Anteprima del film che ha avuto due registi e una lavorazione
tormentata. Si celebra la musica dei Queen. Il protagonista Malek: «Era un uomo
complesso, un rivoluzionario»
di Stefania Ulivi
«Ero un fan, dopo il film sono diventato un fanatico, la musica dei
Queen è diventata la colonna sonora della mia vita». Rami Malek sembra ancora
più minuto di quanto non appaia in Mr. Robot, la serie tv che lo ha fatto
conoscere. Sa di avere sulle spalle una responsabilità enorme: ridare vita a un
mito venerato nel mondo, Freddie Mercury, al secolo Farrokh Bulsara, nato il 9
settembre 1946 nel protettorato britannico di Zanzibar in una famiglia di
origine parsi e stroncato dall’Aids il 24 novembre 1991, in un dei film più
attesi e controversi degli ultimi tempi, Bohemian Rhapsody. Sono bastati i
venti secondi del primo teaser per scatenare le reazioni: troppo edulcorato,
nessun cenno all’omosessualità della rockstar, ai suoi eccessi. Nel film - più
celebrazione dei Queen, in verità che biopic del suo frontman - ci sono ma con
il freno tirato e si concentrano soprattutto intorno alla figura del suo
manager personale, Paul Prenter, (Allen Leech volto di Downton Abbey) l’uomo
che, suggerisce il film, lo trascina sulla cattiva strada tra droga e festini
fino all’allontanamento (temporaneo) dal gruppo. A lui, anima nera, si
contrappone, in positivo, la figura di Mary Austin (Lucy Boynton), presenza
costante della vita della rockstar, prima fidanzata poi amica. Anche il
rapporto con i genitori - di cui Mercury in un’intervista disse «Ero un ribelle
e ai miei dava fastidio. Me ne sono andato di casa presto. Volevo essere
padrone della mia vita» -risulta poco conflittuale.
Live Aid
Prodotto da 20th Century Fox e incentrato sui quindici anni tra la
fondazione della band e la celebre esibizione a Live Aid del 13 luglio 1985 a
Wembley davanti a una folla di 72mila persone, nel corso della sua lunga
gestazione Bohemian Rhapsody, fortemente voluto da Brian May e Roger Taylor,
fondatori e depositari della storia e dell’eredità non solo artistica della
band, ha cambiato quasi tutto. Protagonista (prima Sacha Baron Cohen, poi Ben
Whishaw), regista (lo firma Bryan Singer anche se nelle ultime settimane di
lavorazione è stato sostituito da Dexter Fletcher), sceneggiatura. Quello che
non è cambiato è l’impalcatura, musica e parole dei Queen, Killer Queen,
Bohemian Rhapsody, Radio Ga Ga, gli inni da stadio We will rock you e We are
the champions. «Interpretarlo mi ha permesso di andare oltre il monolite
venerato nel mondo, l’icona gay. Penso che fosse uno straniero non solo per le
sue origini ma anche per la ricerca della sua identità sessuale. Era un uomo
complesso, un rivoluzionario che ha trasmesso l’idea che possiamo essere quello
che vogliamo al di là delle etichette», si infervora Malek. «Lui non voleva
essere inscatolato: immigrato, etero, gay, malato di Aids. Il film parla della
ricerca propria identità» gli fa eco Gwilym Lee, sullo schermo un May fedele
all’originale. In attesa del verdetto dei fan - l’anteprima mondiale sarà il 23
ottobre alla Wembley Arena di Londra, pochi giorni dopo l’uscita della colonna
sonora, da noi arriverà in sala il 29 novembre - Malek e Lee si tengono stretta
la benedizione di May e Taylor. «Siamo diventati una piccola parte della loro
grande famiglia», dice Lee. «Sono stati di grande aiuto, erano spesso sul set,
sempre nelle scene in cui suonavamo e cantavamo. Brian mi ha preso sotto la sua
ala protettiva - racconta Ramin Malek - mi ha dato il suo telefono, la mail, mi
ha detto chiamami ogni volta che hai bisogno’. Non so cosa diranno i fan, ma
l’approvazione e l’amicizia di Brian e Roger per noi conta moltissimo». In
quanto a Freddie, Malek lo evoca attraverso le parole dei suoi successi: «If
you are under pressure / find somebody to love / don’t be afraid to be a Killer
Queen / because we are the champions».
http://cinema-tv.corriere.it/cinema/18_settembre_18/bohemian-rhapsody-freddie-mercury-senza-eccessi-efc956e2-bb6c-11e8-bdaa-50b21d428469.shtml
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