viernes, 17 de marzo de 2017

RAGIONE E POESIA, LA DOPPIA ATENE



di Mauro Bonazzi

La civiltà dei Greci non si limita al «logos» dei filosofi, la sua inquietudine si manifesta anche nell’opera in versi: esce «Atene, la città inquieta» (Einaudi) di Mauro Bonazzi
L’inquietudine dell’animo umano è uno dei grandi temi della filosofia. È la percezione confusa di una mancanza, l’incapacità di stare fermi, di accontentarsi di ciò che è dato: tutti ne facciamo esperienza. «Siamo pendoli che, attaccati a un punto fisso, oscillano qua e là cercando l’orientamento per raggiungere lo stato di quiete, ma che una volta raggiunto ricominciano a desiderare l’inquietudine del cambiamento», scrive la filosofa Francesca Rigotti. È legata a doppio filo al desiderio: è il desiderio a generare l’inquietudine o l’inquietudine il desiderio? Sono vere entrambe le opzioni.
Richiamando questo sentimento antico e modernissimo nel titolo del suo ultimo libro, Atene, la città inquieta, uscito per la Piccola Biblioteca Einaudi Mappe, Mauro Bonazzi riannoda il filo fra passato e presente, restituendoci domande che sono (ancora) le nostre. Qual è dunque il senso dell’esistenza? L’autore si volge verso Atene perché è lì che la questione è stata posta per la prima volta in termini radicali. Inquietudine — non meno che logos, razionalità — è parola chiave per recuperare il senso complessivo di quell’avventura intellettuale e umana. Ciò che ha fatto grandi gli Ateniesi, l’elemento di originalità, sostiene infatti Bonazzi, è la consapevolezza che «a differenza degli altri animali che occupano un posto determinato nell’universo, gli uomini devono trovarsi un loro spazio, costruirsi un mondo proprio». Per questo non possono stare fermi, in quiete: devono muoversi, anche se il rischio è di commettere errori fatali. Il logos deve vedersela con la forza motrice del desiderio.

E tutto questo è vero, ha delle conseguenze: rimette in discussione le convinzioni su quale sia la vera eredità lasciataci dai Greci. «Il tratto distintivo della civiltà europea e occidentale — scrive Bonazzi — è il razionalismo», la convinzione cioè che «la ragione sia lo strumento che ci permetterà di comprendere il significato e l’ordine di ciò che ci circonda. Ed è precisamente nell’aver esaltato la centralità della ragione, del logos, che sta il contributo principale dei Greci alla definizione della nostra identità».
Ma la partita non può chiudersi qui. Quanto è legittimo ridurre l’intera eredità greca alla Grecia del logos, cioè dei filosofi? «Non ha senso parlare della Grecia al singolare, come se si trattasse di un corpo coeso e unitario che ha attraversato compatto il corso dei secoli fino a noi», avverte l’autore. Ci sono due Grecie almeno: quella dei filosofi e quella, troppo spesso dimenticata, dei poeti. Se i primi hanno cercato di mostrare il senso e la bellezza di un mondo ordinato, i secondi sono stati animati piuttosto dalla consapevolezza che la realtà è ambigua, fonte di inquietudine e impossibile è ricavare indicazioni di valore o regole di comportamento. L’Atene del V secolo — città inquieta, città del miracolo, centro del mondo — è il punto in cui le tensioni e le contrapposizioni dei due universi inconciliabili convergono e si scontrano.
Ricostruire le coordinate concettuali che stanno alla base di queste due visioni è l’impegno che Bonazzi prende con il lettore. L’excursus attraversa Le opere e i giorni di Esiodo, i versi di Solone, i paradossi di Eraclito: il focus è sull’idea di giustizia, per tutti loro valore assoluto, naturale o divino che sia. Protagora rompe con la tradizione: il suo uomo «misura di tutte le cose» riconosce la giustizia solo come risultato di una decisione collettiva. Tucidide e gli altri «realisti» ne daranno un’interpretazione ancora diversa: giustizia è la continuazione della lotta politica con altri mezzi, subordinata all’utile, al calcolo dei vantaggi. Platone cambia tutto, ripensandola dalle fondamenta: la giustizia non è convenzionale o relativa, come sostenevano i «realisti», ha invece un valore oggettivo, è disposizione dell’anima e condizione necessaria per la felicità.
Dunque c’è Platone, ma c’è anche Omero (e Tucidide): insieme, sono l’eredità greca.
Tornando alla domanda centrale del libro: il meglio del pensiero di Atene è la filosofia o sta al di fuori della filosofia? L’autore non parteggia né per l’una né per l’altra causa. L’obiettivo però è chiaro: rimediare all’esclusione del sapere della tradizione greca — quello della poesia — dal discorso sulle radici della nostra identità europea. «La linea platonica — scrive Bonazzi — insiste sulla possibilità di trovare un senso complessivo alle cose, in cui sia riservato un posto anche per l’essere umano; la linea omerica è più dubbiosa di queste possibilità e più incline a considerare l’uomo nella sua solitudine in un mondo solo parzialmente intellegibile. Entrambe continuano a risuonare nei dibattiti odierni».

http://www.corriere.it/cultura/17_marzo_12/mauro-bonazzi-atene-la-citta-inquieta-einaudi-527d96e6-070e-11e7-96f4-866d1cd6e503.shtml

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