26/02/2014 06:06
A
fianco di papà Riccardo per la regia della Manon Lescaut di Puccini, da domani,
scioperi permettendo, sul palcoscenico dell’Opera di Roma
Dopo due anni Chiara Muti,
diafana e interiore come una Madonna botticelliana, torna a lavorare al fianco
di papà Riccardo per la regia della Manon Lescaut di Puccini, da domani,
scioperi permettendo, sul palcoscenico dell’Opera di Roma. Nel cast vocale
spicca la celebrata Anna Netrebko, il soprano russo del momento, chiamata ad un
triplice debutto: nella Città eterna, in Manon e sotto la bacchetta di Muti.
Una bella sfida per Chiara Muti, alla sua prima regia con un’opera del grande
repertorio.
Che effetto le fa tornare a
lavorare con suo padre dopo l’ostico Hindemith ravennate di due anni fa, in cui
debuttò nella regia lirica?
«Quello di una grande armonia
e di una direzione comune. Io cerco un movimento sempre in contatto con la
musica e di sottolineare ogni movimento musicale o passaggio emotivo. Il
movimento è il prolungamento della musica, ne asseconda il messaggio».
Che problemi ha comportato la
regia di un’opera complessa come Manon, quarta sua regia lirica dopo Sancta
Susanna , Dido and Aeneas e Orfeo ed Euridice ? Quale il tema
dominante della regia?
«Dopo Hindemith, Purcell e
Gluck affronto per la prima volta l’opera di un italiano: quattro atti che
sembrano quattro opere a sé. Con 120 persone tra mimi e cantanti costituisce
una bella sfida. Ho cercato di armonizzare tutto con l’idea di un deserto come
destino già tracciato. Il tutto visto come un flashback da Des Grieux: fantasmi
tornano alla superficie nel deserto della sua anima. Manon ne era depositaria,
apparteneva al deserto, finisce nel deserto e lo lascia in eredità all’uomo».
Ama più Verdi o Puccini?
«Amo sempre quello che sto
facendo. Ora ho approfondito il tempo e la personalità di Puccini che credeva
nel destino: era gioviale ma anche schivo. Non poteva scrivere senza le parole,
aspettava che pirandellianamente i personaggi gli parlassero. Era un vero
compositore per teatro, molto esigente con i librettisti».
E quale è l’idea di Chiara
sull’amore oggi e sul rapporto tra soldi e sentimenti? Si può ancora morire
d’amore dopo Freud e Jung?
«Si può, ma è raro. È
differente morire per amore oppure per egoismo o voglia di possesso. Se si
muore per amore si muore per ragioni che hanno a che fare con l’autostima. Il
rapporto tra soldi e amore è sempre attuale. Oggi c’è più amore per i soldi e
il potere, ma i soldi e l’amore non hanno niente a che vedere. Manon è una
ragazza che non vuole rinunciare alla libertà: prende quello che la vita può
darle senza pensare alle conseguenze. In Puccini Manon è simpatica, in Prévost
è più scaltra, maliziosa e sicura di sé. Puccini la giustifica. Manon si sente
afflitta dagli uomini che decidono per lei e si aggrappa a Des Grieux e al suo
amore. Cerca la possibilità di essere libera ed autonoma. In Puccini c’è grande
malinconia sin dall’inizio».
Come si è trovata con una star
come la Netrebko?
«Bene. Anna è arrivata con il
suo personaggio in testa. Ha cantato spesso la Manon di Massenet. Abbiamo
trovato un equilibrio tr a il tema dominante del destino, del deserto e della
follia, la voglia di vivere la vita, la voglia suicidiaria...».
C’è differenza tra regia
teatrale e regia lirica?
«La regia lirica è più
condizionata dalla musica e vive in stretta connessione con essa. Il coro ha i
suoi tempi di movimento. Gli assiemi li determina il direttore d’orchestra.
Tutto è scandito dalla musica».
La prostituzione dai tempi di
Violetta e Manon è cambiata in meglio?
«Manon è un ruolo che non si
può attualizzare senza banalizzarlo. È una mantenuta del diciottesimo secolo.
Oggi è diverso. Allora le donne non avevano scelta: o convento o matrimonio
orrendo. Oggi farsi mantenere non sarebbe motivato. Manon in fondo cerca di
sfuggire al convento per vivere appieno la vita. Sulla strada nel Settecento
era più facile essere travolti che oggi».
Che idea si è fatta
dell’attuale momento di crisi delle fondazioni liriche italiane?
«È un momento difficile per
l’Italia. Ora c’è un nuovo governo. Speriamo che il Paese si riprenda al più
presto. La cultura non è passatempo vacuo. È necessaria anche quando c’è gente
che non ha soldi per mangiare, ma è più difficile difenderla. Il momento è
difficile in tutta Europa, ma dobbiamo fare uno sforzo. Il cambiamento è già in
atto».
Ci sarà più lirica che teatro
drammatico nel suo futuro?
«La lirica è anche teatro.
Voglio portare il teatro nell’opera secondo gli insegnamenti del mio maestro
Strehler, ma anche uso la musica a teatro».
E il cinema non la tenta?
«L’ho fatto, ma mi emoziona di
più il teatro. Il cinema come attrice mi vedeva passiva. Non mi piace essere
oggetto, ma soggetto. La forza del teatro è nel rapporto tra attori e pubblico.
Il teatro è sopravvissuto così per secoli : ogni specifico momento è unico e
irripetibile come nella vita. Il cinema invece fissa per sempre un’ immagine e
questo mi terrorizza. Adoro il cinema dal punto di vista estetico, ma lì il
tempo diventa eterno. Quello che mi affascina invece del teatro è proprio la
sua precarietà».
Lorenzo Tozzi
http://www.iltempo.it/cultura-spettacoli/2014/02/26/chiara-muti-regista-ecco-la-mia-manon-che-insegue-la-liberta-puccini-giustifica-la-sua-eroina-in-fuga-dagli-uomini-morire-d-amore-oggi-e-raro-contano-di-piu-i-soldi-1.1223626
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