viernes, 17 de noviembre de 2017

COLPO DI FULMINE : THAÏS DI JULES MASSENET

  di Caterina. Nuovo articolo su Amneris vagante
Chiunque frequenti le sale da concerto si sarà imbattuto di certo in una trascrizione della Méditation de Thais nel corso di recital solistici. Ma quanti melomani hanno invece assistito ad una versione scenica completa della Comédie Lyrique di Jules Massenet?


Se guardiamo alla genesi dell'opera troviamo il librettista Louis Gallet intento a trasformare l'omonimo romanzo di Anatole France utilizzando quella poésie mélique che ben si sposava  con lo stile compositivo di Massenet. La trama originaria resta quasi immutata,  sfrondata e semplificata dalla dialogica filosofica presente nel testo originario.

Il compositore aveva ultimato la partitura nel 1892, consegnando dopo pochi mesi la versione definitiva all'Opéra Garnier, teatro nel quale avrebbe debuttato nel marzo dell'anno successivo. L'edizione corrente, quantunque molto poco rappresentata nel Novecento, è invece la seconda che vide la luce nel 1898 e nella quale sono più spiccate le connotazioni magiche ed arcane.

La vicenda della courtisane greca dalla bellezza abbagliante, dedita al culto di Venere in un'Alessandria d'Egitto decadente e corrotta, strappata ad una vita lussuriosa  di agi dal monaco cenobita Athanaël e assurta alla santità nel finale dell'opera, ritorna nel freddo autunno newyorchese al Met. Le sonorità rarefatte associate all'ascetico ambiente dei padri cenobiti si contrappongono all'esotismo alessandrino, descritto dal vortice arcano di percussioni e legni, seguendo uno schema a clessidra. La peccatrice si sottrae ad una perdizione certa optando per un cammino  di espiazione attraverso la mortificazione della carne, fino all'estasi finale che la innalzerà alle sfere celesti.

All'opposto il severo ed inflessibile Athanaël percorre un cammino inverso e altrettanto doloroso fatto di visioni oniriche e tentatrici che ne scuotono la coscienza, culminante con l'accettazione e il riconoscimento del suo amore affatto spirituale, nei confronti di colei che, redenta ed in trance ascetica, si accommiata dalla vita terrena.

La vicenda è ovviamente imperniata sulla dicotomia peccato-redenzione, piacere terreno-spiritualità, particolarmente in voga negli anni in cui poesia e teatro erano impregnati di parnassianesimo e simbolismo. La cifra stilistica di Massenet  aderisce completamente al clima decadente fin de siècle,  quasi una premonizione di ciò che avverrà con Debussy negli anni successivi, mentre il wagnerismo rielaborato nei temi (sorta di idées fixes) che caratterizzano situazioni e personaggi permea l'opera intera. La pagina più celebre, la Méditation sopravvissuta al lungo periodo di oblio dell'intera partitura, è il vero baricentro di Thais. Simbolicamente rappresenta la parte mediana e più stretta della clessidra e ritorna nei momenti di più intenso lavorío spirituale. Dal momento in cui avviene la conversione della protagonista, assimilabile alla notte dell'Innominato nella letteratura italiana, il tema riappare nel terzo atto nel quadro dell'oasi. I due protagonisti sembrano allora aver raggiunto una sorta di intesa mistica durante il lungo cammino verso il monastero nel quale Thais completerà il suo percorso di redenzione.

Cellule motiviche si ripresentano anche nel duetto finale, lei in totale trance ascetica, lui in preda al tormento, due strade divergenti che conducono la donna alla grazia divina e il monaco alla disperata dichiarazione d'amore.

Nella storia del Met l'opera è stata rappresentata di rado, la stagione in corso ripropone una produzione concepita originariamente nel 2002 per il Lyric Opera di Chicago e poi trasmigrata a New York sei anni più tardi. In quella occasione Renée Fleming e Thomas Hampson avevano prestato voce e fisicità ai due protagonisti.

Attraverso la diretta radiofonica dell'11 novembre scorso l'universo sensuale e allo stesso tempo intransigente à la Massenet  si è rivelato attraverso  la concertazione ricca di pathos e tensione drammatica di Emmanuel Villaume, il quale da vero specialista del repertorio francese ha saputo pennellare l'aspro contrasto tra una civiltà pagana in piena deriva materialista e la religiosità cristiana di monaci e suore.

Il teatro newyorchese sembra puntare molto su Ailyn Perez, giovane soprano di origine messicana vista recentemente alla Scala in alcune recite di Traviata, ed in effetti il timbro voluttuoso ha un che di carnale che ben si attaglia al ruolo della cortigiana. La trasformazione in creatura quasi incorporea in seguito al percorso di espiazione le riesce forse meno agevole, ma il duetto finale con l'Athanaël di Gerald Finley è probabilmente il vertice assoluto della serata. Senza le sovrastrutture di scene, costumi e regia, sia pure attraverso la mediazione del suono riprodotto, ci si può concentrare sulla ricchezza della partitura e sulle sue innumerevoli sfumature.

Sfumature che, nel canto sfaccettato e dagli accenti mutevoli, nel continuo oscillare tra intransigenza e tormento, fanno  del monaco cenobita à la Finley la quintessenza della  fragilità umana. L'emissione morbida ed omogenea su tutta la gamma, in una tessitura che sollecita particolarmente il registro acuto,  la nobiltà del timbro e l'immacolata capacità di fraseggiare con eleganza e grande pertinenza sono il segno palpabile di un'interpretazione interamente risolta.

La rinascita di Massenet e delle sue opere che non siano solo Manon e Werther,  passa giusto attraverso la personalità e la capacità di artisti in grado di dar voce all'ineffabile nascosto nelle pieghe di un lirismo troppo spesso enfatizzato.


https://amnerisvagante.wordpress.com/2017/11/16/colpo-di-fulmine-thais-di-jules-massenet/

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