2 febbraio 2019.
Al teatro Coccia di Novara va in scena ‘Uno zio
Vanja’: perché ‘uno’? Dopo averlo visto è comprensibile. ‘Uno’ perché è
indubbiamente uno dei modi di portare in scena una delle più grandi, tra le opere di Cechov ed in
questo caso è la contemporaneizzazione di
un malessere che si perpetua nel
tempo, che si acuisce allorquando la società si imbruttisce e
impoverisce.
Di
Anton Čechov
Con
Vinicio Marchioni, Francesco Montanari,
e con Lorenzo Gioielli, Milena Mancini, Alessandra Costanzo, Nina Torresi, Andrea Caimmi, Nina Raia
e con Lorenzo Gioielli, Milena Mancini, Alessandra Costanzo, Nina Torresi, Andrea Caimmi, Nina Raia
Luci
Marco Palmieri – Scene Marta Crisolini Malatesta – Costumi Milena Mancini e
Concetta Iannelli
Musiche Pino Marino
Regia Vinicio Marchioni
Musiche Pino Marino
Regia Vinicio Marchioni
Produzione
Khora Teatro
Zio Vanja (Djadja Vanja) è un dramma dell'autunno
1896 o 1897 di Anton Pavlovič Čechov. È considerata una
delle sue opere più importanti, la seconda dopo “Il gabbiano”. In questa regia
dello stesso protagonista Vinicio Marchioni, la visione della società odierna è
impietosa, ma puntuale e veritiera nella descrizione della perdita di valori,
confusa e disorientata da situazioni governate da forze occulte, ma potenti;
emerge l’insoddisfazione, l’insicurezza , l’inadeguatezza e l’opportunismo. I
conflitti d’interesse e la volgare gestione della natura e della sua bellezza
influisce sulla vita sempre più grigia della società che si sta imbarbarendo.
La scena di Marta Crisolini Malatesta,
talvolta appare come una quadro verista ed i colori dominanti sono opachi,
senza troppa speranza, salvo alcuni bagliori di rosso tra i costumi
perfettamente adeguati di Milena Mancini e Concetta Iannelli; dietro un sipario datato, ma che per il
colore viola contrasta con le credenze
teatrali di un tempo, sullo sfondo si
staglia un cumulo di macerie non ancora rimosse dopo il terremoto. Sopra alle
macerie si erge un albero (forse un rimando al giardino dei ciliegi?) ricco di
fiori al primo atto, ma che si sguarnisce al secondo, restando spoglio, così come
spogliati di volontà e fiducia sono i personaggi che si muovono tra le note
calzanti delle musiche di Pino Marino.
Veniamo agli interpreti: Vinicio Marchioni,
zio Vanja, è un mattatore che affronta
il ruolo con convinzione e forte immedesimazione e trasmette le stesse
motivazioni alla compagnia che dirige con il piglio sicuro del solido
professionista; Il suo ruolo non è compito facile, ciò nonostante sa rendere
molto bene l’amarezza di un uomo frantumato ed impossibilitato ad amare che non
può rinnegare il difficile tempo passato ed il rimpianto di una vita vissuta a
metà. Troviamo un ottimo Francesco Montanari nel ruolo del
medico frastornato tra un amore
impossibile ed il conflitto tra il desiderio di vivere in un mondo pulito e
verdeggiante e la realtà inconfutabile.
In quel back stage di teatro reso poetico dalle luci disegnate da Marco Palmieri con
efficacia pittorica, Elena, interpretata con carattere ed eleganza da Milena
Mancini, vive sospesa nel deserto di noia come questo che interrompe
lasciandosi andare a furtivi ed illusori baci con il medico.
La commedia inizia con la voce da una radio che
commenta i devastanti postumi di un terremoto con cantieri non partiti, macerie
non rimosse dove esiste una nebbia crescente al posto dei desideri;
Marina, l’anziana domestica e sarta cuce
con un verismo impressionante e la sua interprete Nina Raia è efficace
in ogni momento della narrazione.
Lorenzo Gioielli è perfettamente
calato nel ruolo del vecchio professore lamentoso e malandato che però tiene un
occhio agli affari cercando di volgerli a suo favore, con un vago sostegno da
parte della madre della prima moglie interpretata con classe da Alessandra Costanzo. Il povero Telegin trova in Andrea Caimmi
un caratterista persuasivo e convincente. La commedia è finita e la
conclusione spetta alla giovane Sonja che
accovacciata al fianco di Vanja e
lasciato in disparte l’iniziale accanimento contro la distruzione degli uomini,
i cavalcavia che crollano, i ponti instabili per paura, povertà e politica
inefficace evocati dal dottore, lancia
un accorato grido di speranza per un
futuro migliore che può comunque risorgere anche dalle macerie innegabili
dell’oggi: Nina Torresi è la dolce, ma determinata interprete di Sonja,
cui il regista ha affidato l’esortazione alla fiducia con l’invocazione e l’evocazione di una soluzione
che l’uomo può e deve trovare.
Renzo Bellardone
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