Nel libro «Ciò che non
muore mai» (Mondadori) sono raccontati gli amori del compositore polacco: le
figure femminili intorno a lui appaiono più mature
Carlo Baroni
Lui era un filo di luce
nella penombra. Di quelli che avverti appena. Come la scia di una lucciola in
una sera d’estate. Niente di abbagliante. Ma ti restava negli occhi. Il talento
(vero) sbircia timido dietro le porte. Guarda e ascolta. Impara prima di insegnare.
Che poi in cattedra non si mette mai davvero. Sono gli altri che finiscono per
alzare la testa quando passa.
Il genio è Ciò che non
muore mai. Il romanzo di Chopin raccontato, lasciando stare il manuale delle
biografie ufficiali, da Alfonso Signorini per Mondadori. In quell’epoca dove
tutte le vite erano romanzi: bastava nascerci. Dove il tragico e il sublime si
confondevano. Le ingiustizie e le miserie spazzate via da una nota mai sentita
prima.
Chopin era un
rivoluzionario inconsapevole. Delle convenzioni, delle gerarchie, delle
passioni. Con la levità di una brezza che non ti preoccupa, ma dopo niente sarà
più come prima. Due genitori che avercene di uguali. Justyna e Nicolas. Di
quelli che i figli sono amore da regalare e non proprietà, buone per
proteggersi il futuro. Il padre venuto via da una Francia impaurita e
speranzosa per una rivoluzione che non poteva non arrivare. La sua voleva dire
lasciare la Lorena, le stalle e le mucche e reinventarsi un posto nella scala
sociale. La fortuna di parlare una lingua che si poteva insegnare ai rampolli
dell’aristocrazia polacca, il suo nuovo Paese. La moglie veniva da quel mondo,
la chiave, se non proprio per farne parte, almeno per stare sulla porta senza
dare fastidio.
Henryk Siemiradzki
(1843-1902), «Chopin suona per i Radziwill nel 1829» (1887, olio su tela,
particolare)
Fryderyk è un bambino mai
nato. Come un fiore già sbocciato. Una stella che non ha bisogno del cielo per
brillare. Lui suona come nessuno. Ma forse è la musica che va incontro alle sue
dita. Fryderyk la raccoglie e la fa diventare altro. Qualcosa di mai ascoltato,
c’è dentro la malinconia che solo i superficiali scambiano per tristezza. Le
nuvole basse della sua Polonia, l’epicentro della malvagità di chi le sta
attorno. E può essere la Prussia o l’Austria. La Russia o la Svezia. Il destino
di essere il parafulmine dell’Europa, il posto dove la natura umana non conosce
argini e travolge tutto.
L’anima polacca è fatta di
sangue e coraggio. Di poesia e rabbia. Una sofferenza senza rimedio, un dolore
che neanche il sonno. Chopin se la prende tutta addosso, se la porta dentro in
tutta l’Europa. Un «gancio» sferrato sotto il mento che ti scuote senza
ferirti. A Vienna non lo capiscono. Il centro dell’Impero vive di proclami e di
pentagrammi con le note marcate. Il sussurro che arriva da un ragazzo di
Varsavia è un fastidio, quasi un monito a quello che succederà. Che l’Impero
non è eterno e il morbo che lo ucciderà sta nascendo nella sua periferia.
Fryderyk è un genio perché non percorre le strade convenzionali. Il suo gps lo
porta dove gli altri cambiano percorso.
È così per la musica e per
gli amori. I primi turbamenti per la contadina Tekla, i rossori per Rajmund. La
passione infinita per Titus. Edvige, la prostituta che diventa amica. Lui che
non è come gli altri uomini. Questione di spirito e di indole più che di
morale. Lei è guardinga poi capisce. La sincerità, la purezza. Di quel Fryderyk
che è sole e luna. Buio profondo e luce accecante. L’artista che veleggia tra
le ombre, sballottato tra i contrasti. Un maestro, Wojciech Zywny, folgorato da
un allievo che non ha niente da imparare senza la presunzione di insegnare.
Chopin e le donne. Più
grandi, più mature, più tutto. Angelica Catalani, la diva, che ha l’età di sua
madre. Una passione o forse l’attrazione tra due che vivono in una galassia
sconosciuta. George Sand è un libro con le pagine bianche che si riempiono con
parole che solo loro sanno scrivere. Un vivere accanto che è molto di più dello
stare insieme e condividere tutto. Lei è il suo mondo alla rovescia, lo
schiaffo eterno all’ipocrisia, il fidarsi senza temere le pugnalate vigliacche.
E, infine, Emilia. La sorella, l’«altro» Fryderyk.
http://www.corriere.it/cultura/17_ottobre_15/fryderyk-chopin-alfonso-signorini-musica-romanzo-amori-genio-modadori-polonia-e7f6e57e-b1c7-11e7-8c05-16c4f9105c9c.shtml
No hay comentarios:
Publicar un comentario