Le parole del maestro più incompreso per capire che cosa era (davvero) la sua Autoprogettazione
Ci ha lasciati Enzo Mari. Il designer e teorico, forse il maestro più difficile e incompreso del progetto italiano, è morto a 88 anni. Lo ricordiamo pubblicando le sue stesse parole, la premessa alla seconda edizione di Autoprogettazione? edita da Corraini, scritta nel giugno del 2002, e un testo, tratto dallo stesso volume, pubblicato nel 1983 dal Centro Studi e Archivio dell’Università di Parma, a cura di Arturo Carlo Quintavalle.
di Enzo Mari
Il rapporto qualità-quantità è centrale in tutta la produzione industriale. La qualità si determina quando la forma di un prodotto non “sembra”, ma semplicemente “è”. Questa affermazione tutt’altro che paradossale non è però sentita dalla maggior parte della gente. E questo rende particolarmente problematica la realizzazione di progetti di una qualche dignità. Per tale motivo, tutte le volte che mi è possibile, cerco di coinvolgere la gente, non solo a parole, ma con operazioni altre.
Nel 1974 pensai che se le persone si fossero
esercitate a costruire con le proprie mani un tavolo, per esempio avrebbero
potuto sceglierne meglio le ragioni fondanti. Per questo pubblicai la Proposta
per una autoprogettazione. Anche se la gente partecipò allora largamente e con
entusiasmo, le ragioni generali che mi avevano spinto a realizzare la proposta
non sono certamente cambiate, ma addirittura peggiorate […]
Dopo la messa in produzione del divano Day-night e di altri tentativi analoghi, sono in uno stato di grande depressione in quanto tocco con mano l’ingenuità dell’approccio dell’oggetto di buon disegno a prezzi bassi; l’esito è completamente fallimentare e il pubblico a cui sono diretti questi oggetti li rifiuta in quanto non li riconosce come facenti parte del sistema culturale. Quando dico pubblico, mi riferisco anche ai giovani studenti, operai e militanti e ai quadri politici dei gruppi della nuova sinistra, cioè di quella parte del pubblico che sviluppa chiaramente ricerca e critica sia pur limitata ai fondamenti dei rapporti strutturali. Come è possibile modificare questo stato di cose è la domanda che mi pongo, com’è possibile attuare il decondizionamento della forma in quanto valore e non in quanto strettamente corrispondente ai contenuti? L’unico modo che io conosca in quanto fa parte della mia realtà è che ciò è possibile quando la riflessione critica è basata sulla pratica del lavoro, quindi il modo dovrebbe essere quello di coinvolgere l’utilizzatore di un bene di consumo nella sua azione e nella realizzazione dell’oggetto progettato. Solo toccando materialmente le diverse contraddizioni di questo lavoro è ipotizzabile pensare alla propria liberazione da condizionamenti così profondi. Ma evidentemente come è possibile chiedere questo sforzo quando non si possiedono gli strumenti di produzione e soprattutto la competenza tecnica alla cultura tecnica la cui acquisizione implica un tempo abbastanza lungo. D’altra parte, se questo fosse possibile, chi ha bisogno di un tavolo, ad esempio potrebbe acquisire ciò che è fondamentale nella concretizzazione di un tavolo, ad esempio che le gambe debbano risultare solidali al piano di appoggio. Quindi nel momento dell’acquisto potrebbe valutare nell’amplissimo panorama di oggetti acquistabili quei modelli che sono risolti coerentemente alle loro implicazioni tecniche di qualità di lavoro e non lasciarsi condizionare da implicazioni di stile o di gusto.
Nel 1974 pensai che se le persone si fossero
esercitate a costruire con le proprie mani un tavolo, per esempio avrebbero
potuto sceglierne meglio le ragioni fondanti. Per questo pubblicai la Proposta
per una autoprogettazione. Anche se la gente partecipò allora largamente e con
entusiasmo, le ragioni generali che mi avevano spinto a realizzare la proposta
non sono certamente cambiate, ma addirittura peggiorate...................
La proposta era che le persone fossero sollecitate
dagli esempi a realizzare ciò di cui avevano bisogno, anche altre tipologie
oltre a quelle proposte, e a realizzarle liberamente assumendo l’esempio
suggerito solo come sollecitazione, non come modello da ripetere. La proposta
ha avuto molto successo e mi sono pervenute migliaia di risposte. Ma ancora una
volta l’ipotesi di lavoro fallisce in quanto nel 99% dei casi la proposta o non
viene capita o viene capita in modo diverso.........
È evidente che il legno va impiegato solo
laddove è più economico rispetto ad altri materiali e che l’assunzione del
legno non vuole essere la riproposta di un materiale di antica tradizione
rispetto a quei materiali moderni come la materia plastica più consoni a reali
standard di soluzione. Anzi, da questo punto di vista tutte le proposte di uso
di materiale naturale come il legno tendono ad essere proposte reazionarie.............
http://www.cieloterradesign.com/enzo-mari-autoprogettazione-design/
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