Inventare, senza
stravolgere è certamente una dote importante per i registi d’opera. Dopo anni
ed anni di produzione, viene certamente il desiderio di innovare, nel rispetto
della composizione. Quando sentivo il nome Brockhaus, per assonanza germanica
mi immaginavo una casa da spaccare ed invece in questa Traviata, la casa non
viene spaccata, ma anzi raddoppiata se non immillata.
Come anticipato
nella prefazione di questa recensione emozionale, la casa parigina, quella di campagna, il
letto di morte non vengono spaccati, ma raddoppiati nell’immagine: un grande
specchio inclinato a fondo palco riflette appunto il palcoscenico e gli
interpreti che si muovono su teli
dipinti al pavimento: ripresi dagli specchi vengono a produrre la scena con la
rilucente duplicazione della stessa.
Vincitrice del premio Abbiati 1993 la famosa Traviata degli specchi
dallo Sferisterio Opera Festival di Macerata approda con successo al Regio di
Torino.
Fin dall’inizio i
colori dei costumi ricchi e sicuramente appropriati per sfarzo e design ideati
da Giancarlo Colis movimentano sinergicamente
la scenografia ingegnosa per semplicità e grande effetto di Josef
Svoboda, ripresa da Benito Leonori. La regia di Henning Borckhaus è
assolutamente efficace e nulla a da vedere con altre ideazioni similari, ma
non di tale resa; alla prima scena ci si
ritrova quasi in un baccanale ottocentesco a rimarcare la realtà della
situazione senza falsi moralismi e pregiudizi. All’impazzare del carnevale poi
ed ancor più alla danza delle zingarelle con i vivaci movimenti coreografici
ideati da Valentina Escobar sale l’eros del momento, giustamente a contrasto
con l’immediato svolgimento della narrazione. La regia risulta ricca di
particolari come all’Addio al passato quando Violetta indossa un cappello per
simbolicamente ripercorrere i momenti brillanti della sua vita e poi su una
nota decisa, lo scalza dal capo con un gesto altrettanto deciso, a cacciare
quel travagliato passato.
Dell’orchestra del
Regio e del superbo coro diretto da Andrea Secchi, si può solo continuare a
dirne bene! L’orchestra è magistralmente diretta da Donato Renzetti e vien da
dire “un nome, una garanzia” infatti conduce con la tranquillità dei grandi
traendo mirabili suoni dal suo gesto armonioso. Il Coro è sicuramente tra i
migliori del panorama operistico nazionale e sempre è pietra angolare della
messa in scena.
Irina Dubrovskaya è
Violetta che interpreta con begli accenti, voce squillante, timbro vivido e
carica emotiva, indissolubile dalla dama delle camelie: le agilità le riescono
dinamicamente e valorizza i duetti quali croce e delizia con Alfredo
interpretato dal tenore Giulio Pelligra: man mano che la vicenda incalza questi
acquisisce sempre più tono fino ad un bel volume che contribuisce all’impeto di
alcune pagine come in de’ miei bollenti
spiriti. Damiano Salerno interpreta il padre Germont con fermezza e buon
fraseggio Di Provenza il mare il suol, fino all’accoratezza finale. Elena
Traversi è il contralto che interpreta egregiamente Flora Bervoix, mentre il
celebre ruolo di Annina è affidato ad Ashley Milanese, come sempre efficace ed
interessante. Bene anche gli altri interpreti Luca Casalin, Paolo Maria
Orecchia, Dario Giorgelè, Mattia Denti, Luigi Della Monica, Franco Rizzo e
Riccardo Mattiotto.
Al finale il grande
specchio inclinato si alza per porsi quasi verticale ed in questo modo riprende
prima l’orchestra e poi la platea che diviene un eclatante tutt’uno con la fine
di Violetta e poi con gli applausi al proscenio.
La Musica vince
sempre.
Renzo Bellardone
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