jueves, 8 de agosto de 2013

FESTIVAL DE OPERA DE ROSSINI



Il Rossini Opera Festival, nella 34ª edizione che si apre sabato, un successo internazionale
Pesaro Il viaggio a Due sognatori per la scommessa vincente del Rof «Abbiamo ridato l'anima a Rossini contro i pregiudizi»
Dialettica Il 67% degli spettatori è straniero: «Il nostro pubblico discute sugli spettacoli, talvolta dissente. Ma è costretto a pensare»

 Il primo impulso di creare un festival dedicato a Rossini secondo un'idea tutta nuova aderente alla bellezza astratta, all'edonismo anomalo, al virtuosismo, un'idea libera dalle incrostazioni della tradizione che assecondasse musicologia e teatro, Gianfranco Mariotti la ebbe quando, nel 1969, assistette a un «Barbiere di Siviglia» diretto da Abbado alla Scala, nell'edizione critica di Alberto Zedda. La trasparenza, la leggerezza di un Rossini che guardava a Mozart, senza la zavorra dell'orchestrazione pesante o delle follie dei cantanti. «Tornai a casa con l'ossessione di restituire Rossini in quella forma e non in un'altra».Naturalmente non mancarono gli avversari, il localismo di certi politici o la lobby degli albergatori che voleva ogni anno raccogliere la pepita d'oro del «Barbiere di Siviglia». Mariotti pensava invece che Rossini appartenesse alla cultura del mondo: «Volevano gli studenti del conservatorio e io invitavo la Chamber Orchestra of Europe diretta da Abbado». La scommessa fu capita perfettamente dal New York Times, che scrisse come un progetto che avrebbe dovuto interessare solo l'élite di spettatori inaspettatamente colse una lunga serie di successi popolari. Altra anomalia: il 67 per cento dei frequentatori sono stranieri, tedeschi, poi francesi, giapponesi e spagnoli. In aumento, cinesi (anche per i musicisti in cartellone), indiani e australiani. Mariotti e Zedda, ecco i due artefici della rivoluzione del Rof: col piglio degli esploratori, nel 1980 danno vita al progetto della futura Fondazione Rossini e dell'opera omnia in edizione critica. Il sovrintendente Mariotti, che aveva il rimorso di fare il medico ? in casa c'era sempre musica ? fu folgorato prima da Verdi e poi da Rossini: «Quando si presentò l'occasione, mi scatenai». Il direttore artistico Zedda viene da studi filosofici, è di formazione sinfonica e organistica, Bach, i fiamminghi, Gesualdo da Venosa, non aveva la sensazione che Rossini «avesse questa complessità, il mio incontro con lui fu fortuito, lo vedevo come autore di opere comiche». E quella della Rossini renaissance legata alla riscoperta del repertorio serio è tra i meriti più riconosciuti del Rof. Ma c'è molto altro. Secondo Zedda, «il modo di comunicare, in Rossini, non è mai diretto come nei romantici o nei veristi, è una visione legata ai filosofi seguiti all'Illuminismo, ci racconta l'uomo con cinismo, ironia, distacco, il cattivo non lo è mai fino in fondo. Come musicista, lascia all'interprete una necessità di intervento creativo come nessun'altro. Nell'anima del Rof convivono Epicuro e Aristotele, la scoperta filologica parte da uno spunto laico, non facciamo musicologia astratta: dietro, c'è la vita». La vera svolta avviene negli anni 80 quando, racconta Mariotti, ci si rese conto «in modo quasi doloroso» che dovevamo distaccarci dagli artisti dello star system, quasi soprattutto americani, Ramey, Horne, Merritt, Blake, gli unici in grado di confrontarsi con le difficoltà di questo repertorio, che in realtà mancava di una tradizione esecutiva, era per tre quarti come una Atlantide sommersa. Questo ci ha posto con violenza il problema del linguaggio teatrale. I nostri registi sanno che le partiture sono sacre e non si permettono abusi o dissacrazioni gratuite. Ma hanno il compito di presentare l'opera attraverso citazioni espressive e rimandi vicini alla sensibilità di oggi». Eppure contestazioni ci sono state e non poche volte... «Il nostro pubblico discute, non approva sempre, magari dissente ma non manca di tornare, viene costretto a pensare. Al "Mosè in Egitto" di Graham Vick, accusato di offendere la cultura ebraica, ci fu una rissa in sala: ma era tutto il contrario, fu equivocato, vinse il premio Abbiati due anni fa. Il nostro compito è di far girare le idee e muoverle. Quello che non si aspetta sono spettacoli rassicuranti. Quando Giorgio Napolitano nel 1982 fece un comizio alla Festa dell'Unità lodando la nostra impresa, che a suo dire aveva il merito di restituire un tesoro nascosto, nessuno più fiatò». Il Festival ha vicini eccellenti. Sulle colline, dimorava Luciano Pavarotti: «Faceva le audizioni a Pesaro, Rossini non lo cantava, provò l'"Otello" ma disse che esiste un solo Otello, quello di Verdi. Ha fatto concerti per noi, ha avuto le chiavi della città...». Maurizio Pollini: «Nel 1973, dieci anni prima del suo debutto come direttore per "La donna del lago", ci invitò e con la sua bella voce da baritono e il bicchiere di whisky in mano cantò con Dino Ciani e altri amici tutto il "Trovatore". Quando gli proposi di dirigere Rossini, mi rispose che quell'opera gli ricordava le marce di Paperino. Poi accettò, tagliando cadenze e variazioni, con un'interpretazione di livello abbagliante. Fece la ripresa ma non era il suo mestiere». Ora ha preso casa nei dintorni la star del nostro tempo Juan Diego Florez: «Da noi viene quasi tutti gli anni. Ha qualche atteggiamento divistico, ma è di una disponibilità totale, canta in posizioni scomode, fa tutto quello che gli chiede un regista, è l'esempio ideale dell'Accademia dei giovani con cui abbiamo fatto un'operazione di conversione per togliere i cantanti dalla loro autoreferenzialità». Zedda: «Con l'Accademia rossiniana delle giovani leve ci siamo allontanati dal limbo degli specialisti, che vuol dire condannare Rossini o limitarlo. Oggi ci sono cantanti rossiniani in grado di fare Verdi, questa è la conquista più bella del festival, che ha avuto la fortuna di trovare un "Viaggio a Reims", riproposto ogni anno e di cui Abbado comprese la grandezza del recupero filologico. Quello spettacolo ha fatto da spartiacque, i grandi direttori in Germania snobbavano Rossini». Il Festival (assai criticato all'inizio per com'è stato chiamato, ma ora il Rof è un acronimo imitato da altre rassegne) avvicina in termini diversi Rossini, lo legge con amarezza laddove prima lo si leggeva con divertimento un po' sciocco. «Io sono stato fortunato ? dice Mariotti ? ho fatto la cosa giusta al momento giusto».
ValerioCappelli
http://archiviostorico.corriere.it/2013/agosto/07/Pesaro_viaggio_Due_sognatori_per_co_0_20130807_0be08446-ff24-11e2-a4c3-0fd7d0c0c74d.shtmllerio

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