Il
Rossini Opera Festival, nella 34ª edizione che si apre sabato, un successo
internazionale
Pesaro Il viaggio a Due sognatori per la scommessa vincente del Rof
«Abbiamo ridato l'anima a Rossini contro i pregiudizi»
Dialettica
Il 67% degli spettatori è straniero: «Il nostro pubblico discute sugli
spettacoli, talvolta dissente. Ma è costretto a pensare»
Il primo impulso di creare un
festival dedicato a Rossini secondo un'idea tutta nuova aderente alla bellezza
astratta, all'edonismo anomalo, al virtuosismo, un'idea libera dalle
incrostazioni della tradizione che assecondasse musicologia e teatro,
Gianfranco Mariotti la ebbe quando, nel 1969, assistette a un «Barbiere di
Siviglia» diretto da Abbado alla Scala, nell'edizione critica di Alberto Zedda.
La trasparenza, la leggerezza di un Rossini che guardava a Mozart, senza la
zavorra dell'orchestrazione pesante o delle follie dei cantanti. «Tornai a casa
con l'ossessione di restituire Rossini in quella forma e non in
un'altra».Naturalmente non mancarono gli avversari, il localismo di certi politici
o la lobby degli albergatori che voleva ogni anno raccogliere la pepita d'oro
del «Barbiere di Siviglia». Mariotti pensava invece che Rossini appartenesse
alla cultura del mondo: «Volevano gli studenti del conservatorio e io invitavo
la Chamber Orchestra of Europe diretta da Abbado». La scommessa fu capita
perfettamente dal New York Times, che scrisse come un progetto che avrebbe
dovuto interessare solo l'élite di spettatori inaspettatamente colse una lunga
serie di successi popolari. Altra anomalia: il 67 per cento dei frequentatori
sono stranieri, tedeschi, poi francesi, giapponesi e spagnoli. In aumento,
cinesi (anche per i musicisti in cartellone), indiani e australiani. Mariotti e
Zedda, ecco i due artefici della rivoluzione del Rof: col piglio degli esploratori,
nel 1980 danno vita al progetto della futura Fondazione Rossini e dell'opera
omnia in edizione critica. Il sovrintendente Mariotti, che aveva il rimorso di
fare il medico ? in casa c'era sempre musica ? fu folgorato prima da Verdi e
poi da Rossini: «Quando si presentò l'occasione, mi scatenai». Il direttore
artistico Zedda viene da studi filosofici, è di formazione sinfonica e
organistica, Bach, i fiamminghi, Gesualdo da Venosa, non aveva la sensazione
che Rossini «avesse questa complessità, il mio incontro con lui fu fortuito, lo
vedevo come autore di opere comiche». E quella della Rossini renaissance legata
alla riscoperta del repertorio serio è tra i meriti più riconosciuti del Rof.
Ma c'è molto altro. Secondo Zedda, «il modo di comunicare, in Rossini, non è
mai diretto come nei romantici o nei veristi, è una visione legata ai filosofi
seguiti all'Illuminismo, ci racconta l'uomo con cinismo, ironia, distacco, il
cattivo non lo è mai fino in fondo. Come musicista, lascia all'interprete una
necessità di intervento creativo come nessun'altro. Nell'anima del Rof
convivono Epicuro e Aristotele, la scoperta filologica parte da uno spunto
laico, non facciamo musicologia astratta: dietro, c'è la vita». La vera svolta
avviene negli anni 80 quando, racconta Mariotti, ci si rese conto «in modo
quasi doloroso» che dovevamo distaccarci dagli artisti dello star system, quasi
soprattutto americani, Ramey, Horne, Merritt, Blake, gli unici in grado di
confrontarsi con le difficoltà di questo repertorio, che in realtà mancava di
una tradizione esecutiva, era per tre quarti come una Atlantide sommersa.
Questo ci ha posto con violenza il problema del linguaggio teatrale. I nostri
registi sanno che le partiture sono sacre e non si permettono abusi o
dissacrazioni gratuite. Ma hanno il compito di presentare l'opera attraverso
citazioni espressive e rimandi vicini alla sensibilità di oggi». Eppure
contestazioni ci sono state e non poche volte... «Il nostro pubblico discute,
non approva sempre, magari dissente ma non manca di tornare, viene costretto a
pensare. Al "Mosè in Egitto" di Graham Vick, accusato di offendere la
cultura ebraica, ci fu una rissa in sala: ma era tutto il contrario, fu
equivocato, vinse il premio Abbiati due anni fa. Il nostro compito è di far
girare le idee e muoverle. Quello che non si aspetta sono spettacoli
rassicuranti. Quando Giorgio Napolitano nel 1982 fece un comizio alla Festa
dell'Unità lodando la nostra impresa, che a suo dire aveva il merito di
restituire un tesoro nascosto, nessuno più fiatò». Il Festival ha vicini
eccellenti. Sulle colline, dimorava Luciano Pavarotti: «Faceva le audizioni a
Pesaro, Rossini non lo cantava, provò l'"Otello" ma disse che esiste
un solo Otello, quello di Verdi. Ha fatto concerti per noi, ha avuto le chiavi
della città...». Maurizio Pollini: «Nel 1973, dieci anni prima del suo debutto
come direttore per "La donna del lago", ci invitò e con la sua bella
voce da baritono e il bicchiere di whisky in mano cantò con Dino Ciani e altri
amici tutto il "Trovatore". Quando gli proposi di dirigere Rossini,
mi rispose che quell'opera gli ricordava le marce di Paperino. Poi accettò,
tagliando cadenze e variazioni, con un'interpretazione di livello abbagliante.
Fece la ripresa ma non era il suo mestiere». Ora ha preso casa nei dintorni la
star del nostro tempo Juan Diego Florez: «Da noi viene quasi tutti gli anni. Ha
qualche atteggiamento divistico, ma è di una disponibilità totale, canta in
posizioni scomode, fa tutto quello che gli chiede un regista, è l'esempio
ideale dell'Accademia dei giovani con cui abbiamo fatto un'operazione di
conversione per togliere i cantanti dalla loro autoreferenzialità». Zedda: «Con
l'Accademia rossiniana delle giovani leve ci siamo allontanati dal limbo degli
specialisti, che vuol dire condannare Rossini o limitarlo. Oggi ci sono
cantanti rossiniani in grado di fare Verdi, questa è la conquista più bella del
festival, che ha avuto la fortuna di trovare un "Viaggio a Reims",
riproposto ogni anno e di cui Abbado comprese la grandezza del recupero
filologico. Quello spettacolo ha fatto da spartiacque, i grandi direttori in
Germania snobbavano Rossini». Il Festival (assai criticato all'inizio per com'è
stato chiamato, ma ora il Rof è un acronimo imitato da altre rassegne) avvicina
in termini diversi Rossini, lo legge con amarezza laddove prima lo si leggeva
con divertimento un po' sciocco. «Io sono stato fortunato ? dice Mariotti ? ho
fatto la cosa giusta al momento giusto».
ValerioCappelli
http://archiviostorico.corriere.it/2013/agosto/07/Pesaro_viaggio_Due_sognatori_per_co_0_20130807_0be08446-ff24-11e2-a4c3-0fd7d0c0c74d.shtmllerio
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