jueves, 13 de diciembre de 2018

«PORTO IN SCENA I MALATI PSICHIATRICI, LA RECITA È UNA TERAPIA»


L’attore ripropone il suo storico spettacolo del 1980, «Tutti non ci sono». Dall’11 dicembre al Franco Parenti di Milano

di Emilia Costantini

Dario D’Ambrosi non è un attore di teatro normale, ed è lui per primo a dichiararlo: «Normale io? La mia esperienza artistica nasce dalla frequentazione del Paolo Pini di Milano, l’ex ospedale psichiatrico». Un’esperienza che inizia nei primi anni ‘80,dando vita al Teatro Patologico e allo spettacolo «Tutti non ci sono», con cui torna in scena dall’11 dicembre al Franco Parenti. Due anni fa ha anche creato, con l’Università di Roma Tor Vergata, il primo corso universitario di «Teatro integrato dell’emozione».


«Ricordo la prima volta che portai in scena “Tutti non ci sono” a New York — racconta —. Era in sala Andy Warhol, non so cosa capisse perché recitavo in italiano, ma si divertiva come un matto per la reazione del pubblico alle mie provocazioni». A cosa è dovuto il titolo? «Davanti al manicomio di Aversa, c’era scritto: tutti non ci sono, tutti non lo sono. Ovvero, tutti non sono rinchiusi in manicomio e tra quelli che stanno dentro non tutti sono matti». Lo spettacolo nasce dall’attuazione della legge 180 di Franco Basaglia: gli ospedali psichiatrici chiudono e i pazienti vengono dimessi. Con il rischio, commenta Dario, di «malati abbandonati a se stessi, spesso senza famiglie pronte ad accoglierli».

D’Ambrosi interpreta uno di loro: «Lui vorrebbe tornare tra le mura protette del manicomio. L’unica cosa che porta con sé è un uccellino in gabbia, il suo solo amico con cui si aggira tra gli spettatori, provocandoli, divertendoli, e terrorizzandoli: la gente ha paura dei matti io lo so, li frequento da anni». Dai tempi del Pini? «All’epoca facevo il calciatore, però avevo degli amici psichiatri che mi parlavano dei problemi legati alla legge Basaglia. Decisi di fare un’esperienza in ospedale, un mondo di sofferenza e di creatività. Ho iniziato a fare amicizia con i pazienti e ho avuto l’idea di creare il Teatro patologico, dove sono transitati, in tutti questi anni, quasi duemila malati. Portandoli in palcoscenico non li ho curati, ma integrati. In teatro non si usano psicofarmaci, si lavora sul corpo del disabile mentale, le sue urla improvvise, che possono impaurire, sul palcoscenico diventano arte. Purtroppo — conclude — non si può guarire da questa patologia, si può solo aiutare queste persone ad alzare la testa, a conquistare un po’ di autonomia. È già tanto».

https://www.corriere.it/spettacoli/18_dicembre_09/dario-d-ambrosi-porto-scena-malati-psichiatrici-recita-terapia-2ab5bf04-fbe4-11e8-b5c8-9e33310709fc.shtml

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