In Iran ha creato
un’orchestra con musicisti italiani e locali che stasera ripete il concerto a
Ravenna (e poi in radio e tv)
«Le vie dell’amicizia», il
ponte di fratellanza e pace gettato per la prima volta vent’anni fa dal Ravenna
Festival portando la musica con Riccardo Muti in una Sarajevo martoriata dalla
guerra, ha stretto in questo anniversario un gemellaggio tra Italia e Iran, nel
segno di Verdi.
Stasera il viaggio si
conclude a Ravenna (diretta su Radio 3, in tv il 21 luglio su Rai 1), dopo che
per una settimana Muti è stato nella capitale iraniana amalgamando i musicisti
dell’Orchestra sinfonica e del Coro di Teheran con un complesso italiano
ideale, sulla base dell’Orchestra giovanile Cherubini da lui fondata, alla
quale si sono uniti musicisti delle fondazioni liriche di Milano, Genova,
Bologna, Roma, Napoli, Bari, Palermo, il coro del Municipale di Piacenza e tre
fior di cantanti della nuova generazione come Luca Salsi, Piero Pretti e
Riccardo Zanellato.
Avvenimento storico
Il concerto a Teheran è
stato un avvenimento storico: nessun occidentale della statura di Muti aveva
diretto lì da 40 anni, l’ultimo fu Karajan prima della rivoluzione islamica. Ed
è stato un evento perha creato nulla scontato, frutto della politica del
presidente iraniano Hassan Rouhani, della sua ricerca di un ponte culturale con
l’Occidente che tolga l’Iran dall’isolamento. L’attentato del 7 giugno al
Parlamento ha fatto spostare la sede del concerto da una grande piazza cintata
capace di quasi quattromila ascoltatori, al chiuso del Vahdat Hall, il teatro
gestito dalla Fondazione Roudaki, braccio organizzativo del Ministero della
cultura.
Circa mille i fortunati
ascoltatori, con molti giovani, alta la percezione del livello musicale, nel
segno di un’unità di linguaggio davvero senza confini, plasmato da Muti con il
suo respiro, la passione, i colori, l’intreccio di canti e controcanti, l’evidenza
di ogni particolare nella coerenza del disegno complessivo, nei sussurri come
nella pienezza del suono.
A ogni leggio sedevano un
italiano o un’italiana e un iraniano o un’iraniana: la legge islamica impone il
velo sul capo di qualsiasi donna, ma tutte lo portavano uguale, rosso in
orchestra, giallo nel coro: così non si vedeva alcuna differenza tra musiciste
delle due nazioni. L’Italia è venuta a dare una mano alla Sinfonica di Teheran,
risorta solo due anni fa, dopo essere stata chiusa anche per motivi economici
sotto la presidenza di Ahmadinejad: lavora poco, ma comunque frequenta il
repertorio classico occidentale, in passato malvisto in Iran.
Nonostante il delicato
momento politico, Muti non ha avuto incertezze, neppure come direttore della
Chicago Symphony, orchestra di un Paese che ha rapporti complessi con l’Iran, a
sua volta ostile a Israele, dove Muti a dicembre ha diretto la Filarmonica
celebrandone l’80° della fondazione: «Abbiamo vinto i nostri se e i nostri ma e
siamo venuti a Teheran. Si è avverato un miracolo nel nome di Verdi, un’unità
d’intenti e sentimenti: non c’è bisogno di parlare la stessa lingua, credere
nello stesso Dio, se c’è la volontà di unirsi. La musica è una, il cuore uno
solo».
Tumulti interiori
E nel programma c’è
l’universalità del messaggio di Verdi contro le tirannidi e le persecuzioni e
per la libertà: nei Vespri siciliani Procida è l’esule politico che torna in
patria e solleva il popolo contro gli oppressori; nel Don Carlo Posa e Carlo
invocano il grido di libertà; nel Macbeth gli scozzesi rovesciano il tiranno
omicida. Se le donne non possono esibirsi da protagoniste in Iran, la musica
evocava il tumulto interiore di Leonora con l’ouverture dalla Forza del destino
e le figure femminili del Simon Boccanegra attraverso le arie dei personaggi
maschili.
GIANGIORGIO SATRAGNI
http://www.lastampa.it/2017/07/08/spettacoli/muti-porta-a-teheran-il-messaggio-di-verdi-contro-tutte-le-tirannie-oIEKTWT9kbCq0s2zggdonJ/premium.html
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