Amneris vagante di Caterina
La prima rappresentazione
di Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny ebbe luogo a Lipsia il 9 marzo del
1930, segnando il vertice della collaborazione tra Kurt Weill e Bertolt Brecht.
L'urticante e scomoda critica sociale insita nell'opera scatenò una vera e
propria guerriglia fra il pubblico
diviso fra estimatori e
detrattori della prima opera surrealistica del nostro tempo secondo la
definizione di Adorno.
Più che surrealistica si
potrebbe piuttosto definire realistica, sia pure racchiusa in una struttura
volutamente priva di coerenza perchè costruita su episodi accostati l'uno
all'altro. La storia della fuga di Begbick, Trinity Moses e Fatty, piccoli criminali
di mediocre statura che, bloccati da un guasto alla loro auto, decidono di
stanziarsi in un non luogo nel quale fondare una nuova città libera da leggi e
regole da seguire, pone sotto al microscopio una umanità varia, accomunata però
da una totale sfiducia nel futuro. Ogni cosa vive perchè concretamente
monetizzabile e rapportabile dunque all'unico valore riconosciuto a Mahagonny:
il denaro. Il tragico epilogo che si intravede in chiusura del terzo atto è
l'inevitabile distruzione a marcare la fine
di un'entità intesa dallo stesso Weill come totalmente immaginaria e non
rapportabile ad alcuna realtà geografica.
Ciò che rende la parabola
di Weill e Brecht sulfurea e particolarmente amara, è però la totale mancanza
di espiazione con conseguente redenzione che la fine della città, vera e unica
protagonista, porta con sé. Sodoma e Gomorra, con la punizione divina che si
abbatte su di loro, non possono così essere assimilate a Mahagonny, nonostante
il comune catalogo di vizi capitali declinati nel libretto e ben evidenziati
dalla partitura.
Oggi come allora la cruda
esposizione di tali meschinità umane è disturbante, perché nulla di quanto si
ascolta e vede lascia adito ad un sottile filo di speranza. Sarà forse questo
il motivo per la scarsa presenza di quest'opera in teatro? In concreto ciò che
ne rende alquanto ardua la messa in scena è non solo la difficile trattazione
di argomenti comunque scabrosi e atipici
nel melodramma tradizionale, quanto la reperibilità di cantanti in grado di
passare dal parlato vero e proprio al
canto spiegato alternandolo allo stile intermedio del musical.
Del pari non si fatica a
calarsi nella impietosa e graffiante satira sociale quando l'idea di regia
ruota attorno al concetto di
Zeitopera così come inteso dal
compositore stesso. Weill infatti, già in occasione della stesura dell'Opera da
tre soldi, aveva precisato le caratteristiche di una tale creazione
drammaturgico-musicale, basata su argomenti e soggetti della contemporaneità
trattati in modo crudo e provocatorio.
La crisi della società
capitalistica con il corredo di vezzi e abitudini malsane la ritroviamo
nell'intelligente regia che Jacopo Spirei concepisce per il delizioso Landestheater di Salisburgo, vitale
e vivace teatro in grado di offrire una programmazione che spazia dall'opera al
musical alla prosa. Partendo dall'idea stessa di Netzestadt, parola vagamente
traducibile con città della rete, Mahagonny diventa luogo governato dalla rete
intesa come crogiuolo di app facilmente riconoscibili e presenti in tutte le scene
mediante vistosi cartelli che ne riproducono logo e caratteristiche. Dagli
uccellini di Twitter alle tacche verdi del WIFI, passando attraverso i miti
televisivi delle sfide di Masterchef e con l'icona di Google Maps ad
identificarne la collocazione, si arriva a Barbie nel suo essere al contempo
bambola simbolo del consumismo occidentale e donna oggetto. Il tutto crea una sorta di realtà virtuale
sospesa che risucchia chiunque vi cada dentro.
Il motore della vicenda, la
manipolatrice vedova Begbick qui impersonata con grande misura ed equilibrio da
Frances Pappas, nella visione di Spirei si muove così tra i ruoli per
antonomasia da cattiva cinematografica, Crudelia DeMon e Cat Woman.
Vittima predestinata fra le
vittime, Laura Nicorescu disegna invece una Jenny Hill già rassegnata, forse
sinceramente innamorata di Jim Mahoney, ma sconfitta e sfiduciata in partenza,
prestando il suo timbro fresco e l'emissione salda al personaggio della giovane
avvezza a prostituirsi. Abiti luccicanti per lei, nell'insieme dei costumi di
Bettina Richter che, giustamente, sono privi di precisa connotazione stilistica
o temporale per via della realtà virtuale suggerita dalle scene di Eva Musil.
Il denaro a Mahagonny non è
affatto vile, anzi definisce il solo crimine censurabile in città: la sua
mancanza. Il che annienta l'unico barlume
di coscienza morale che risiede nel dolente Jim di Wolfgang Schwaninger,
condannandolo alla morte. In palcoscenico un grande sacco da obitorio ne racchiude
il corpo dopo la fredda esecuzione seguita al processo pro forma per via del
debito di gioco non pagato.
E' un'umanità spietata ed
egoista che si muove nel web, spersonalizzata e chiusa ai rapporti
interpersonali che non siano sesso, bevute e combattimenti violenti, quella
descritta da Spirei. Ed è assolutamente fedele e coerente allo spirito di
compositore e librettista, sia pure nella trasposizione ai giorni nostri. C'è
sintonia piena anche con la lettura di Adrian Kelly, direttore che affronta con
estrema precisione le forme canoniche disseminate qua e là da Weill. Tra
corali, movimenti fugati e pezzi chiusi o a cappella, l'organico del Mozarteum
e il coro del Landestheater, spesso
disposto in sala, mostrano tutta la loro versatilità e contribuiscono alla
riuscita di uno spettacolo che conferma tutta la ferocia originaria del 1930,
anno di composizione.
https://amnerisvagante.wordpress.com/2017/05/21/mahagonny-o-die-netzestadt-la-citta-rete/
No hay comentarios:
Publicar un comentario