"Pubblicato da Amfortas su 7 dicembre 2017
Recensione espressa e morigerata di Andrea Chénier al Teatro alla Scala di Milano: vince Riccardo Chailly, perde il teatro lirico
Repetita iuvant.
Questa recensione è frutto
della visione televisiva della prima scaligera, perciò attenzione: solo dal
vivo uno spettacolo può essere valutato in modo completo, per ragioni tanto
evidenti che non sto neanche a elencare. Detto questo, andiamo avanti.
Anche quest’anno soffro di
recensione praecox, non c’è nulla da fare. Insomma mi espongo un po’ ma è
tradizione di questo blog sgravare una recensione espressa, cotta sul momento.
Mario Martone, regista non
nuovo al teatro lirico, firma questo allestimento che rientra in quella
categoria, assai vasta, di messinscena sostanzialmente tradizionali che, a mio
modo di vedere, oggi hanno uno scopo solo: quello di evitare i fischi alla
prima di un’occasione importante come l’apertura della Scala.
Altro non vi saprei narrare
(anche questa è facile, su) ma credo di poter fare sfoggio di tutti quegli
aggettivi paraculi e un po’ cimiteriali che si adoperano in queste circostanze:
pertinenti i costumi di Ursula Patzak, appropriate le luci di Pasquale Mari e
addirittura – scusate – coerenti con l’idea registica le scene di Margherita
Palli. Non parliamo poi del funzionali riferito alle coreografie di Daniela
Schiavone.
La sagra della banalità, il
festival della tristezza come banale, privo di slancio e già morto mi è
sembrato questo allestimento di cui, con ogni probabilità, ci scorderemo presto
e che, al solito, la regia televisiva non ha certo aiutato.
Credo che nel 2017 si possa
pretendere un minimo di approfondimento psicologico sui personaggi, per quanto
monolitici siano i caratteri rappresentati. O, perlomeno, io non mi accontento
del vecchio espediente dei tableau vivant che si animano quando è il momento e
poco più.
Il teatro, quello vero,
deve andare contro i gusti della maggioranza, non cercare di blandirla.
Diverso, invece, il
discorso che riguarda il direttore Riccardo Chailly il quale, a mio parere, è
stato protagonista di una prestazione maiuscola ben coadiuvato da una
brillantissima Orchestra della Scala.
Andrea Chénier non è opera
facile da dirigere, tutt’altro, perché il pericolo del clangore e della
superficialità è sempre lì pronto a spuntare. Chailly però evita di gonfiare
troppo il suono aggiungendo retorica a una partitura che di suo è già ampollosa
e, anzi, ne smorza l’enfasi rendendola solo eloquente. E, tra l’altro, mi è
sembrata ben più narrativa e teatrale dello scontato allestimento di Martone.
Per quanto riguarda i
singoli spendo volentieri immediatamente parole di elogio per tutte le seconde
parti, a cominciare da Carlo Bosi (Incredibile) e Gabriele Sagona (Roucher):
due grandi artisti.
Molto bravi anche tutti gli
altri: Judit Katasi (Madelon), Annalisa Stroppa (Bersi), Mariana Pentcheva
(Contessa di Coigny), Costantino Finucci (Fléville), Francesco Verna
(sanculotto), Ginaluca Breda (Fouquier), Manuel Pierattelli (Abate), Romano Dal
Zovo (Schmldt) e Riccardo Fassi (Maestro).
Ottimo il Coro della Scala.
Nella parte di Andrea
Chénier si è difeso con sufficiente dignità Yusif Eyvazov (è offensivo già
chiamarlo Signor Netrebko), la cui emozione era palpabile anche in televisione.
Certo deve gestire uno strumento che è fondamentalmente di seconda categoria
per quanto riguarda il timbro, decisamente ingrato e affetto da un vibratone
molto fastidioso. Si sforza però di alleggerire e stemperare toni troppo accesi
e, a mio modestissimo parere, non sfigura. Tutto questo non lo rende però un
tenore da prima alla Scala. Non ne ha né i mezzi tecnici né l’allure artistica.
Bravo Luca Salsi, che è un
artista coscienzioso e dotato di una voce bella per colore e ampia, che gestisce
con fermezza. Credo che oggi sia uno dei migliori e più affidabili baritoni
sulla piazza. La parte di Gérard credo gli si addica molto perché Salsi può
esprimere un’innata empatia e comunicativa.
Dal mio punto di vista è
risultata deludente ma non insufficiente Anna Netrebko, la quale ha palesato i
consueti problemi di intonazione e gli altrettanto cronici guai di pronuncia.
Di là di questo mi è sembrata non troppo convinta nella caratterizzazione di
una donna temperamentosa e dolce, che in teoria dovrebbe starle a pennello.
Peraltro nella famosa aria e nel finale è venuta fuori la classe dell’artista
di rango superiore.
Il pubblico si è diviso
sugli esiti artistici, dispensando applausi ma anche molti fischi.
E ora via agli insulti
(strasmile)!"
https://amfortas.wordpress.com/2017/12/07/recensione-espressa-e-morigerata-di-andrea-chenier-al-teatro-alla-scala-di-milano-vince-riccardo-chailly-perde-il-teatro-lirico/
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