Cecilia Alemani porta a Venezia opere che sembrano una fuga dal reale, una nuova utopia conciliante, e altre che affrontano il reale per quello che è
Di VITO DE BIASI
Corpi fatti di stoffa e corpi fatti di terra.
Se dovessimo azzardare un’estrema sintesi di quello che si è visto nel Latte
dei sogni, la maxi mostra tra Giardini e Arsenale curata da Cecilia Alemani per
la 59ma Biennale, potremmo usare questa formula. Naturalmente c’è molto altro,
ma corpi di stoffa e corpi di terra sembrano effettivamente cose che vedremmo
soltanto in sogno. Si parte da lì, dal titolo di un racconto per bambini
dell’artista surrealista Leonora Carrington, nel quale le metamorfosi dei corpi
sono esaltanti ma anche inquietanti, fanno paura e rassicurano al tempo stesso,
come in qualunque fiaba. L’impostazione di Alemani è la stessa: ha scelto opere
che sembrano una fuga dal reale, una nuova utopia conciliante, e altre che
affrontano il reale per quello che è, fatto di dominio e sottomissione, potere
e ribellione: “molte delle artiste e degli artisti inclusi in mostra immaginano
una condizione postumana che sfida la moderna visione occidentale dell’essere
umano come fulcro immobile dell’universo e misura di tutte le cose”, si legge
all’ingresso. La mostra è infatti a maggioranza femminile e si apre molto più
che in passato alle culture indigene lontane dall’eurocentrismo con cui
leggiamo il mondo da queste parti.
Nelle prime sale del padiglione centrale ai
Giardini troviamo già la stoffa, nei quadri a maglia di Rosemarie Trockel e
nelle sculture morbide di Mrinalini Mukherjee. I primi sono monocromi ricamati
invece che dipinti, mentre le figure di Mukherjee sono imponenti come divinità
ma sono fatte di aperture e viluppi che richiamano direttamente l’anatomia
femminile. Altrove, all’Arsenale, si ritrovano invece gli arazzi di Violeta
Parra, la famosa cantautrice cilena, i ricami di pailettes e perline di
Myrlande Constant e i lavori soffici e tridimensionali, potremmo chiamarli
tappeti-sculture, di Safia Farhat. C’è una forte presenza dell’arte tessile,
tradizionalmente femminile, selezionata anche per rivalsa, per promuovere la
rivalutazione di un fare spesso confuso con l’artigianato. Proprio il tessile
era una delle poche discipline cui potevano accedere le studentesse della
Bauhaus, e non è un caso che la prima capsula del tempo allestita da
FormaFantasma si trovi lungo il percorso ai Giardini subito dopo i quadri e le
sculture di lana. È quasi una parentesi museale all’interno della maxi mostra,
si intitola La culla della strega e raccoglie le opere delle donne più o meno
conosciute del surrealismo, del futurismo e della Bauhaus: anche qui c’è la
stoffa, quella degli abiti nelle fotografie di Claude Cahun e Gertrud Arndt,
che mettono in scena un gioco di maschere e identità variabili usando i vestiti
come protesi per il mutamento.
Ma Il latte dei sogni non è soltanto
surrealismo, nonostante ci sia una presenza forte del fantastico anche nei
quadri contemporanei di Cecilia Vicuña, per fare un esempio tra tanti. La
“stregoneria” è anche in una seconda capsula del tempo, Corpo orbita, che
raccoglie opere di poesia visiva e poesia concreta ma anche pratiche medianiche
e sedute spiritiche, intese come risposta alla presunta razionalità
illuministica dell’uomo occidentale, che la mostra di Alemani vuole mettere in
discussione in maniera radicale. Non c’è soltanto il surrealismo, dunque, ma
anche l’esoterismo, i saperi altri, forme di non-sapere à la Bataille che la
storia ha sempre tenuto ai margini....................
https://www.elledecor.com/it/arte/a39802517/biennale-arte-2022-il-latte-dei-sogni-mostra-guida/
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