L’Oratorio di Alessandro
Scarlatti all’Accademia Filarmonica con l’ensemble Concerto Romano diretto
da Alessandro Quarta
di Simone Ciolfi
GIUDITTA CHE TIENE PER I CAPELLI ed espone la testa mozzata di
Oloferne fu immagine ricorrente nella pittura barocca. L’icona del tiranno
decapitato dalla giovane coraggiosa nasconde in realtà l’invito a sconfiggere
le pulsioni erotiche profonde, ben incarnate da Oloferne e dalla sua
bestialità. Tuttavia in quella testa mozzata c’è una forza perturbante che
rimane intatta, e la musica di Alessandro Scarlatti, che toccò il tema due
volte mettendolo in musica come oratorio nel 1693 e nel 1697, sa ancora
comunicarci la sanguigna sensualità che si muove dietro la storia di Giuditta.
Nella forma con tre personaggi del 1697 (in quella del 1693 erano
cinque), La Giuditta di Scarlatti è stata rappresentata giovedì
18 dicembre per la stagione dell’Accademia Filarmonica Romana dalla formazione
Concerto Romano con Alessandro Quarta alla direzione e concertazione. Fra le
arie troviamo capolavori come «Dormi, o fulmine di guerra» (ottimamente
interpretata da Hilary Summers nei panni della Nutrice di Giuditta) cantata per
favorire il sonno di Oloferne e, dunque, la sua decapitazione. Nella cullante
dolcezza della musica, serpeggia anche, e ciò sia detto a merito di Concerto
Romano che ha saputo evidenziare la molteplicità degli affetti che talvolta
anima un’aria, la preoccupazione che Oloferne non si addormenti. Fortunatamente
Oloferne cade fra le braccia di Morfeo e la seguente decapitazione è in forma
di recitativo, un’arte di cui Alessandro Scarlatti fu sommo maestro. Infatti,
sebbene la maestria dello stile recitativo di Scarlatti si registri soprattutto
nelle cantate da camera, il passo in cui Giuditta vibra il colpo e
«gorgogliando se n’esce tra il vino e il sangue l’anima proterva», ha scosso
intensamente l’uditorio, sgretolando ogni rimanente pregiudizio sulla ‘noia’
del recitativo. Se il passo funziona così bene lo si deve anche all’ottima
interprete, Francesca Aspromonte, la quale ci ha regalato una Giuditta eroica,
decisa, dall’intonazione brillante e dalla dizione chiarissima (un aspetto,
questo, da sottolineare anche in Oloferne, interpretato da Luca Cervoni).
All’acustica asciutta del teatro Olimpico ci vuole certo qualche
minuto di abitudine, ma il pregio di questo tipo di acustica, che nulla concede
al riverbero, è quello dello sguardo analitico. Si ha l’impressione di entrare
nella partitura osservando da vicino gli strati sonori con cui è costruita.
Certo la restituzione analitica del suono, che espone scopertamente ogni
singolo esecutore, può essere un pericolo per una formazione cameristica che
procede spesso a parti reali. Il pericolo è stato, però, superato senza il
minimo problema, e Giuditta è andata in porto chiudendosi sulla gloriosa (e
minacciosa) morale dell’oratorio: «ogn’ora spera nel Ciel, ma temi il Cielo
ancora».
http://www.ilcorrieremusicale.it/2014/12/19/la-giuditta-roma-vittoria-e-ammonizione-del-cielo/
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