Dopo l’affare da quasi 2
miliardi, quali sono le prospettive di quello che vuole diventare il primo
gruppo americano del lusso?
di Silvia Schirinzi
Donatella Versace chiude la
sfilata della collezione Atelier Versace Haute Couture durante la settimana
della moda di Parigi del 2016 (Pascal Le Segretain/Getty Images)
Come anticipato dai
giornali di ieri, è stata annunciata oggi la vendita della totalità del marchio
Versace alla holding americana Michael Kors. Il costo dell’operazione è di 1,83
miliardi di euro (2,12 miliardi di dollari) e segna la volontà del gruppo di
ridisegnarsi come una conglomerata del lusso sul modello di quelle europee, le
francesi in particolare: nel luglio del 2017, infatti, Kors aveva acquisito
anche Jimmy Choo per più 896 milioni di sterline (circa un miliardo di euro).
Il gruppo, assieme all’acquisizione dello storico marchio italiano fondato da
Gianni Versace nel 1978, ha annunciato oggi anche un cambio di nome che ammicca
al suo tentativo di riposizionamento. D’ora in poi si chiamerà Capri Holdings,
un nome «simbolico» che rimanda «a un heritage senza tempo», come si legge
nella nota ufficiale, e che seppur in maniera curiosamente letterale, racconta
dell’evoluzione globale delle grandi holding del lusso. I dettagli della
costosa operazione: Jonathan Akeroyd, arrivato nel 2016 da Alexander McQueen,
conferma il suo ruolo di amministratore delegato, Donatella conserva la direzione
creativa e, assieme al fratello Santo e alla figlia Allegra, acquisisce quote
per 150 milioni di euro all’interno di Capri Holdings. Fino ad oggi, la
famiglia Versace possedeva l’80% del marchio: il 20% era stato venduto nel 2014
al fondo di private equity Blackstone, di base a New York, quando la compagnia
era stata valutata 1,4 miliardi di euro.
E proprio il prezzo è
oggetto di discussione tra gli addetti ai lavori: scrive Business of Fashion
che alcuni analisti e investitori «hanno osservato che il prezzo di 2 miliardi
di dollari era troppo alto per un’azienda che ha faticato a far crescere le
vendite e spesso correva in perdita, nonostante il suo famoso marchio. Le
azioni [della Michael Kors, ndr] sono scese dell’8% lunedì». Alcuni numeri di
contesto: secondo Radiocor, l’agenzia di stampa de Il Sole 24 Ore, nella
gestione consolidata 2017 i ricavi di Versace si sono mantenuti stabili a 668
milioni di euro (-0,1%), mentre l’utile è stato di 15 milioni, contro una
perdita di 6,9 milioni del 2016. Per quanto riguarda la S.p.A. ancora in mano
alla famiglia, il bilancio del 2017 si è chiuso con un utile di 4,5 milioni, in
miglioramento dai 3,5 milioni del 2016, mentre a inizio maggio 2018 i fratelli
Santo, Donatella e Allegra Versace Beck hanno incassato 3,1 milioni di euro
rispetto ai 9 milioni dell’intero 2016. All’acquisto di Versace erano
interessati in molti, dall’americana Tapestry, nel cui portfolio figurano già
Coach, Kate Spade e Stuart Weitzman, ai francesi di Kering (cui fanno capo
Gucci, Saint Laurent e Bottega Veneta fra gli altri), che inizialmente avevano
offerto poco più di un miliardo di euro: l’offerta della Kors era naturalmente
quella più vicina ai desiderata dei Versace. Ma come si inserisce questa
acquisizione nei più ampi piani di Capri Holdings?
Gli obiettivi dichiarati
all’annuncio di oggi sono ambiziosi e prevedono di portare la griffe oltre i 2
miliardi di dollari di ricavi, di espandere la rete dei negozi (che da 200
passerebbero a 300) e di investire nell’e-commerce e nello sviluppo
omnichannel. Com’era prevedibile, le aspettative si concentrano soprattutto sul
comparto accessori e calzature, dai quali ci si aspetta un balzo sui ricavi
dall’attuale 35% al 60%. Per ora, il trio dei marchi della Capri Holdings
sembra variegato abbastanza da suscitare interesse, pur con tutte le incognite
del caso: da una parte Michael Kors, campione di quel lusso accessibile che nel
2018 potrebbe raggiungere i 4,5 miliardi di dollari di ricavi, quindi Jimmy
Choo, etichetta icona di Sex & The City che esercita ancora una grande
attrattiva, e infine Versace, che aggiunge al tris la quota made in Italy
(rafforzata dal nome “suggestivo” dato alla holding) e il valore di uno dei
marchi più amati e celebri del mondo della moda (nota a margine: Versace è stato
il nome più social durante la settimana della moda di Milano).
Potrebbe essere insomma un
mix che funziona e, se non altro, è segnale di un più ampio riassestamento
all’interno del lusso italiano, come spiega Carlo Festa sempre sul Sole, con le
famiglie della moda sempre più vicine «a lasciare il campo a nuovi investitori
sull’altare della globalizzazione». Non solo Versace: Festa riporta le voci,
che si rincorrono da tempo, su trattative che riguarderebbero anche Salvatore
Ferragamo e Trussardi. Quando nell’aprile del 2017 LVMH si era comprata tutta
Dior, d’altronde, si era già parlato di “ristrutturazione” in corso all’insegna
del sempre più indissolubile matrimonio tra industria e finanza, ma fa comunque
uno strano effetto vedere scendere in campo nuovi attori della moda globale
oltre a quelli cui eravamo abituati. Non ci rimane che attendere i primi
risultati.
https://www.rivistastudio.com/michael-kors-versace-capri-holdings/
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