di Caterina
In ambito germanico, dove è
nato e continua il loro sodalizio artistico, è così che vengono definiti:
Traumpaar, coppia di sogno, di più,
coppia ideale. Le carriere di Ania Harteros
e Jonas Kaufmann si sono incrociate più volte sin dal 2000 quando si ritrovarono
a Francoforte per Così fan tutte, giovani e predestinati ad un futuro artistico
luminoso. Lei fresca vincitrice del concorso di Cardiff, prima tedesca ad
averlo vinto, e lui esuberante bavarese ancora alla ricerca di un suo centro di
gravità. Pare che alla loro prima
collaborazione i due caratteri opposti non facessero presagire nulla di quello
che oggi si è evoluto in una sorta di
simbiosi artistica.
Dopo quasi un decennio,
durante l'Opernfestspiele 2009 della Bayerische Staatsoper, si ritrovano già con carriere luminose, sul
palcoscenico del Nationaltheater per Lohengrin. Da allora il Traumpaar si è
ricomposto in nove altre produzioni. A
conti fatti l'uno é per l'altra (e viceversa) il partner con il quale ha
condiviso il maggior numero di recite, e probabilmente anche il più gradito.
Eppure siamo di fronte a personalità estremamente diverse; riservata, quasi
altera lei, estroverso e mediterraneo lui. Il segreto sta probabilmente
nell'implicita accettazione del reciproco valore. La sana competizione che
anima le loro performances concorre infatti al miglioramento della prestazione
vocale e non alla sopraffazione l'uno dell'altra.
Nel Don Carlo di Monaco (la
produzione è quella del 2006 di Jurgen
Rose, tutt'ora in cartellone alla Bayerische Staatsoper ) il loro duetto, che
chiude la versione prescelta in quattro atti, è un gioiello di interpretazione
meditativa, quasi un momento di astrazione dai rigori della corte spagnola.
Insieme cantano a fior di
labbro, il pianissimo sempre perfettamente appoggiato e udibile fino all'ultimo
strapuntino dell'edificio teatrale. Lei un'Elisabetta regale anche nel tormento interiore, e lui un Carlo che per un attimo dimentica la
labile sua personalità. Entrambi gli interpreti si capiscono, si trovano a
meraviglia.
Ancora nel 2012 vengono
scritturati per l'apertura della
stagione scaligera, di nuovo Elsa e
Lohengrin li attendono. Anja Harteros è costretta a dare forfait per le prime
recite mentre Kaufmann si trova a cambiare due partner prima di ritrovare la
sua metà artistica con la quale aveva condiviso tutte le prove. E' il
Lohengrin ideale che si materializza sul palcoscenico del Piermarini grazie
anche alla visione psicoanalitica del regista Claus Guth.
Dal 2013 al 2016 si
ritrovano fianco a fianco in opere del repertorio italiano a cominciare
dal Don Carlo a Salisburgo, nella
originaria versione in cinque atti. La regia è quella un po' stantia e statica
di Peter Stein ma i due danno vita ad una coppia straziata e lacerata dopo la
breve felicità nell'atto di Fontainebleau. Io vengo a domandar introduce
l'incontro scontro fra mondi ormai irrimediabilmente lontani, mani che si
sfiorano in riluttanti carezze e momenti sublimati dalla partitura verdiana. In
Trovatore Kaufmann è un Manrico debuttante. La tessitura non è la più comoda
o adatta ma la sua Leonora lo aiuta a rendere indimenticabile il concertato
finale in una produzione alquanto controversa.
Poi viene Alvaro, indio e
ribelle secondo la regia di Martin Kusej dell'opera innominabile. Si palesa con
spavalderia in opposizione ai dubbi aristocratici di Leonora. Le due voci si
innervano sulle diversità di carattere ed etnia, vivo ed inevitabile é il
contrasto sociale tra le due famiglie. Il primo duetto è incandescente e
giocato sulla sospensione dell'incredulità in una storia che ha i caratteri
dell'assurdità. Quando la loro collaborazione li porta a Roma, all'Accademia di Santa Cecilia per Aida,
Antonio Pappano è sul podio e in quella occasione siamo gratificati da un Celeste Aida che si chiude con il morendo prescritto da
Verdi e da un Fatal preda da brividi. Le due voci procedono su una linea di
canto immacolata, quasi prendendo fiato l'una dall'altra. Fiducia, grande
confidenza e complicità sono la chiave di un finale che contribuisce ad
ipnotizzare l'auditorium riempito all'inverosimile.
Nel 2016 è la volta della
prima Tosca insieme. La concertazione di
Kirill Petrenko finalmente anima una produzione mai amata, a firma Luc Bondy.
Dalla bacchetta del direttore russo esce un'opera che si reinventa e galvanizza i due
interpreti.
La coppia si ricompone
ancora una volta a Monaco proprio in questo mese di Marzo ed è una scommessa vinta per entrambi. Lei che
dissipa i dubbi sulla sua capacità di calarsi appieno nel repertorio italiano,
lui che fuga le perplessità sul futuro della sua carriera. I filati di Anja
Harteros sono ipnotici e persino gli acuti, solitamente alquanto taglienti
hanno il pregio della morbidezza. Nonostante Andrea Chènier sia sempre vista
come un'operaccia , la coppia non ha paura di affondare anima e corpo
nell'atmosfera verista. Il temperamento riservato del soprano si spersonalizza
e vibra invece degli avvenimenti tragici che Maddalena Di Coigny vive. È una
donna appassionata che dimentica la rigida etichetta e lotta con ardore per il
suo amore. Un'Anja Harteros così appassionata non si era ancora vista, la
simbiosi artistica con Jonas Kaufmann è totale così che anche lui si libera
lanciandosi in un grande finale, cantato in tono da entrambi. Non sarà uno Chènier ideale, non sarà
esplosivo come questo o quello del recente o lontano passato, ma è un incontro fra due personalità talmente diverse
da completarsi a vicenda, che si conoscono alla perfezione, si stimano, si
rispettano e giustamente compongono un Traumpaar.
https://amnerisvagante.wordpress.com/2017/03/23/das-traumpaar/
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