by Caterina
|
Percorso affascinante ed estremamente attuale quello del Macerata
Opera Festival 2016 che, attraverso il filo conduttore Mediterraneo, ha
legato tre melodrammi così differenti come Otello, Norma e Trovatore al
tema della migrazione e della diversità di razza, cultura, etnia. Otello
di Verdi è stato anche scelto per celebrare i 400
anni della morte di William Shakespeare , aprendo e
chiudendo l'offerta operistica della manifestazione marchigiana. Per Francesco
Micheli, demiurgo del festival, il Moro di Venezia è
un immigrato africano, tollerato a mala pena per i suoi successi militari che
scatenano l'odio razziale e il nichilismo di Jago . Paco
Azorin, regista e scenografo di questa coproduzione con il Festival
Castell de Peralada, ha puntato molto sull' atmosfera noir ,
quasi scapigliata del libretto di Arrigo Boito ,
claustrofobicamente delineata attraverso dei semplici elementi scenici a
losanga che di volta in volta si componevano o separavano in perfetto
accordo con le efficaci videoproiezioni a cura di Pedro Chamizo. Il
leone di Venezia imponente e mastodontico sul palcoscenico rappresentava il
potere della Repubblica marinara, incombente nel suo moltiplicarsi sulla
scenografia naturale costituita dal muro di fondo dello Sferisterio. I
costumi stessi di Ana Garay , neri e senza tempo
per Iago ed i suoi sgherri , oltre che per il coro ,
contribuivano a mantenere il senso di una tragedia ormai scritta sul cielo
rossastro da bolgia infernale riprodotto dal datore luci, l'idra fosca scatenata
dal perfido alfiere che stringeva Otello in una morsa. Solo Desdemona
era circondata da un alone di purezza nella sua veste candida che non
l'abbandonava mai e ancor più sul letto di morte, innocente e pia
creatura, predestinata vittima di un femminicidio ante litteram.
Una produzione visivamente accattivante fatta di pochi elementi e di un uso
intelligente dell'anomalo spazio scenico oltre che del videomapping , non può
che richiedere una compagnia di canto in grado di dar vita ai personaggi non
solo musicalmente ma anche scenicamente. Per Boito l'Otello è un dramma
psicologico, così come per Verdi è alternanza e conflitto violento tra
individualità contrapposte. I tre interpreti principali sono infatti dei
simboli: Jago l'invidia, Desdemona la purezza e Otello la gelosia. Tutto ciò si
delinea nello stile declamatorio e moderno del primo, nel tradizionale belcanto della
protagonista e nell'oscillare fra canto e urlo selvaggio del Moro. Roberto
Frontali , in accordo perfetto con le intenzioni della regia e con la
scrittura verdiana, ha disegnato un alfiere mellifluo, Deus ex Machina
dell'intera vicenda e quasi sempre in scena. Malignamente sottile nel brindisi
del primo atto, palesava tutta la sua indifferenza per ogni valore morale
nel recitativo e nelCredo seguente, fino a farsi genio del
male assoluto nel colloquio con il Cassio luminoso e incisivo
di Davide Giusti . Un Otello monolitico ed inespressivo
come Stuart Neill non poteva risultare che perdente al
confronto. Poco mobile, passivamente subiva la vastità del palcoscenico atipico
dello Sferisterio. Nè guerriero nè amante appassionato, nè
uomo lacerato dalla gelosia nè vile femminicida, infilava una nota dopo
l'altra, incapace di quella fugace estasi sensuale in Già nella
notte densa e dello strazio del prolungato monologo Dio mi
potevi scagliare . Unico segno evidente della sua disperazione
afferrare Desdemona per i capelli nel drammatico confronto con la sua sposa
durante il concertato del terzo atto. Persino l'uxoricidio finale era compiuto
dagli sgherri di Jago mentre Otello si limitava a finire l' innocente per di
più pasticciando col testo per tutto il quarto atto.
Jessica Nuccio scatenava invece l'entusiasmo del pubblico
con la sua linea melodica elegante ed ininterrotta, nonostante la fatica di un
primo duetto quasi interamente sulle sue spalle. La sua era una Desdemona
costretta a maturare in fretta, dall' estasi delle effimere gioie coniugali
agli intrighi di Jago e all'abisso che si spalancava ai suoi piedi. Incredula e
straniata durante l'accusa del terzo atto, aveva accenti di grande lirismo
poetico nella sua grande scena del quarto atto. Sola in palcoscenico, eterea
nella sua veste bianca , evocava poeticamente il racconto della madre
nella Canzone del salice chiudendo con un commiato toccante
ad Emilia , l'ottima Tamta Tarieli, sul
suggestivo sfondo di un salice proiettato sulla parete rettostante. Di
grande fascino l'Ave Maria che precede l'uxoricidio, nella
quale il soprano interpretava quasi in trance l'addio alla vita.
La voce
sempre ben proiettata, avvincente con il suo timbro fresco ed elegante ,
serviva a dovere un esordio nel ruolo di assoluto valore. Riccardo Frizza governava
poi con attenzione l'Orchestra Filarmonica Marchigiana sostenendo
cantanti e coro e puntando sulle sezioni di maggiore valore quali gli
strumentini e i violoncelli vista la debolezza degli ottoni. Nel complesso una
lettura convenzionale quella del direttore, funzionale e tesa comunque a
mantenere un equilibrato rapporto fra buca e palcoscenico. Se solo non
fosse così difficile trovare un Otello all'altezza di tale capolavoro!
http://wp.me/p5UwcX-o1
http://wp.me/p5UwcX-o1
No hay comentarios:
Publicar un comentario