L'Orchestra Cherubini per Omaggio all'Umbria
Milleduecentonovanta posti
a sedere, tutti occupati, più decine di ascoltatori appoggiati alle pareti
delle case che ancora sono in piedi, tra la fortezza della Castellina e le
armature che sorreggono la basilica di san Benedetto.
Procedure
di ingresso con carte di identità e varchi di controllo: i biglietti che
non ci sono, arrivano, non arrivano, li stanno ancora stampando. Molti anziani
in piedi per più di un’ora. Alcuni ne approfittano per prendersi il gelato, con
gioia dell’esercente.
Ma ieri sera, al tramonto,
alla fine eravamo tutti in piazza per
l’accensione delle luci del palco: alle ventuno in punto è cominciata la
diretta televisiva e probabilmente le parole del sindaco Nicola Alemanno sono volate per tutta Italia.
Si ricomincia da qui, stasera,
ha arringato il primo cittadino- appellandosi all’orgoglio, alla dignità e alla
pazienza delle genti nursine.
Ha indicato a tutti la maestosa gru che alza
le sue antenne sopra la basilica. E’ il simbolo di chi, concretamente, ovvero
Brunello Cucinelli, ha offerto il suo
aiuto tra i primi. Dietro di lui
si sono intanto schierati i ragazzi dell’orchestra giovanile Cherubini e i
cantori del coro Costanzo Porta che seguono Riccardo Muti nell’impresa nursina:
e qui il ringraziamento al Ravenna festival e al sovrintendente De Rosa che già
un anno fa aprirono le braccia alla proposta di creare questa
considerevole iniziativa di attenzione e
di solidarietà che non ha eguali nelle zone martoriate dal terremoto. Anche se
poi la vista delle abitazioni puntellate e scrostate fa capire che lo stato dei
lavori di ripristino è ancora al pied arm.
E c’è un ultimo
accenno a un ragazzo nursino, Giorgio
Baccifava, presente tra gli strumentisti della Cherubini: un motivo di orgoglio
in più.
Visto che il concerto che
vede Muti presenza eccezionale nella città del santo, è un’operazione di
Omaggio all’Umbria, è d’obbligo offrire il microfono a Laura Musella, la
sovrintendente del festival che ha organizzato con reticolare pazienza la
manifestazione.
La sempreverde dama
fulginate ha appena il tempo di ringraziare i suoi sponsor, in particolare la
Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia e il Gal-Valle umbra e Sibillini. Non senza lanciare un saluto e una parola di
gratitudine a Gianni Letta, presente in piazza tra le autorità,
l’intramontabile personaggio della grande politica italiana, che di Omaggio
all’Umbria ha propiziato la nascita e lo sviluppo.
Entra Riccardo Muti, il
Savonarola della musica italiana, musicista che impersona nel mondo
l’eccellenza dell’arte italiana. E lo fa con un rigore ascetico che non ha
conosciuto flessioni, una dedizione al dovere che sa di sacrificio, una
assoluta sobrietà di atteggiamenti e un costante richiamo al senso etico della
musica. L’orchestra che risponderà ai suoi cenni, la Cherubini è una delle sue
creature predilette: formazione a progetto, da lui allevata con umanità e
dignità, giovani selezionati in tutto il paese che suonano insieme per crescere
a crearsi una professionalità da spendere ovunque. Nella speranza, poi, di trovarsi
anche un lavoro retribuito.
Inizia il concerto,
che è un rigoroso percorso all’interno
della partitura del Macbeth, opera fiorentina che scaturì dalle mani di un
figlio di contadini come era Verdi, un ragazzo della bassa-padana che volle
imbrigliare il macabro gotico di Shakespeare come solo Wells e Polanski seppero
fare più di un secolo dopo.
Muti predilige questa
partitura che era amatissima anche dal suo autore. Negli anni ’70, ancora
esordiente, ci costruì la sua fortuna fiorentina e oggi, ultrasettantenne, ci
ritorna sopra per meditare ancora quel suo senso morale, quella sua oscurità di
passioni che scorrono con una tinteggiatura musicale fosca e senza concessioni.
Per il pubblico,
accarezzato da un venticello che si è fatto progressivamente più tagliente, si
è trattato di un’ora e mezzo di pezzi, di arie e di cori scelti tra quelli più
riflessivi, con l’eliminazione del coro delle streghe e della scena delle
apparizioni.
