martes, 2 de octubre de 2018

ELOGIO DE “L’IMPUISSANCE” NUOVO ARTICOLO SU AMNERIS VAGANTE


Ph. Gabriella Ferrari Bravo

On ne comprend la puissance que lorsqu'on fait l'expérience d'etre à la merci de sa propre impuissance; le passage à l'acte n'est possible que si l'on amène sa propre impuissance à agir. ( L. McFalls et M. Pandolfi, dans Création, Dissonance, Violence, Boréal 2018)

Come meglio definire ciò a cui abbiamo assistito in un tiepido venerdì della Milano da bere? Una Liederabend non è certamente semplice da metabolizzare, solitamente la sala del Piermarini resta desolatamente sguarnita durante i recital di canto. Neppure i temibili loggionisti si danno convegno per fischiare gli artisti che, incauti, profanano la memoria del cantante morto e sepolto da decenni, del quale tengono vivo il ricordo al pari di vestali della tradizione latina. Eppure questo venerdì resterà nella mente di chi c'era per il soffio alato che ha riempito il teatro, per il generoso dono di sé che è arrivato a ciascuno dei presenti. Non c'era tempo e modo di tossire, scartocciare caramelle, parlottare o anche solamente di agitarsi sulla poltrona...perché Jonas Kaufmann e Helmut Deutsch, due uomini in frac,   stavando mettendo nelle mani di un pubblico letteralmente rapito un atto di creazione pura, un excursus sulla storia ed evoluzione del Lied. E' sembrato così di vivere la fascinazione che Liszt, da virtuoso improbabilmente attratto da questo genere fatto di piccole miniature su testi poetici spesso di rara bellezza,  aveva subito nei confronti dell'intreccio fra parola e musica. Come scindere le due componenti in Die drei Zigeuner, mentre la consumata e simbiotica musicalità dei due artisti cesellava e sottolineava l'estrema teatralità dei versi di Nikolaus Lenau o ancora nella ballata dal Faust I di Goethe, Es war ein Koenig in Thule, quando la cellula narrativa si trasformava trascolorando sottolineandone l'intera narrazione. I versi si rincorrevano, il canto si soffermava su questa o quella parola, talvolta persino sulla singola sillaba senza compiacimento alcuno. Lo stato di grazia di Jonas Kaufmann si rifletteva in quello di Helmut Deutsch, o era il contrario?
Gli involi verso l'alto o la ricaduta al grave non erano mai sembrati così sicuri nella saldatura assoluta fra registri, nei fiati infiniti che si permettevano di burlarsi di intonazione e melismi con mezze voci sempre sapientemente dosate. Se infatti in passato il ricorso alla mezza voce poteva dare l'impressione di uno studiato manierismo, le dinamiche prescelte dal tenore tedesco in questo recital erano invece estremamente appropriate, in un linguaggio degli affetti  basato su un profondo scavo psicologico. Ecco che l'artista si metteva in gioco completamente, generoso e al tempo stesso coinvolto in una sorta di alienazione controllata nei mahleriani Rueckert-Lieder, passando dal profumo del tiglio in Ich atmet' einen linden Duft fino alla livida Um Mitternacht   nella quale il fraseggio ricreava la densa atmosfera notturna.

E se i sette Lieder di Wolf mostravano l'estrema duttilità di uno strumento dall'inalterato fascino timbrico, colto per di più nello splendore di una acquisita maturità interpretativa, i Vier letzte Lieder, originariamente scritti da Mahler per voce femminile, sugellavano il percorso creativo alla base del programma scelto da Kaufmann e Deutsch. L'atto sovversivo con il quale si scardina la tradizione interpretativa, la sfida costituita dal voler affondare le mani, o meglio le corde vocali, in un materiale destinato ad esaltare filati ed involi prettamente sopranili, può aver fatto arricciare il naso ai puristi. Ma quanta estatica emozione ha suscitato in una sala appesa al carisma di un liederista naturalmente empatico e al tempo stesso convinto delle sue scelte! Raro é osservare il genuino coinvolgimento di un artista all'apice della carriera che traccia con la voce il  volo dell'anima e necessita di qualche secondo di sospensione prima di riaversi dal postludio di Im Abendrot.
Come se non bastasse la simbiosi artistica che lega tenore e pianista (guai a definirlo mero accompagnatore) ha condotto ancora per mano i presenti nella lunga serie di sette bis, dai tre straussiani,  Heimliche Aufforderung, Freundliche Vision e l'ipnotica Caecilie, passando per tre arie d'opera e concludendo con una deliziosa Es muss ein Wunderbares sein completando così il ciclo con un ritorno a Liszt. Quasi un secondo programma parallelo e un omaggio sincero al teatro alla Scala che lo vide acclamato Don José, Cavaradossi e che non l'ha ancora avuto come Radames. Sul si bemolle  finale smorzato, rinforzato e poi morente di Celeste Aida prescritto da Verdi la sala è esplosa decretando un trionfo meritato continuato con la romanza del fiore da Carmen e con E lucevan le stelle, emozionale e di grande musicalità.

L'adrenalina in circolo, ancora in frac, allegro e rilassato, prima di cambiarsi ed affrontare la folla che lo attendeva all'uscita degli artisti, Kaufmann ha amabilmente conversato con Cecilia Gasdia venuta a proporgli una collaborazione con l'Arena di Verona, mentre Enrico Stinchelli del popolare programma radiofonico La Barcaccia aspettava di salutarlo. E poi   felicità e sorrisi e solite foto di rito con amici che festeggiavano l'ennesima conferma del  suo talento e gusto interpretativo.

Del resto chi altri avrebbe potuto ipnotizzare Alexander Pereira che, dal suo palco, osservava e ascoltava appoggiato alla balaustra, il mento a sfiorare il velluto rosso?  

https://amnerisvagante.wordpress.com/2018/10/02/elogio-de-limpuissance/

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