–di Claudio Gatti
«Non domandatemi chi sono…
è una morale da stato civile. Regna sui nostri documenti. Ci lasci almeno
liberi quando si tratta di scrivere», affermò Michel Foucault quasi
cinquant’anni fa. E per quasi un quarto di secolo anche l’autrice della
tetralogia napoletana de L’amica geniale ha rigettato quella morale celandosi
dietro allo pseudonimo di Elena Ferrante.
Di lei, dunque, non sono
mai state pubblicate foto. Né è mai stato stabilito chi sia veramente. Come
riporta la quarta di copertina di ogni suo libro, si sa solo che «è nata a
Napoli». Allo stesso tempo Ferrante ha saputo parlare molto di sé, concedendo
innumerevoli interviste mediate dalla casa editrice e scrivendo un volume
sedicentemente autobiografico, La Frantumaglia.
Un’inchiesta condotta da Il
Sole 24 Ore e pubblicata oggi anche dal quotidiano tedesco Frankfurter
Allgemeine Zeitung, dal sito di giornalismo investigativo francese Mediapart e
da quello della rivista americana The New York Review of Books, fa ora emergere
evidenze “documentali” che danno un contributo senza precedenti all’opera
d’identificazione della misteriosa scrittrice.
Anziché su un’immaginaria
figlia di una sarta napoletana, come si presenta l’autrice in La Frantumaglia,
le prove da noi raccolte puntano il dito su Anita Raja, traduttrice residente a
Roma la cui madre era un’ebrea di origine polacca prima sfuggita all’Olocausto
e poi trasferitasi a Napoli.
Sposata con lo scrittore
napoletano Domenico Starnone, Raja ha da tempo uno stretto rapporto di collaborazione
con Edizioni e/o, la casa editrice di Ferrante, per la quale da anni lavora
come traduttrice dal tedesco. Per un breve periodo è stata anche coordinatrice
della Collana degli Azzurri, una collana che, nella sua brevissima esistenza
negli anni ’90, secondo la responsabile dell’ufficio stampa di Edizioni e/o, ha
pubblicato «un totale di tre o quattro libri, tra cui il primo romanzo di
Ferrante».
La responsabile stampa ha
spiegato che Raja è una semplice traduttrice freelance e «assolutamente non una
dipendente» della casa editrice. Questo ruolo non potrebbe mai spiegare i
compensi pagati nell’ultimo paio di anni da Edizioni e/o a Raja, che dalla
nostra inchiesta risulta essere stata la principale beneficiaria del successo
commerciale dei libri di Ferrante.
Un’analisi dei redditi
registrati da Edizioni e/o e da Anita Raja negli ultimi anni, quelli del boom
della tetralogia de L’amica geniale, è illuminante. Nel 2014 il bilancio di
Edizioni e/o Srl riporta ricavi per 3.087.314 euro, con un aumento di oltre il
65% sul 2013. Nell’anno successivo, il 2015, il balzo è ancora più
significativo: i bilanci si chiudono a 7.615.203 euro, pressappoco il 150% in
più rispetto al 2014.
Lo stesso trend in forte
ascesa è replicato dai compensi che ci risultano essere stati pagati da
Edizioni e/o a Raja. Abbiamo infatti appurato che nel 2014 sono aumentati di
quasi il 50%, mentre nel 2015 hanno fatto un ulteriore balzo di oltre il 150
per cento.
Il compenso totale pagato
l’anno scorso da Edizioni e/o a Raja è arrivato a superare di oltre sette volte
il compenso del 2010, quando il successo dei suoi libri era ancora circoscritto
all’Italia e ancora non era stato pubblicato il primo volume della tetralogia.
Questo balzo, di cui non ci
risulta abbia beneficiato alcun altro dipendente, scrittore o collaboratore di
Edizioni e/o, non può essere giustificato da un incremento della mole di lavoro
di traduttrice, notoriamente pagato poco. La spiegazione più logica è che sia
dovuto al successo dei libri di Ferrante. Anche perché i compensi del 2014 e
2015 appaiono coincidere proprio con le somme generate dai diritti di autore.
A confutare la tesi che i
libri siano stati scritti da Raja a quattro mani con il marito Domenico
Starnone è il fatto che quest’ultimo non ci risulta aver ottenuto retribuzioni
equivalenti da parte della casa editrice di Sandro Ferri e Sandra Ozzola (anche
se non si può certamente escludere che Starnone abbia dato un rilevante
contributo intellettuale).
Da visure catastali abbiamo
poi appreso che nel 2000, dopo il successo del film ispirato al primo romanzo
di Ferrante per la regia di Mario Martone, L’amore molesto, Anita Raja ha
acquistato, da sola e non con il marito, un appartamento di sette vani in una
zona nobile di Roma e nel 2001 ha poi comprato una piccola casa di campagna in
un paesino della Toscana noto per essere frequentato dall’élite
giornalistico-letteraria italiana.
