PROTAGONISTI:
IL New York Times ha dedicato una pagina, il 18 maggio. Un lancio internazionale
niente male per il Teatro dell’Opera di Roma. Avere ingaggiato Sofia Coppola,
per la sua prima regia di un melodramma, lo faceva prevedere. Per un’opera come La
Traviata, poi. Lì Verdi realizza per
intero il suo intento di trasformare il melodramma in dramma borghese. Anticipa
per molti aspetti Ibsen. E perfino Shaw: La professione della Signora
Warren. Il romanzo, e poi il dramma di Dumas figlio, La
dama delle camelie, toccavano un nodo scoperto
della società di allora. Una puttana si poteva, si può portarla a letto, ma
farne quasi una moglie superava, supera, ogni tolleranza.
Un po’ come nell’Italia di questi mesi un uomo che sposa un altro uomo, o una donna un’altra donna. Ci si aspettava perciò dalla regista di Marie Antoinette un occhio di donna moderna sulla storia di Violetta Valery/Marguerite Gautier. Avevamo visto Greta Garbo, Visconti e la Callas, Ken Russell, Willy Decker. La scena d’apertura è sbalorditiva: un lungo scalone bianco in primo piano, e sullo sfondo un salone, ancora buio. Scende, dall’alto, Violetta, come Gloria Swanson in Viale del Tramonto.
Giunta
sul pavimento della sala, si guarda intorno, si accosta a un piccolo tavolo,
accende due candele, la sala s’illumina, comincia la festa. Bello, raffinato.
Eleganti i costumi (di Valentino): cravatta nera gli uomini, abiti lunghi le
dame. Ma la storia si ferma lì. Elegante la casa di campagna, sfondo sulle
colline dell’Île de France. Cupa la casa di Flora e tenebroso il tavolo da
gioco. Elegante anche la camera dell’agonia, ma troppo vasta, per una
prostituta impoverita.
Ecco il
problema. È come se non si rappresentasse nessun dramma, non si raccontasse
nessuna sofferenza. Spazi eleganti per un puro nulla: estranei, sconosciuti, i
sentimenti. La concertazione di Jader Begamini è corretta, ma non un solo
momento di palpito, e appare poco interessata a sostenere, aiutare i cantanti.
Precisa stilisticamente la Violetta di Francesca Dotto. Ma il personaggio non è
scavato. Antonio Poli disegna un Alfredo superficiale, come forse è il personaggio,
ma la superficialità più che nell’interpretazione andava mostrata appunto nel
personaggio. Perfetto il ritratto
del
padre borghese incarnato dal sempre bravo Roberto Frontali. Agghiaccianti
la durezza e il gelo del barone interpretato da Roberto Accurso. Ma tutta la
compagnia è giusta, corretta. Peccato che manchi La
Traviata.
http://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2016/05/24/news/nella_traviata_di_sofia_coppola_manca_la_sofferenza-140492729/
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