di Caterina
ph. Giulio Delise
Incontro Nicola Ulivieri
dopo una recita de I Puritani di Bellini a Palermo. In scena colpisce per il
fraseggio curato e per l'omogeneità dell'emissione, oltre che per
un'espressività che fa di lui interprete sensibile. Smessi i panni di Sir
Giorgio mantiene una certa qual naturale riservatezza, per poi aprirsi al
piacere di conversare, nonostante lo
attenda una sessione di canto propedeutica all'Italiana in Algeri in programma
a Trieste. "Oggi non ho molta voglia di cantare, ma devo approfittare di
ogni momento libero per riprendere la parte di Mustafà. Fino ad Ottobre ho un
calendario molto fitto, quindi devo studiare nelle pause tra uno spettacolo e
l'altro."
La prima domanda è quasi
scontata, come ti sei avvicinato al canto lirico? La tua famiglia che ruolo ha
avuto nella tua formazione musicale?
In realtà la mia educazione
musicale nasce con lo studio del violino. Mio padre infatti era violinista
nell'Orchestra Haydn, dunque aveva avviato sia me che mio fratello allo studio
di quello strumento sin da piccoli. A dodici anni però ho avuto quasi un
rifiuto...mi ricordo che mi capitava di nascondermi sotto il letto per non fare
lezione! Quindi ho smesso completamente di far musica sino ai diciassette o
diciotto anni. Ma l'imprinting musicale era solo sopito perché ho iniziato a
seguire mio padre in orchestra e, dietro suo suggerimento, ho cominciato a
pensare al canto. A quel punto è entrato in gioco colui che è tutt'ora il mio
maestro: Vito Maria Brunetti, il quale avendomi ascoltato mi ha suggerito di entrare
in prova al conservatorio.
La tua si potrebbe definire
una vocazione tardiva.
In realtà nella mia storia
personale é stigmatizzata la differenza tra l'oggi e il recente passato. Non è
una polemica la mia, riconosco di essere stato indirizzato verso quel tipo di
formazione poiché 25 o 30 anni fa si mandavano a studiare canto coloro che si
riteneva avessero le doti necessarie per affrontare questo tipo di carriera.
Adesso invece studia canto soprattutto chi ha la passione per questa forma
d'arte.
Guardando alla tua carriera
come si è evoluta la tua voce e com'é cambiato il tuo repertorio dagli inizi
mozartiani ad oggi?
Effettivamente reputo la
mia un'evoluzione fortunata. Nel passato ho cantato tutti i ruoli del basso
cantabile (o se vogliamo basso-baritono) mozartiano perché ho sempre avuto una
certa attitudine e le doti di espressività richieste per quei ruoli. Il mio era
un modo di cantare più libero, aperto e alto quanto a posizione vocale. Il
timbro chiaro inoltre mi indirizzava naturalmente verso quel repertorio.
Proprio il colore ha fatto sì che cantassi anche le parti da baritono come
Guglielmo nel Così fan tutte e Papageno nel Flauto magico. Attualmente non
accetterei mai di riprendere quei ruoli. La mia impostazione sia tecnica che
fisica si è naturalmente modificata.
In effetti oggi capita
spesso che un basso interpreti i ruoli che Mozart aveva scritto per baritono...
Trovo che si tratti più che
altro di una moda. La tessitura è comunque da basso, e questo è lampante se ad
esempio mettiamo a confronto la scrittura vocale di Figaro e Leporello con
quella di Papageno. Vero è che in passato Siepi e Pinza hanno interpretato Don
Giovanni, ma quando ho iniziato la mia carriera era impensabile che si potesse
cantare Figaro sia nel Barbiere che nelle Nozze.
Ultimamente ti stai
orientando più verso il belcanto. C'é ancora spazio per Mozart nella tua
agenda?
Fra i miei prossimi impegni
c'è ancora Don Giovanni. Mi sorprende un po' che mi chiedano di cantarlo anche
adesso, ma lo faccio volentieri. Lo riprenderò a Tokyo fra un paio di mesi.
Sempre in tema di
repertorio qual'è la tua attitudine riguardo ad una eccessiva specializzazione
e, al contrario, nei confronti di scelte onnivore? I tuoi colleghi spesso
oscillano tra un estremo e l'altro nel pianificare gli impegni futuri.
Sono convinto che
un'eccessiva specializzazione sia un'arma a doppio taglio. Si rischia di
sviluppare un gusto e un modo di cantare che alla fine risultano limitanti.
Alla fine è come sempre una questione di equilibrio e di tecnica. Ritengo poi
estremamente pericoloso adattare la propria tecnica in base al repertorio che
si vuole cantare. Ciò che detta la linea ideale sono pur sempre le qualità
vocali che si hanno. Il canto è uno, la posizione vocale corretta è una, quindi
la strada dovrebbe essere naturalmente tracciata se si vuole avere una carriera
duratura. Quando in passato cantavo soprattutto Mozart mi si chiedeva spesso di
alleggerire quanto più possibile, il risultato era un canto falso fatto anche
di estremi falsetti. Ero giovane e sicuramente meno accorto di oggi, e difatti
l'ho pagata. Passando a Rossini che esige una maggiore solidità, ho faticato
moltissimo per via di questi strani effetti che mi avevano chiesto in
precedenza. Oggi credo di aver trovato quell'equilibrio di cui si diceva. Ho in
agenda soprattutto belcanto e romanticismo e la mia cura va in special modo al
legato, alla morbidezza e al fraseggio.