Partenza con la scena dei
vaticini, con il Macbeth di Serban Vasile e il Banqo di Riccardo Zanellato, due
voci dalle risonanze policrome, assecondate e ben guidate da una rete di microfoni che consentivano loro di
vincere la sordità della piazza. A seguire una fantastica Vittoria Yeo, una
Lady Macbeth di prorompente impeto vocale, sorretto da una intensa capacità di
modulare le emissioni con eleganza preziosa. Finale del primo atto, con tutti
gli occhi sollevati a guardare la basilica ingabbiata e la torre campanaria
devastata: è l’orrore per l’omicidio del re, è la catastrofe, è il rivolgimento
della terra, è l’irrompere delle forse sotterranee nell’ordine fragile del
mondo. Il coro si comporta al suo meglio, per ritrovare la sua trama acustica
completamente stravolta dal successivo “Patria oppressa”. Il coro dei profughi
scozzesi è emblematico di cosa Verdi seppe fare del Risorgimento, inserendolo
in ogni opera lo potesse attualizzare.
Muti, come prevedibile ha colto in questa pagina centrale dell’opera il senso
di desolazione con cui il male sa
devastare il mondo degli umani.
Vittoria Yeo ha poi
ritrovato la sua interessante vocalità nella scena del suo delirio, la celebre
scena del sonnambulismo, psicanalitico confessione del regicidio. Speculare,
nelle sottomissione a una colpa indelebile, l’aria di Macbeth “Pietà rispetto,
amore,” ancora nella voce pastosa di Vasile. Poi, dopo l’aria di Macduff,
cantata da Giuseppe Distefano, il gran
finale dell’atto IV, con coro, grancassa e piatti: che però è poca cosa davanti
a quella confessione dell’ empio re scozzese che enuncia la vera,
inconfessabile verità dell’impianto del Macbeth, la inanità della vita e la sua
incomprensibile inutilità: il protagonista la definisce “sogno di un povero
idiota”.
Asciuttezza pitagorica
nella direzione di Muti, con una concertazione che è tutta un gesto di affetto
verso i suoi ragazzi della Cherubini. E in qualche fremito degli archi c’è la
sua mano sapiente. L’orchestra risponde con perfetta scansione, riconoscibile
anche al disotto dell’alone dell’amplificazione.
Poi, a piazza tutta in piedi, Muti afferra il
microfono e con quel suo inconfondibile e simpaticissimo idioma
apulo-napoletano si spenda in una concione che ha dei tratti di godibile
veridicità e accenti di una polemica che oggi è di difficile soluzione.
Parliamo della prima parte: un aneddoto del grande pianista russo Sviatoslav
Richter, un mito della discografia. Muti, tra i primi grandi solisti che
diresse quando ancora era giovanissimo, lo ebbe per prestigioso collaboratore.
In una conversazione sul tema quale fosse la città più bella d’ Italia,
inopinatamente, quando chiesero a colui
che allora era uno dei più emblematici rappresentanti
della musica dell’impero sovietico quale fosse per lui la città più bella della
penisola, rispose Norcia. Parola di Muti e bisogna credergli.
La seconda parte riguarda
il futuro dei giovani della Cherubini e in genere del domani di tutti i giovani
musicisti italiani. Rivolgendosi alla classe politica Muti invoca un’orchestra
per ogni regione, col relativo teatro. La telecamera a questo punto avrebbe
dovuto inquadrare i visi di Katiuscia Marini e di Donatella Porzi presenti tra
il pubblico. Coi problemi che ha oggi il
nostro paese, questa priorità, di altissimo senso morale, e che lo stesso Muti
ha concretizzato nella sua fondazione
ravennate, cade in una situazione economica che è quello che è, e risulta di
essere una bellissima, condivisibile utopia.
Ci è piaciuto Muti quando,
alla vista di certe papaline purpuree, se l’è presa anche coi vescovi che
permetto l’adozione di certe musiche in chiesa. Quando morirò, ha concluso il
fantastico Muti, vorrò essere avvolto dalla musica di Palestrina.
Stefano Ragni
http://www.quotidianodellumbria.it/quotidiano/lorchestra-cherubini-omaggio-allumbria/concerto-diretto-da-riccardo-muti-norcia
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