mentre
leggevo il romanzo di Fabiano Massimi, L’angelo di Monaco (Longanesi).
Fabiano Massimi (Modena, 1977) è bibliotecario
alla Biblioteca Delfini di Modena e lavora nell’editoria. È al suo esordio
nella narrativa
Non so dire quanto sia attendibile, questa
frase, e in quali occasioni lo sia, e forse non è neppure così importante.
Perché il rapporto tra realtà e immaginazione, per un narratore, è molto più
complesso e stratificato di così. È fatto di suggestioni oscure e subliminali,
di sedimentazioni in una coscienza inquieta e famelica, di infinite sfumatur
Nel mio caso, la sfumatura dominante è il
giallo.
E non è perché scrivo thriller, o «gialli»,
come si vogliano chiamare. Invece, è così perché il giallo è il colore
dominante nella stanza in cui scrivo, per via dei post-it che appendo
dappertutto attorno a me — sulle pareti, sul ripiano della scrivania, disposti
a corona intorno al monitor del computer, sulla spalliera della sedia… Ovunque
mi capiti. Sono appunti — piccoli nodi di una tela in perenne tessitura — che
prendo ogni qual volta mi capiti di incrociare un fatto di cronaca che, per un
motivo qualsiasi, attiri la mia attenzione. Conservo con avidità ritagli e
pagine di giornale, perché di questo dovrebbe riempirsi il cassetto dello
scrittore, non di inediti rimasti a prendere polvere.
La realtà forse non supera la fantasia. La
realtà, per l’immaginazione, è uno strano cibo: più ti alimenta, meno ti sazia,
più affamato ti lascia. E frenetico.
È così che immagino si sia sentito Fabiano
Massimi quando è incappato in un frammento di realtà perduto nei turbini della
storia, come una foglia sollevata dalla tempesta e mai riatterrata al suolo.
Immagino la sua fame e la sua frenesia.
E mi è facile farlo, perché è capitato anche a
me, nella mia carriera di scrittore, di imbattermi in una storia tanto reale
quanto misconosciuta, e di domandarmi: possibile che non ne abbia mai scritto
nessuno?
E allo stesso modo credo sia andata per
Massimi quando ha scoperto la vicenda, vera e inquietante, di Geli Raubal.
Il 18 settembre del 1931, in un elegante
appartamento nel centro di Monaco, viene ritrovato il corpo di una ragazza di
soli 23 anni. Tutto sembra lasciar intendere che Angelika Raubal, conosciuta
come Geli, si sia suicidata. Per la precisione, si sia sparata con una pistola
Walther calibro 6.35 millimetri.
Ma niente è lineare come appare. E non solo
perché la morte di Geli Raubal è a tutti gli effetti quella che i giallisti
chiamano «enigma della camera chiusa». Il punto cruciale, che vedrà scatenarsi
i quotidiani tedeschi locali e nazionali, è l’identità del proprietario
dell’appartamento di lusso in cui viveva Geli, l’uomo che era anche il suo
tutore legale, nonché suo zio.
Adolf Hitler. Un astro nascente della politica
tedesca (oggi diremmo: con quantità enormi e crescenti di like), che molti
speravano e ancora molti invece temevano diventasse leader di una nazione in
crisi economica e sociale.
Oggi, tutti ci ricordiamo di Eva Braun: ma il
suo nome è diventato di pubblico dominio soltanto dopo la fine della guerra.
Prima di allora, negli anni dell’ascesa di Hitler, esisteva una sola donna per
lui. Proprio sua nipote, Geli. L’inquieta Geli, l’attraente Geli, la
chiacchieratissima Geli, pessima studentessa e cantante talentuosa, sempre al
fianco del potentissimo zio, circonfusa da un sorriso tanto luminoso quanto
impenetrabile.
Eppure, oggi di lei nessuno si ricorda.
Fabiano Massimi aveva di fronte a sé tutti gli
ingredienti: una donna ingiustamente dimenticata, protagonista a suo
(disperato) modo di una stagione storica e politica che aveva il sapore di una
tragedia annunciata e inevitabile. Una ragazza che ha conosciuto il Male da
vicino e, probabilmente, l’ha addirittura amato. Pagando il prezzo più alto.
Gli ingredienti giusti, dicevo, c’erano tutti.
Ma non bastavano. Non bastano mai.
Nel romanzo L’angelo di Monaco, scoprirete
leggendolo, quasi nulla è inventato. Eppure, in un certo senso, ogni cosa lo è.
Perché è questo che uno scrittore fa: fruga la realtà e la Storia come un
cercatore d’oro chino nel greto di un torrente, trova indizi minuscoli e
trascurati, collegamenti impercettibili finora impensati, e inizia a
setacciare. E poi, a tessere.
Per esempio, scopre l’esistenza di due
poliziotti di Monaco che, in quei giorni di settembre del 1931, firmano gli
incartamenti del caso di apparente suicidio più eclatante dell’epoca. Di loro,
Fabiano Massimi — e, come lui e prima di lui, gli storici e gli studiosi — ha
soltanto i cognomi. La storia, la loro personalità, i segreti e le
vicissitudini di questi due poliziotti (messi a capo, probabilmente loro
malgrado, dell’indagine più pericolosa e più soggetta a pressioni esterne
dell’epoca), sono un grande foglio bianco da riempire.
Oggi, a molti di noi, il nome di Geli Raubal
dice poco o nulla. Ma pensateci: anche il nome di Elizabeth Short, fino a
qualche anno fa, diceva poco o nulla ai lettori italiani e internazionali.
Finché un grandissimo scrittore di Los Angeles — che dalla vicenda
dell’omicidio mai risolto di Elizabeth Short era rimasto profondamente e
personalmente segnato — di nome James Ellroy non ha deciso di scriverne. E di
riempire quel foglio bianco con protagonisti, intrecci e retroscena che, messi
mirabilmente in forma di romanzo thriller, hanno portato a un capolavoro come
Dalia nera.
L’angelo di Monaco è un romanzo, più
precisamente un thriller, storico — un genere di cui si è dibattuto molto, di
recente, anche sulle pagine de «la Lettura» #419 dell’8 dicembre scorso. Si è
parlato di esattezza storica — e da questo punto di vista, mi sembra che quella
di Fabiano Massimi si possa classificare come autentica ossessione per
l’esattezza. Ma soprattutto, si è parlato del rapporto tra verità storica e
interpretazione, della capacità di intrattenere ed emozionare. E ritorno
all’interrogativo in apertura: la realtà supera la fantasia?
L’angelo di Monaco è realtà storica, ma
indubbiamente allo stesso tempo la supera, grazie a ciò che la realtà di per sé
non potrà mai avere: qualcuno che se ne faccia cantore. Qualcuno che ne sia
accurato, entusiasta, emozionante, immaginifico narratore.
Il dibattito sul romanzo storico
Il romanzo storico è stato al centro di un
dialogo tra Ildefonso Falcones, Pierre Lemaitre e Antonio Scurati curato da
Annachiara Sacchi su «la Lettura» #419 dell’8 dicembre 2019 e proseguito sul
numero del 15 dicembre con l’intervento dello storico Fulvio Cammarano.
https://www.corriere.it/cultura/20_gennaio_01/angelo-monaco-fabiano-massimi-geli-nipote-hitler-877422fc-2ca9-11ea-afa8-9788b8f8ce6e.shtml
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