Parliamo un po' di
Puritani. A Palermo si è adottata l'edizione critica a cura di Fabrizio della
Seta. Era la prima volta che la cantavi? Nel caso del tuo personaggio Sir
Giorgio ci sono sensibili differenze rispetto alla versione di tradizione?
Mi è già capitato di
cantare l'edizione critica, in realtà i cambiamenti sostanziali sono per le
parti di soprano e tenore. Per quanto mi riguarda non ci sono grandi modifiche.
Durante il periodo di prove a Palermo abbiamo avuto la possibilità di visionare
l'autografo di Bellini che è custodito proprio qui alla Biblioteca Comunale. Si
é trattato di una grande emozione! Osservare la scrittura veloce e minuta di
Bellini è stato commovente!
A proposito di questa
produzione, si è trattato di una ripresa di una produzione alquanto didascalica
e fin troppo tradizionale. Il tuo rapporto con i registi com'é? Preferisci
metterti in gioco con regie più innovative oppure concentrarti sul canto in
ambito diciamo... vecchio stile?
Sinceramente apprezzo molto
quando si fa un lavoro più approfondito sui cantanti. Lo trovo stimolante, ma
richiede molto più tempo. Nel caso di una ripresa di solito di tempo non ne hai
mai molto a disposizione. Soprattutto all'estero si va in scena quasi senza
prove. Ciò vuol dire che, per arrivare preparati alla prima, è fondamentale
provare separatamente, con il proprio accompagnatore, a casa. Anche se, nella
mia esperienza personale, mi è pure capitato di soffrire molto per un eccesso
di prove! L'anno scorso ho fatto il Viaggio a Reims a Copenhagen. La produzione
era quella strepitosa e fortunatissima di Damiano Michieletto nella quale avevo
già cantato ad Amsterdam e che poi ho rifatto a Roma. Ebbene ho fatto dieci
repliche (e questo è già di suo alquanto inusuale), ma il teatro ha programmato
due mesi di prove. Vero è che ero l'unico nel cast che aveva cantato ad
Amsterdam, però per un'aria son dovuto rimanere quasi prigioniero in Danimarca
da Gennaio a Marzo!
Quindi il tuo è un rapporto
conflittuale con le prove?
No, assolutamente. Anzi credo
che si debba sempre trovare uno stimolo ogni qual volta si mette piede in
palcoscenico. Se si arriva alle prove senza la giusta convinzione è ovvio che
ci si annoi. La motivazione a far meglio, ad assimilare ogni particolare è
quella che ci mantiene vivi nel momento della recita. Certo l'esperienza di
Copenhagen è stata una sorta di caso limite.
Nel 2016 sei stato un
ottimo Oroveso nell'interessante produzione di Norma firmata dai giovani
registi Di Gangi e Giacomazzi dei Teatri Alchemici per Macerata Opera Festival.
Si trattava di un debutto, per giunta all'aperto. Cosa vuol dire per te
cantare outdoor?
Lo confesso: ero
preoccupatissimo sia perchè la vocalità richiesta era estremamente impegnativa,
sia perchè non amo le esibizioni all'aperto. Ricordo di aver cantato in Armenia
il Requiem di Verdi. Era una commemorazione del genocidio del popolo Armeno ed
in cielo c'erano dei fitti nuvoloni neri. Sono stato con il naso all'insù fino
a quando non sono intervenuti gli aerei militari a spazzare il cielo sparando
sabbia sulle nuvole.
Nel tuo futuro ci sono
nuovi ruoli, quali sono i tuoi prossimi impegni?
A parte lo Stabat Mater che
canterò in Israele con la Israel Philarmonic e l'Italiana in Algeri a Trieste,
tornerò a Pesaro per Ricciardo e Zoraide. A fine anno sarò al Théatre des
Champs Elysées per Maria Stuarda e sarà un debutto importante per me a fianco
di Joyce Di Donato. Altro debutto recente è stato in Roméo et Juliette al Liceu
che mi ha dato grandi soddisfazioni. Ma devo dire che attualmente sono molto
più preoccupato per Peter Pan, il musical di Bernstein che farò con il Maestro
Noseda a Stresa in Settembre. Io sarò Capitan Uncino e dovrò studiare sodo. Ho
tre arie da imparare, ma lo spauracchio è per me la lingua inglese! Dovrò
organizzarmi con un vocal coach per il testo e portarmi lo spartito a Tokyo
quando sarò là per Don Giovanni.
In questa ultima
affermazione, quasi una confessione spontanea, c'è racchiusa la summa di un
mestiere che, oltre ad essere fortemente aleatorio, oggi più di prima si gioca
su spostamenti, ritmi frenetici ed un continuo lavoro di studio. Sarà forse
questo che unisce chi, come noi, crede nel capacità taumaturgica del melodramma
ad artisti come Nicola Ulivieri che veicolano tale messaggio?
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