Ma come abbiamo detto, da
un punto di vista dei risultati economici, i libri di Ferrante hanno preso il
volo solo dopo i successi registrati molto più recentemente nei mercati in
lingua inglese, in particolare quello americano, dove e/o pubblica tramite una
sua sussidiaria. Ed è quindi significativo che quattro mesi fa, nel giugno
scorso, Domenico Starnone risulti aver comprato un altro appartamento a Roma a
pochi passi da quello intestato a sua moglie. Si tratta di 11 vani e mezzo per
un totale di 227 metri quadri all’ultimo piano di un’elegante palazzina dei
primi del ’900 in una delle strade più belle di Roma il cui valore di mercato si
aggira tra 1,2 e 2 milioni.
Il fatto che l’appartamento
sia intestato a Starnone ovviamente non significa che il denaro utilizzato sia
suo e non di sua moglie perché, come noto, in regime di separazione dei beni
quando un coniuge ha già una casa intestata conviene sempre che la seconda sia
intestata all’altro.
Per i dovuti riscontri, il
Sole 24 Ore ha lasciato messaggi al cellulare di Domenico Starnone e del
fratello di Anita Raja elencando le prove trovate e le conclusioni a cui siamo
giunti. Ma la traduttrice non ha mai risposto o accettato il contraddittorio.
Anche Sandra Ozzola e
Sandro Ferri, i due comproprietari di e/o, hanno respinto il confronto. In una
breve conversazione telefonica, Ferri è stato perentorio: «Se mi dice che fa un
articolo in cui fa delle rivelazioni, io le dico subito che non le possiamo né
dare i nostri dati né io le posso rispondere.
[…] Noi siamo abbastanza
seccati da questa violazione della privacy, nostra e di Ferrante, e se
l’articolo è in quella direzione, le dico che mi dispiace ma noi non possiamo
collaborare».
Certo è che da 24 anni, da
quando cioè ha pubblicato il suo primo libro, Ferrante si cela dietro un nome
studiato a tavolino in evidente omaggio a Elsa Morante. E da allora, con la
complicità della sua casa editrice, più o meno controvoglia, l’autrice ha
partecipato a questo gioco mediatico sfamando la vorace curiosità di
giornalisti, critici e lettori, prima con informazioni sporadiche e poi con un
epistolario pubblicato su impulso dei suoi editori. A sollecitarlo era stata
una lettera aperta in cui Sandra Ozzola osservava che la curiosità dei lettori
«meriterebbe forse una risposta più generale. Non solo per placare quanti si
perdono nelle ipotesi più arzigogolate sulla tua reale identità, ma anche per
un sano desiderio dei tuoi lettori di conoscerti meglio».
Era nata così La
Frantumaglia, unica opera non fiction pubblicata da Ferrante nel 2003 e di cui
è appena uscita in Italia un’edizione aggiornata. In quelle pagine i lettori
avevano appreso che la scrittrice ha tre sorelle, che la madre era una sarta
napoletana incline a esprimersi «nel suo dialetto», e che lei aveva vissuto a
Napoli fin quando non ne era «scappata via» avendo trovato lavoro altrove.
Nessuno di questi dettagli
corrisponde alla vita di Anita Raja. Come la madre di Elsa Morante, la sua era
infatti un’insegnante, non una sarta. E non era affatto napoletana. Ebrea (come
la madre di Morante) era nata a Worms, in Germania, da una famiglia emigrata
dalla Polonia e parlava italiano con un evidente accento teutonico (si veda
l’articolo nella pagina seguente). In più Raja non ha sorelle, solo un fratello
minore, e a Napoli è nata ma ha passato solo i primi tre anni di vita. In
realtà è cresciuta e ha sempre vissuto a Roma.
Ma in La Frantumaglia,
Ferrante aveva avvertito i lettori. Non una, bensì due volte. «Io non odio
affatto le bugie, nella vita le trovo salutari e vi ricorro quando capita per
schermare la mia persona», aveva scritto. E, poco più avanti, aveva aggiunto:
«Italo Calvino nel 1964 scriveva a una studiosa che chiedeva informazioni
personali: “Mi chieda pure quel che vuol sapere e glielo dirò. Ma non le dirò
mai la verità. Di questo può star sicura”. Questo passo mi è sempre piaciuto e
almeno parzialmente l’ho fatto mio».
Mentendo – o meglio,
annunciando che, qua e là avrebbe mentito – a nostro giudizio la scrittrice ha
però compromesso il diritto che ha sempre sostenuto di avere (e che comunque
solo parte del vasto mondo dei lettori e dei critici le hanno riconosciuto): quello
di scomparire dietro ai suoi testi e lasciare che essi vivessero e si
diffondessero senza autore. Anzi, si può dire che abbia lanciato una sorta di
guanto di sfida a critici e giornalisti.
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-10-02/elena-ferrante-tracce-dell-autrice-ritrovata-105611.shtml?uuid=ADEqsgUB&refresh_ce=1
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