L’attrice icona del cinema
francese a Cannes con una commedia brillante, «Le monde est à toi». «Invidio Day-Lewis che ha avuto il coraggio di
ritirarsi»
di Valerio Cappelli
CANNES Da vicino, Isabelle
Adjani è bianca come una maschera del teatro No giapponese. Bianca e indifesa,
sensibile, riservata. Ha fatto film in costume raccontando le sofferenze
d’amore, entrando nella mitologia delle donne segnate da un destino tragico: «Ma
non sono una maratoneta dell’impegno». Qui fa un ruolo «pazzo», tutto diverso
dalle sue principesse e regine. Musa di Truffaut e Polanski, ha vinto a Berlino
e a Cannes, oltre a 5 César e due nomination all’Oscar. Torna in una di quelle
commedie brillanti che fanno impazzire i francesi (non a caso la produzione si
chiama Iconoclast): in «Le monde est à toi», Isabelle è a capo di una gang di
borseggiatrici. «Faccio una ladra abilissima e una madre senza scrupoli,
possessiva e invadente col figlio».
Stato d’animo a Cannes?
«Cerco di onorare la mia
presenza, ma è un inferno. Un’orgia di alto livello, nella scalinata rossa si
sale verso il sacrificio o la consacrazione. Sono alla Quinzaine, non prendo il
rischio di rituffarmi nell’arena della gara, tra attrici che si ritrovano a
recitare il ruolo in La città della paura. Che non ha più limiti. Siamo
intrappolati nelle immagini, nei commenti e nei commenti sui commenti. Non uso
i social, non voglio follower. Non importa chi sei veramente: lo decidono gli
altri. Avrei bisogno di un coach su come comportarmi».
Quale rapporto le piace al
cinema?
«Padre-figlia. Mio padre
era autoritario, vivevamo in un piccolo appartamento e non accettava l’idea che
con i miei guadagni dessi una mano a casa. Era algerino, musulmano. In casa
solo uno specchio in bagno, se vi restavo troppo diceva che l’avrei sporcato.
Per una ragazzina sono cose difficili da sentire. Non accettava che recitassi
nuda, disobbedii in «L’estate assassina»: per fortuna morì subito prima che
uscisse».
È cambiato l’approccio al
suo mestiere?
«Oggi si comincia un
business, mi sono tirata fuori da tutto questo. Hanno fatto tanti grandi film
nella mia assenza, non mi manca quello che non ho. Però mi è tornata voglia di
lavorare, andrei da mio figlio in USA e lavorare lì dove è nata una nuova
sensibilità, c’è apertura per le attrici europee. Mi piacciono i registi
canadesi. Xavier Dolan? Talento enorme, ma si sente Re Sole».
Il padre di suo figlio
maschio è Daniel Day-Lewis.
«Si è ritirato, lo invidio:
dopo aver vinto tre Oscar di cos’altro hai bisogno? Siamo rimasti in buoni
rapporti. Eravamo felici insieme perché dimenticavamo di essere attori, cosa
che sta facendo ora con la sua scelta. Quando ti dai completamente, questo
lavoro è duro».
Ha uno sguardo sereno, ma
ha sofferto di depressione.
«Non ho mai conosciuto una
donna che non lo sia stata. Non durò molto. È difficile parlare se perdi
fiducia nella tua vita e sei sola, ti vergogni»
Il caso Weinstein?
«Oggi c’è più solidarietà,
Weinstein è servito anche a questo. Ho trovato patetica la petizione di
Catherine Deneuve sulla libertà di importunare: siamo il paese della seduzione
e bla bla bla. A 15 anni subii la prima molestia e rimasi traumatizzata. In
quanto alla serenità... appartiene alla maturità, non alla giovinezza. Non ho
tanto tempo davanti per consacrarmi a ipotesi d’amore, ma posso incontrare la
persona giusta che bussa alla mia porta. Non vuol dire che ho bisogno di un
uomo: cerco gentilezza e complicità».
Il tempo che passa?
«In Francia si tende a
separare la ragione e l’amore. La ragione impone la dittatura dei corpi, tu
devi dimagrire, tu vuoi dimagrire. È difficile sottrarsi alla pressione dello
sguardo degli altri. Ma è la bellezza a determinare la libertà per affermarsi
in quanto femmina. Ti fa sentire più forte, ti fa rispettare».
https://www.corriere.it/spettacoli/18_maggio_14/ritorno-isabelle-adjani-ho-sconfitto-depressione-le-monde-est-a-toi-c6664d24-56d5-11e8-8dce-9e466002592e.shtml
No hay comentarios:
Publicar un comentario