Da Elisa De Marchi
Sono passati cinque anni da quel fatidico
marzo 2016, che ha visto esplodere il caso Varani. Lagioia ripercorre i fatti,
analizzandone cause ed effetti, arricchendo il racconto con riflessioni
personali di grande intelligenza. Sullo sfondo, una Roma tanto bella quanto
corrotta.
È la notte tra il 4 e il 5 marzo 2016; Luca Varani, un ragazzo di appena 23 anni, viene invitato da un conoscente in un appartamento del Collatino. Lì Luca troverà la morte, ma solo dopo essere stato drogato, reso inoffensivo, ed aver subito ore di torture totalmente gratuite. Manuel Foffo e Marco Prato, infatti, agiscono senza alcuno scopo. Non c’è movente: è questo l’aspetto più bizzarro e più atroce di tutta la vicenda.
Il romanzo si apre con la confessione di
Manuel Foffo al padre; il ragazzo dichiara di avere un cadavere nel suo
appartamento e di non conoscerne nemmeno il nome, crede di averlo ucciso a
coltellate e martellate, ma non sa dire nemmeno quando. Troppa confusione. Il
primo pensiero, e anche la prima speranza del padre, è che si tratti di uno
scherzo idiota. Ma quando aprono la porta dell’appartamento di Manuel, al
decimo piano di via Igino Giordani, non c’è più spazio per la speranza.
Manuel e Marco, due ragazzi come tanti, si
incontrano a casa del primo per un festino a base di vodka e cocaina. Il
festino si prolunga per giorni. Tra i due c’è anche una relazione di tipo
sessuale, ma è soprattutto una connessione intima, difficile da definire. Nelle
deposizioni i due dichiarano di sentire questo legame profondo, affermano che
guardandosi negli occhi possono percepire una sorta di indicazione, di comando,
proveniente dal compagno.
L’omicidio di Luca Varani colpisce sia per la
totale mancanza di un movente, sia per la brutalità con cui è stato perpetrato.
Manuel e Marco sono i primi a non capire cosa sia successo. La loro confessione
è una richiesta d’aiuto, i due sembrano domandare agli inquirenti, ai giudici,
agli avvocati: che cos’è successo? Com’è possibile che proprio io abbia
ammazzato qualcuno? Perché?
Il romanzo di Lagioia assume punti di vista
inconsueti, utilizzando la letteratura come strumento per capire la realtà. I
fatti sono raccontati dalla voce di Valter Foffo, il padre di Manuel; sono
vissuti da Marta Gaia, la fidanzata di Luca Varani. Nonostante l’utilizzo di
queste voci narranti, coinvolte in prima persona nell’evento, il romanzo resta
imparziale, oggettivo e accuratamente documentato. Lagioia ha seguito il caso
per quattro anni, attingendo alle fonti, intrattenendo anche una corrispondenza
con Manuel Foffo in carcere.
Lagioia descrive lo stato dei colpevoli come
un “delirio di impotenza”: è come se una forza superiore li abbia costretti a
compiere l’omicidio, un’azione che i due non sanno spiegarsi. Le pagine
scorrono veloci, senza digradare verso un macabro voyeurismo. L’autore evita
descrizioni scabrose, dettagli inquietanti, eppure La città dei vivi è un
romanzo insolitamente coinvolgente: conosciamo già la trama, sappiamo già quale
sarà il finale, eppure la scrittura di Lagioia ci regala occhi nuovi, delle
riflessioni preziose sulla banalità del male, visto come una forza in grado di
travolgere chi è troppo debole per resisterle.
L’indagine puntigliosa di Lagioia riesce ad
essere neutrale pur utilizzando la compassione come strumento conoscitivo. Rifiuta
ogni giudizio sulla vittima, che in quanto tale è ingiudicabile (molti
giornalisti, al contrario, hanno sottolineato come Varani fosse solito
prostituirsi occasionalmente, come se questo potesse renderlo meno innocente).
Messi davanti ad un omicidio come questo, viene spontaneo pensare all’ingenuità
di Luca, attirato nella casa dei suoi carnefici, e chiedersi: “potrebbe
succedere anche a me?”. Lagioia ci invita a invertire la rotta, a riconoscere
l’umanità dei carnefici: due ragazzi normali, improvvisamente posseduti, ma non
per questo meno colpevoli. La domanda da porsi, quindi, quel “potrebbe
succedere anche a me?” andrebbe fatta pensando al raptus omicida di Manuel
Foffo e Marco Prato. Ricordiamo che Manuel è stato condannato a trent’anni di
carcere, mentre Marco (tragedia nella tragedia) è morto suicida in carcere.
Roma è l’altra grande protagonista del libro:
la sua incontestabile bellezza è tutt’uno con la sua incontestabile abiezione.
La città eterna è quella che, più di ogni altra, non ha la concezione del
passare del tempo. Gli uomini passano, mentre passato, presente e futuro
perdono ogni significato. Roma è lerciume, immoralità, grettezza, e allo stesso
tempo il suo splendore è indiscutibile. Lagioia la descrive come una malattia,
da cui lui stesso si ritiene contagiato. Le pagine sono permeate da un senso di
sporcizia, che sfogliando le pagine sembra entrarci sotto le unghie, nelle
dita, ci invade.
https://www.nonsolocinema.com/la-citta-dei-vivi-di-nicola-lagioia.html
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