"MI ZEFFIRELLI, MI FLORENCIA"
NO HABÍA MUCHOS VISITANTES PERO SÍ UNA ESPECIE DE SILENCIO
IMPONENTE DONDE SE RESPIRABA LA SABIDURÍA, EL GOCE, EL DESEO Y LA CONCRECIÓN DE
TANTOS PROYECTOS QUE ZEFFIRELLI PUDO REALIZAR.
HOY MÁS QUE NUNCA ECHO DE MENOS FLORENCIA, CON SU MAGGIO OPERISTICO,
SUS PASEOS, EL ARNO, EL RECUERDO DE LOS ENCUENTROS CON MASSIMO CAVALLETTI, CON
SARAH SCHINASI, CON ZUBIN MEHTA Y EQUIPO, EN OCASIÓN DEL DON CARLO
VERDIANO, LOS JOYEROS, LA SOMBRA DE CELLINI Y LOS MEDICI INCENDIÁNDOLO TODO. EL
BUEN CAFÉ, LA COMIDA MARAVILLOSA, Y ESE ASPECTO CARNAL Y VIVO, RELUCIENTE, QUE
EN LA CIUDAD TOSCANA CONSERVAN HASTA LAS ESTATUAS.
QUE TODO LO QUE CONSTRUYÓ EL MAESTRO ZEFFIRELLI PERDURE EN AQUELLO QUE
DEJÓ ESCRITO, FILMADO, VIVIDO, PARA QUE ALGUIEN- TODOS LOS QUE LO CONOCIERON DE
UNA MANERA U OTRA- LO RECOJAN, LO DIVULGUEN Y LO CONSERVEN PARA LA POSTERIDAD.
ALICIA PERRIS
Foto con Pippo Zeffirelli, de Julio Serrano
Franco Zeffirelli
nella sua casa romana, sull’Appia Antica, con Sandro Bennucci, appena diventato
direttore di Firenze Post
«Ne mancano tanti
fra quelli che avrei voluto con me a cena», diceva Franco Zeffirelli in
occasione degli ultimi compleanni, dal novantesimo in poi. E il suo pensiero
correva a Maria Callas, poi alla coppia Liz Taylor-Richard Burton. Li convinse
a recitare sullo schermo «La bisbetica domata». E a lui, Richard, nel
drammatico 4 novembre del 1966, chiese una cosa in più: che prestasse la voce
per il documentario su Firenze devastata dall’Arno. Burton si presentò parlando
piano, per non sembrare invadente: «Perdonerete il mio italiano imperfetto, ma
vorrei parlarvi senza traduzioni. Quello che è avvenuto a Firenze mi tocca
profondamente… Ora Firenze ha bisogno di tutti, perché Firenze appartiene al
mondo». Da ieri,15 giugno 2019, dopo 96 anni e 4 mesi di una vita andata al
massimo, Franco Zeffirelli ha raggiunto
i suoi grandi amici. E ora starà già pensando a nuove, grandiose regie, a nuove,
costosissime scenografie, a nuovi film. Perchè non si fermava mai, perchè era
un vulcano d’idee e d’iniziative. In una parola: un genio in movimento.
Ultimamente bloccato per colpa di gambe che non rispondevano più ai suoi
voleri. E limitato nella voce, diventata un sibilo, dopo essere stata forte,
addirittura tonante, dietro la macchina da presa o nel ballatoio di un teatro.
O aver gridato, da grande tifoso della Fiorentina, contro la Juventus e
l’avvocato Agnelli. Fino a rischiare denunce e querele.
HAREM – Conobbi
Franco Zeffirelli 40 anni fa, in occasione di una partita del Calcio storico.
Lui arrivò accompagnato da un’attrice, ma senza biglietto. Lo fermarono alla
porta. Io, cronista de La Nazione, avevo il pass. E corsi in tribuna a chiamare
il presidente del Comitato del Calcio, l’assessore Fabrizio Chiarelli. Che
naturalmente scese di persona ad accogliere Zeffirelli e la sua
accompagnatrice. Da quel momento diventammo grandi amici. E mi regalò, qualche
anno dopo, un’eccezionale primizia per il mio lavoro: l’annuncio che avrebbe
girato a Firenze il Tè con Mussolini, ossia la storia della sua vita. Detti la
notizia in prima pagina: la Nazione fece un colpo mondiale. Ma molte altre sono
state le occasioni in cui ho dovuto dirgli grazie. Lo faceva per amicizia, lo
faceva per il giornale della sua città.
Tante volte, anche a casa sua, a Roma, sull’Appia Antica, ci siamo
parlati e da quattro chiacchiere nasceva un’intervista. Se chiedevo di dire in
tre parole chi pensava di essere, la risposta era: «Sono un sultano in un harem
di tre donne: Opera, Teatro, Cinema…». E chi era da bambino? «Un aborto
mancato. Avrei dovuto essere cancellato perché nascevo da due persone non
sposate. Che s’innamorarono pazzamente. Il mio cognome? La mamma lo scelse
perché, secondo la tradizione dell’ospedale degli Innocenti, che si tramandava
dai tempi di Lorenzo Il Magnifico, ogni giorno della settimana corrispondeva a
una lettera. Quando nacqui io toccava alla z. Mia madre, oltre a essere una
grande sarta era una pianista, appassionata di Mozart, con farfalle e
zeffiretti. All’impiegato comunale comunicò che voleva chiamarmi Franco
Zeffiretti. Quello non capì bene, e, invece della doppia T, mise una doppia L:
Zeffirelli».
