La civiltà dei Greci non si
limita al «logos» dei filosofi, la sua inquietudine si manifesta anche
nell’opera in versi: esce «Atene, la città inquieta» (Einaudi) di Mauro Bonazzi
L’inquietudine dell’animo
umano è uno dei grandi temi della filosofia. È la percezione confusa di una
mancanza, l’incapacità di stare fermi, di accontentarsi di ciò che è dato:
tutti ne facciamo esperienza. «Siamo pendoli che, attaccati a un punto fisso, oscillano
qua e là cercando l’orientamento per raggiungere lo stato di quiete, ma che una
volta raggiunto ricominciano a desiderare l’inquietudine del cambiamento»,
scrive la filosofa Francesca Rigotti. È legata a doppio filo al desiderio: è il
desiderio a generare l’inquietudine o l’inquietudine il desiderio? Sono vere
entrambe le opzioni.
Richiamando questo
sentimento antico e modernissimo nel titolo del suo ultimo libro, Atene, la
città inquieta, uscito per la Piccola Biblioteca Einaudi Mappe, Mauro Bonazzi
riannoda il filo fra passato e presente, restituendoci domande che sono
(ancora) le nostre. Qual è dunque il senso dell’esistenza? L’autore si volge
verso Atene perché è lì che la questione è stata posta per la prima volta in
termini radicali. Inquietudine — non meno che logos, razionalità — è parola
chiave per recuperare il senso complessivo di quell’avventura intellettuale e
umana. Ciò che ha fatto grandi gli Ateniesi, l’elemento di originalità,
sostiene infatti Bonazzi, è la consapevolezza che «a differenza degli altri
animali che occupano un posto determinato nell’universo, gli uomini devono
trovarsi un loro spazio, costruirsi un mondo proprio». Per questo non possono
stare fermi, in quiete: devono muoversi, anche se il rischio è di commettere
errori fatali. Il logos deve vedersela con la forza motrice del desiderio.
E tutto questo è vero, ha
delle conseguenze: rimette in discussione le convinzioni su quale sia la vera
eredità lasciataci dai Greci. «Il tratto distintivo della civiltà europea e
occidentale — scrive Bonazzi — è il razionalismo», la convinzione cioè che «la
ragione sia lo strumento che ci permetterà di comprendere il significato e
l’ordine di ciò che ci circonda. Ed è precisamente nell’aver esaltato la
centralità della ragione, del logos, che sta il contributo principale dei Greci
alla definizione della nostra identità».
Ma la partita non può
chiudersi qui. Quanto è legittimo ridurre l’intera eredità greca alla Grecia
del logos, cioè dei filosofi? «Non ha senso parlare della Grecia al singolare,
come se si trattasse di un corpo coeso e unitario che ha attraversato compatto
il corso dei secoli fino a noi», avverte l’autore. Ci sono due Grecie almeno:
quella dei filosofi e quella, troppo spesso dimenticata, dei poeti. Se i primi
hanno cercato di mostrare il senso e la bellezza di un mondo ordinato, i
secondi sono stati animati piuttosto dalla consapevolezza che la realtà è
ambigua, fonte di inquietudine e impossibile è ricavare indicazioni di valore o
regole di comportamento. L’Atene del V secolo — città inquieta, città del
miracolo, centro del mondo — è il punto in cui le tensioni e le
contrapposizioni dei due universi inconciliabili convergono e si scontrano.
Ricostruire le coordinate
concettuali che stanno alla base di queste due visioni è l’impegno che Bonazzi
prende con il lettore. L’excursus attraversa Le opere e i giorni di Esiodo, i
versi di Solone, i paradossi di Eraclito: il focus è sull’idea di giustizia,
per tutti loro valore assoluto, naturale o divino che sia. Protagora rompe con
la tradizione: il suo uomo «misura di tutte le cose» riconosce la giustizia
solo come risultato di una decisione collettiva. Tucidide e gli altri
«realisti» ne daranno un’interpretazione ancora diversa: giustizia è la
continuazione della lotta politica con altri mezzi, subordinata all’utile, al
calcolo dei vantaggi. Platone cambia tutto, ripensandola dalle fondamenta: la
giustizia non è convenzionale o relativa, come sostenevano i «realisti», ha
invece un valore oggettivo, è disposizione dell’anima e condizione necessaria
per la felicità.
Dunque c’è Platone, ma c’è
anche Omero (e Tucidide): insieme, sono l’eredità greca.
Tornando alla domanda
centrale del libro: il meglio del pensiero di Atene è la filosofia o sta al di
fuori della filosofia? L’autore non parteggia né per l’una né per l’altra
causa. L’obiettivo però è chiaro: rimediare all’esclusione del sapere della
tradizione greca — quello della poesia — dal discorso sulle radici della nostra
identità europea. «La linea platonica — scrive Bonazzi — insiste sulla
possibilità di trovare un senso complessivo alle cose, in cui sia riservato un
posto anche per l’essere umano; la linea omerica è più dubbiosa di queste
possibilità e più incline a considerare l’uomo nella sua solitudine in un mondo
solo parzialmente intellegibile. Entrambe continuano a risuonare nei dibattiti
odierni».
http://www.corriere.it/cultura/17_marzo_12/mauro-bonazzi-atene-la-citta-inquieta-einaudi-527d96e6-070e-11e7-96f4-866d1cd6e503.shtml
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