«NOTRE DAME FU
DEVASTATA DALLA RIVOLUZIONE: POI ARRIVÒ VICTOR HUGO»
Intervista a
Philippe Daverio: «Di fronte alle grandi catastrofi bisogna avere il coraggio
di negare la catastrofe e rifare uguale a prima»
di Pierluigi Panza
Risparmiata dai
nazisti durante la Seconda guerra mondiale, ma saccheggiata dai rivoluzionari francesi
che ne asportarono gli oggetti preziosi e fusero i metalli, Notre Dame è un
simbolo dell’Europa: vi si sono celebrati matrimoni che hanno unito Paesi ed è
uno dei monumenti più visitati dai turisti. Una sciagura europea? «Notre Dame è
la Francia, più che l’Europa — risponde il critico d’arte alsaziano Philippe
Daverio —. Notre Dame e la Tour Eiffel sono la Francia. La cattedrale ha un
altissimo valore simbolico e la ferita è un duro colpo per l’autostima
francese. Non riuscire a proteggere i propri monumenti fa sorgere una valanga
di pensieri nefasti per la nostra consistenza di cittadini».
Notre Dame è
patrimonio Unesco dal 1991: ha un significato più simbolico e politico che
artistico?
«Sì, anche se ha un
grande significato per l’arte gotica, che fu lo strumento estetico di
propaganda introdotto da Filippo il Bello. Tuttavia la grande cattedrale gotica
fu Saint-Denis. Il patriarcato francese era a Sens fino a Richelieu. Notre Dame
diventa protagonista con la costruzione del castello sull’Ile de la Cité, come
si vede nel Libro d’ore del Duca di Berry».
Molta parte della
costruzione del XII secolo era già stata devastata durante la Rivoluzione.
«Le statue della
facciata furono distrutte, sia quelle della galleria dei Re sia quelle dei
portali e anche la flèche».
Poi arrivò Victor
Hugo, che riuscì a costruire intorno ad essa il mito della Francia...
«Hugo creò il mito
con la rivoluzione letteraria del febbraio 1830 quando avvenne lo scontro tra
generazioni, quando Hugo e Gautier incominciarono a prendere in giro i vecchi.
Fu una battaglia teatrale, volarono i cavoli e intervenne la polizia. Fu il
tempo dell’Hernani, manifesto dell’identità romantica. E con il Romanticismo si
andò a riscoprire il passato».
E così si restaurò
la Notre Dame degli architetti Jean de Chelles e Pierre de Montereau che
divenne un’invenzione ottocentesca del restauratore Eugène Emmanuel
Viollet-le-Duc...
«Dopo la salita al
potere di Luigi Filippo d’Orleans nasce l’idea di Patrimonio francese. È da
allora che, sotto la guida di Prosper Mérimée, si vuol dare un volto alla
Francia. Si chiama Viollet-le-Duc, che faceva parte della Commissione per la
salvaguardia delle opere d’arte e aveva rifatto il castello di Carcassonne, e
gli si affida l’incarico di intervenire su Notre Dame per ripensare, anzi dare
un volto alla Francia. La Francia prerivoluzionaria è divisa, anche
linguisticamente; la si plasma rifacendo i monumenti antichi. Si pensa di
chiudere la ferita rivoluzionaria ricostruendo Notre Dame».
Una ricostruzione
come quella di Viollet-le-Duc oggi sarebbe anacronistica.
«Allora si stava
inventando l’identità della nazione e questa ricostruzione innescò
l’ammodernamento fino ai tracciamenti del barone Georges Eugène Haussmann,
ovvero i boulevard».
Questa storia ci fa
sentire meno dolorosa la ferita per la perdita?
«No, questa è una
riflessione da storici dell’arte! La gente è convinta che Notre Dame sia del
Duecento, più vecchia della scoperta dell’America. Questo fa capire quanto il
simbolo valga più dell’autenticità. La flèche è il simbolo anche se è più
giovane della guglia maggiore del Duomo di Milano finita nel 1769».
Cosa si perde
dell’originale?
«La grande
testimonianza antica erano le vetrate e la struttura del colonnato interno. Con
la monarchia del XIII secolo, che parte con Filippo Augusto, nel giro di 25
anni bruciano tutte le chiese romaniche e vengono ricostruite in gotico, come
Amiens e Chartres. Come una ragnatela nasce il gotico, il nuovo potere della
monarchia».
Ci sono stati errori
o responsabilità nella custodia?
«Con tutti i soldi
che hanno in Francia potevano mettere una struttura a sprinkler, cioé
spruzzatori automatici a pioggia o materiale ignifugante. Non è vero che non si
poteva proteggere: 400 estintori automatici avrebbero bloccato l’incendio. La nostra
irresponsabilità è quando non pensiamo di fare dei piani di sostegno e
prevenzione. Bisogna ragionare, perché l’Europa è un enorme serbatoio di
patrimonio storico, dovremmo tutelare di più i Beni. In Italia si è vissuto un
dramma simile con il Teatro La Fenice di Venezia e con il Petruzzelli di Bari.
Prima non si pensa che possa succedere qualcosa anche a noi».
Ricostruirebbe in
stile?
«In genere il
restauro in stile non è la strada giusta. Se entri alla Fenice ti accorgi che
non è vera. Ma di fronte alle grandi catastrofi bisogna avere il coraggio di
negare la catastrofe e rifare uguale a prima. Non è sempre necessario tenere la
testimonianza. Si può rifarla uguale con adeguamenti tecnologici. Farei come
abbiamo fatto ad Assisi per anastilosi, se possibile. C’è una documentazione
infinita di questa cattedrale».
Per lei
personalmente che ferita è?
«Ho abitato con mia
sorella per anni nella strada accanto e ho battezzata lì mia nipote Valery nel
coro ascoltando l’organo. Provo una grande pena. Credo che uno che abita a
Berlino provi meno effetto. Si andava al concerto d’organo alle cinque del
pomeriggio, era un rito parigino. Andavi lì e sentivi dentro Quasimodo, il
gobbo di Notre Dame, mitologia romantica: non era vero, ma andava nel vero, la
sentivi così».
https://www.corriere.it/cronache/19_aprile_16/notre-dame-fu-devastata-rivoluzione-poi-arrivo-victor-hugo-d28174bc-5fcb-11e9-b974-356c261cf349.shtml
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