LADIES – Ebbe la
sfortuna di non avere una famiglia, ma trovò alcune donne meravigliose, inglesi
a Firenze, pronte ad amarlo e a educarlo alla cultura, all’arte e ai valori di
libertà e tolleranza che sono alla base delle democrazie anglosassoni. A quelle
ladies, che dimoravano a Firenze negli anni opachi del conformismo fascista,
Zeffirelli dedicò, appunto, Un tè con Mussolini. Un film? Sì, ma anche un segno
di riconoscenza. Perché grazie a loro, alle ladies, raffinò qualcosa che lo ha
distinto anche davanti alla regina d’Inghilterra che lo fece baronetto. Qualcosa
che non si compra e che risalta anche se si è nati nella litigiosa Firenze, se
si ha una mente geniale e un carattere tempestoso: qualcosa che si chiama
stile.
COMBATTENTE –
Nonostante che le gambe non lo reggessero come un tempo, e che gli acciacchi
aumentassero le difficoltà, Zeffirelli è rimasto, fino in fondo, un
combattente, uno da prima linea: contro la pachidermica lentezza del comune di
Firenze; contro la pignoleria frenante dei burocrati; contro le picche di
qualche politico che vorrebbe fare a modo suo. Mi torna in mente, ancora, una
scena del film Un tè con Mussolini: quando al giovane attore Baird Wallace, che
si avvicinava titubante al sidecar, il Maestro, dietro la macchina da presa, lo
spronava: «Monta al volo, con piglio deciso. Lui non pensava: si lanciava».
Ecco, diceva lui, Franco Zeffirelli, tratteggiando con professionale lucidità
il personaggio del copione. Ma avrebbe dovuto dire io. Perché il film era la sua storia: l’avventura di un figlio
illegittimo nato da genitori soltanto amanti e non sposi. Un’avventura
affascinante, ma al tempo stesso irta di ostacoli e pericoli: a cominciare dal
momento in cui, grazie alla meravigliosa educazione delle ladies inglesi che lo
avevano allevato, decise di fare la sua parte nella guerra di liberazione al
fianco delle truppe scozzesi. Di cui divenne fondamentale interprete. Poi
giustamente decorato.
TEATRO – Franco
Zeffirelli era un mito, un genio, ma anche una persona di uno straordinario
dinamismo. Poteva esplodere, il novantaseienne Zeffirelli, seguitando a parlare
di Firenze, dell’Arno e dell’alluvione. Non gli piaceva il nuovo Teatro
dell’Opera, là alle Cascine. Lo considerava una specie di brutta scatola da
scarpe. Per anni aveva tentato di progettarlo lui, un teatro come si deve. L’ostruzionismo
di una politica troppo spesso miope glielo aveva impedito. Così come s’infuriò
quando la stessa politica non volle concedere a Oriana Fallaci gli onori che
avrebbe meritato. Comprò lui, Zeffirelli, un Fiorino d’oro e lo depose sulla
tomba. Eppoi gli intoppi e gli impicci per il suo Museo, ossia la casa per
custodire, a Firenze, la sua eredità. Prima di decidere la concessione del
vecchio tribunale di piazza San Firenze ce ne volle. Cominciai a scrivere
questa storia nel 2010, su La Nazione.
Zeffirelli aveva offerte da tutto il mondo: New York, Parigi, perfino
Mosca e, in Italia, Roma. Ma lui voleva Firenze. E io, attraverso il mio
vecchio giornale, feci da collegamento fra lui e Palazzo Vecchio per riannodare
un filo che sembrava irrimediabilmente tagliato. Per ricucire il dialogo, devo
ammetterlo, ci mise del suo Matteo Renzi. Che mi scrisse una lettera aperta da
pubblicare sul giornale, in cui pregava
Zeffirelli di considerare l’offerta fiorentina. Poi arrivò Dario Nardella.
Finalmente Palazzo Vecchio accelerò le pratiche. Ma era tardi: Zeffirelli riuscì, nel 2015, a
venire a Firenze per dare indicazioni. Poi le sue condizioni di salute
peggiorarono. E non potè fare il regista di se stesso. Dava indicazioni a
Pippo, il figlio adottivo. Mentre Luciano, l’altro figlio adottivo, lo accudiva
a Roma e cercava di rendere meno duro il suo calvario, cioè l’impossibilità
d’essere a Firenze. Dove ora ritorna. Per essere onorato nel Salone de’
Cinquecento e per riposare alle Porte Sante, insieme ai grandi contemporanei:
Annigoni, Pratolini, Mario Cecchi Gori, Spadolini.
PAPA – Avrei da
aggiungere tante altre storie, altri aneddoti, altre frasi. Mi limito a un
altro grazie: quando lasciai La Nazione, dopo 41 anni di lavoro, e diventai
direttore di Firenze Post, il primo gennaio 2014, Zeffirelli volle farmi un
altro regalo: ossia la notizia, in esclusiva, che avrebbe regalato a Papa
Francesco il libro tratto dal film sul Poverello d’Assisi. Mi disse: «In Sud
America, quando andai a presentare Francesco, tradotto in «Francisco», venni accolto da folle in delirio.
Quarantamila persone a Lima. E un bagno di folla a Buenos Aires, dove
sicuramente incrociai Bergoglio, però senza averci parlato. È vero che, in
genere, i film nascono dai libri. Ma io ho voluto il percorso inverso: il libro
fatto con le immagini della pellicola». Che Bergoglio apprezzò moltissimo.
Tag:Alluvione, arno,
Calcio storico, Franco Zeffirelli, Liz Taylor, Maria Callas, Richard Burton
https://www.firenzepost.it/2019/06/16/franco-zeffirelli-addio-allultimo-genio-innamorato-di-firenze/
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